Tra l'incudine e il martello

  Le elezioni abruzzesi hanno il merito di aver confermato una previsione che era nell'ordine delle cose e cioè che in caso di crisi del governo gialloverde si ritorna all' alternativa tra la destra (tutta) e l'area piddina (non esattamente il PD), fermo restando che nel breve la destra è favorita. E i cinque stelle? In caso di una crisi sarebbero loro a pagarne il prezzo più alto. Domandiamoci il perchè.

   Innanzitutto perchè la crisi porta a una verifica sul loro elettorato. Non dimentichiamo che il voto ai cinquestelle non è consolidato, ma fatto di diverse cose. Al contrario della Lega gli elettori del movimento sono molto più volatili e oltre allo zoccolo duro comprendono anche una 'sinistra' che soffre per le mediazioni governative, un'area che potremmo definire perbenista che quando il gioco si fa duro si disorienta e scappa e infine di quelli che credono alla Befana e si deludono se non si arriva subito al risultato prescindendo dalle battaglie che servono per conseguirlo.

   Sembrerà strano ma quello che nel breve tende a salvare la situazione è Salvini il quale, all'indomani del voto abruzzese, dichiara che nulla è cambiato a livello di governo e si astiene dal partecipare ai festeggiamenti 'unitari' del dopo elezioni. Salvini è un benefattore? Tutt'altro, egli sa perfettamente che una vittoria unitaria della destra lo consegnerebbe non solo al rifiuto di una parte dei suoi elettori che non amano Berlusconi, ma anche al blocco di quelle iniziative antieuropee che sono nel suo orizzonte, che è quello di una destra populista e non europeista, conclude Salvini, teniamoci il governo gialloverde e il suo contratto, poi si vedrà, a partire dalle prossime elezioni europee.

   Ma oltre all'incudine c'è il martello. Il martello sta nelle forze della 'sinistra' che stanno tentando di riemergere dai disastri delle ultime elezioni politiche e tessono le loro trame per riprendere la corsa. La prova abbruzzese è un'indicazione dell'ipotesi di cui da tempo si sta discutendo, quella di un PD senza il simbolo del PD che raccolga tutte le forze liberal-europeiste e social-imperialiste di quello che viene definito centrosinistra. In questo contesto, come si è visto il 9 di febbraio a Roma, è sceso in campo anche Landini a capo dello schieramento confederale che con la sua demagogia operaista non solo strizza l'occhio alla Confindustria per un nuovo patto corporativo, ma diventa una importante pedina di un futuro che passa attraverso il cadavere del governo gialloverde.

   Sullo sfondo, quasi invisibili ormai, rimangono i contorcimenti di un'area radical movimentista che percuote i tamburi per una sceneggiata che serve ad accompagnare la fine, invocata dalla stampa e dai commentatori di regime, dell'attuale equilibrio di governo. Anche se con nessuna incidenza sugli avvenimenti in corso.

   Poniamoci un'ultima domanda: i giochi son fatti? Qualcuno pensa di sì e accelera nelle previsioni. Noi riteniamo invece di no. Subito dopo le elezioni del marzo scorso abbiamo scritto "godiamoci lo spettacolo". Ora diciamo che lo spettacolo non è finito e mentre i cretini di casa nostra vanno in giro con i gilet gialli, quelli finti ovviamente, la situazione si incarica di riaprire lo scontro, a partire dal latte versato in Sardegna. Rimane dunque valida la prospettiva che arrivino i nuovi sanculotti e facciano saltare il banco. E' una previsione, ma noi lavoriamo per questo, non per il ritorno al passato.

Aginform
11 febbraio 2019