Saddam Hussein (in)giustiziato

Claudio Moffa

30 dicembre 2006
Fonte: www.claudiomoffa.it


Saddam Hussein assassinato

Quasi di nascosto, dando segnali falsamente dilatori circa l'effettiva esecuzione della pena capitale in modo tale da non allertare troppo chi - in Iraq o nel mondo - avesse voluto reagire alla decisione del regime Al-Maliki-Talabani, Saddam Hussein è stato (in)giustiziato per uno solo dei molteplici "crimini contro l'umanità" di cui era stato accusato, quello relativo alla condanna a morte, nel 1982, di 148 sciiti del villaggio di Dujail. In tutti i sensi, vista dentro il limitato scenario iracheno, l'uccisione del rais è stata una vendetta tribale priva di fondamenti giuridici. Senza considerare i numerosi errori e orrori del Tribunale che lo ha condannato, la sentenza per "crimini contro l'umanità" infatti non poggia su basi logiche e credibili, perché gli sciti giustiziati avevano compiuto un reato gravissimo, punito in tutti i paesi del mondo: avevano attentato alla vita del capo di Stato, e dunque una loro condanna a seguito di processo era atto di giustizia non solo possibile, ma dovuto. Altra cosa è discutere sulla inaccettabilità della forma specifica della pena capitale, questione che però non attiene solo alla punizione dei tribalisti di Dujail, ma è problema generale della nostra epoca in tantissimi paesi del mondo, a cominciare dagli Stati Uniti e dall'Iraq occupato.

E' prematuro ora fare previsioni su quello che accadrà: se la esecuzione produrrà scoraggiamento e disgregazione nelle fila della resistenza, oppure una ulteriore ondata di terribili stragi in Iraq, come del resto sembrano indicare le prime notizie: e, in questo secondo caso, se i nuovi massacri saranno veramente attribuibili alla resistenza in quanto movimento politico, e a quale sua ala (escludendo a priori, sia ben chiaro, la cosiddetta Al Qaeda di Osama Bin Mossad - come da titolo di un libro di Blondet - che di iracheno e di resistenza non ha proprio nulla), o alla comunità sunnita; o magari a servizi segreti vari intenzionati a disgregare completamente quello che un tempo era una orgogliosa nazione, l'Iraq, secondo il profetico piano di balcanizzazione del paese preannunciato nel lontano 1982 (un anno dopo l'attacco israeliano alla centrale nucleare irachena nucleare di Osirak) dalla rivista dell'Organizzazione sionista mondiale Kivunim.

Alcune considerazioni però possono essere subito fatte:

1) La figura di Saddam Hussein, e gli specifici capi d'accusa che gli sono stati rivolti dal Tribunale fantoccio di Bagdad (un tribunale la cui sentenza era stata preannunciata il giorno prima della sua promulgazione dallo sciita Al-Maliki, accusato da Tarek Aziz di essere uno dei mandanti dell'attentato di Dujail), sono ancora tutti da indagare. Sarebbe tuttavia retorico e superficiale sostenere che "la storia giudicherà Saddam Hussein", a meno che non si aggiunga con chiarezza - con buona pace di De Gregori, e del titolo della trasmissione dell' ottimo Minoli - che "la storia non siamo noi", e che la storia rischia di essere ancora una volta "loro", di lorsignori, di coloro che se la inventano, che controllano le grandi reti massmediatiche, quelle stesse che grazie alla "autorevolezza" di "prestigiosi" pataccari, si sono inventate le armi di distruzioni di massa che hanno scatenato una delle più terribili guerre postbipolari.

Dunque, la ricostruzione storica della figura di Saddam sarà giocoforza anche un terreno di battaglia politica, fra rigorosa ricostruzione dei fatti e legittimi giudizi di valore sugli stessi. Attenti perciò alle patacche, soprattutto dei falsi liberali che pretendono che la democrazia venga esportata a suon di bombe; e a quelle dei falsi "neo-partigiani" nostrani che si inventano una resistenza irachena a loro immagine e somiglianza, andando a cercare in Iraq il corrispettivo di qualche gruppo-marxleninista-linearossa-doc assolutamente inesistente.

2) Se anche venisse alla luce da una ricerca giornalistica e storica seria che Saddam si è reso colpevole di uso di gas contro i curdi - ma l'episodio è contestato, e Reseau Voltaire in un articolo riprodotto in questo sito attribuisce la strage all'Iran - questo inaccettabile crimine di guerra non sminuirebbe la gravità e la ingiusta unilateralità della sua condanna a morte. Di criminali di guerra che hanno compiuto stragi di civili, e di dittatori criminali, quest'alba di sangue del III millennio è piena: l'etiope Meles Zenawi, quello che oggi sta esportando la "democrazia" in Somalia, ha sterminato qualche mese fa 190 suoi connazionali, senza alcun processo, e solo perché stavano manifestando contro i risultati elettorali ufficiali; Bush ha massacrato decine di migliaia di civili in Iraq, e Olmert - per parlare solo dell'ultima prodezza di Israele, uno Stato che ha violato centinaia di risoluzioni dell'ONU dal 1967 ad oggi, e a cui la "comunità internazionale" non ha trovato fin qui il coraggio di imporre non si dice un casco blu armato, ma financo un osservatore ONU scalzo sulla linea verde del 1967 - Israele ha raso al suolo un paese intero, ha bombardato un funerale, ha sterminato più di mille civili innocenti, e ha usato armi di distruzione di massa ben più terribili del gas "una tantum" usato contro i curdi: le minibombe all'uranio di cui a una recente inchiesta di Rai News 24.

Di questi evidenti crimini di guerra degli israeliani, Claudio Pagliara ed altri giornalisti faziosi - evidentemente ignoranti la storia dei movimenti di liberazione - hanno tuttavia attribuito la responsabilità ai cattivissimi Hezbollah, che avrebbero usato i civili libanesi come "scudo umano". Ma se così fosse, perché mai questa stessa logica non dovrebbe essere adottata anche nei confronti di Saddam Hussein, a fronte di una guerriglia tribalista curda che all'epoca si faceva scudo della guerra con l'Iran per tradire la nazione di cui faceva parte, e diventare così la quinta colonna del nemico? Sarà tuttavia difficile proporre in effettiva par condicio questa banale argomentazione all'opinione pubblica occidentale, e sarà impossibile vedere Bush o Olmert (o l'etiope Meles o il ruandese Kagame - quello dei 700mila hutu sotto processo - o l'ivoriano Gbabo - quello degli squadroni della morte) sottoposti a processo da un quale che sia Tribunale. Perché? La risposta è semplice: tutti questi criminali di guerra o dittatori feroci sono nello stesso campo geopolitico postbipolare, quello guidato da Israele e dagli Stati Uniti, che secondo i nostri media al massimo compie "eccessi di reazione" e produce "effetti collaterali" mentre tutti gli altri, i loro nemici - col sostegno fazioso o omertoso di quasi tutti i grandi mezzi di comunicazione di massa, di destra e di sinistra - diventano per atti di minor peso e dimensione, immediatamente "criminali", autori di genocidi inventati, produttori di armi terribili inesistenti, e chi più ne ha più ne metta.

In realtà, quella che ha portato all'uccisione di Saddam Hussein non è stata una logica di (quale che sia) giustizia, ma una logica squisitamente politica: Saddam faceva ancora paura, e tanto più paura proprio in quest'ultimo mese, perché lo stesso Kofi Annan lo aveva in qualche modo riabilitato ricordando che il suo Iraq era - nonostante un embargo ultradecennale - un paese pacifico e sicuro, al contrario di quello "liberato" dagli angloamericani. Domanda: qualcuno, ai vertici del mondo, forte delle bacchettate di papà Bush e della Commissione Baker al "cretino sionista" seduto alla Casa Bianca, stava addirittura pensando ad un recupero di Saddam Hussein? Ecco dunque il colpo di mano dell'esecuzione annunciata a fine gennaio e compiuta di nascosto e all'improvviso a fine dicembre. Ladri di vita.

3) Saddam doveva inoltre essere punito fino in fondo, con la morte, secondo un percorso iniziato - dopo l'occupazione del Kuwait in plateale violazione del diritto internazionale - con la guerra del 1991, perché nemico dei nuovi poteri forti postbipolari. Quali? Chi il principale responsabile dell'uccisione del capo di stato arabo che unico era riuscito a colpire con qualche missile Israele nel 1991, che aveva sempre sostenuto la resistenza palestinese, che nella conferenza stampa del 20 marzo 2003 aveva accusato di invasione non solo gli inglesi e gli americani, ma anche "il maledetto sionismo"?, Ritorniamo a dire una cosa già (in questo sito) scritta: Israele innanzitutto, che ha trovato o costruito nell'ex alcolista Bush il pupazzo utile ai suoi disegni egemonici in Medio Oriente - ivi compreso il Curdistan ricco di petrolio - e nel mondo.

Trovo sempre più inadeguato e irritante l'antiamericanismo rozzo di tanti pacifisti, che o non capiscono nulla o usano questa superficiale moda politica per essere attaccati, in un utile gioco delle parti, dai vari Libero di casa nostra, così da ritagliarsi una buona nicchia mediatica al sicuro di strali ben più pericolosi di quelli del classico anticomunismo e filoamericanismo occidentale. E' il politically correct dell' "antimperialismo": tipico il caso dei Comitati Antiimperialisti, che per anni hanno portato in giro, assieme ad un oscuro ex baatista da loro presentato come "leader" della resistenza, la massa dei pacifisti, disdegnando ogni sostegno a Saddam Hussein perché loro - i C.A. - sono "veri rivoluzionari" e stanno con "le masse". E 'na stranezza, dicono a Napoli: dalle fila dei C.A. sono emersi personaggi curiosi, uno dei quali - un austriac ante - sostenitore del passaggio dell'attenzione dei "rivoluzionari" europei dai sunniti agli sciiti. Sostenitori di chi ha assassinato Saddam Hussein: assieme a Israele e a Bush Junior.

4) Ora le immagini di Saddam Hussein impiccato stanno facendo il giro del mondo. Dubito che quelle immagini servano a demonizzarlo, o a denigrarlo (Saddam aveva chiesto fra l'altro di essere fucilato), o a impaurire il mondo: dubito molto che "il mondo è diviso", come ha titolato subdolamente, "recuperando" secondo il suo stile propagandistico di antica data, la solita Repubblica. Bisognerà vedere: probabilmente invece "il mondo", fatto salvo un ristretto ceto politico occidentale generalmente ricattato dai "poteri forti" stile il Corriere o Repubblica (il quotidiano che ingiunse a un Parlamento italiano debole e impaurito da Tangentopoli, dopo l'oscurissimo attentato a Falcone, di votare presidente non Andreotti, ma "o" il filoisraeliano laico Spadolini "o" il filoisraeliano cattolico Scalfaro: e fu Scalfaro) è rimasto inorridito, e ha ulteriormente rafforzato e introiettato l'immagine negativa di Bush, degli Stati Uniti e dell'Occidente che lo ha seguito. Una "vendetta di vinto" quella di Bush - come titola oggi un articolo internet di Eurasia - che forse servirà al presidente repubblicano ad ottenere il ringraziamento utile della lobby ebraica, ma di certo isolerà ancora di più Washington dal resto del mondo.

Ma a parte queste considerazioni politiche, le immagini di Saddam Hussein impiccato rendono evidente quale sia stato il ruolo dei grandi mass media occidentali nel processo al presidente iracheno. Si pensi bene: questo processo aveva, dal punto di vista professionale giornalistico, una grande rilevanza mediatica. C'erano tutti gli ingredienti per seguirlo giorno dopo giorno, dal valzer dei giudici licenziati dal governo a seconda del loro comportamento in aula, all'assassinio di tre avvocati della difesa, agli abusi procedurali, alla tenuta di ferro del gruppo dirigente baathista - nessuno dei quali ha tradito Saddam Hussein, a cominciare dal cristiano Tarek Aziz - al giganteggiare infine, del presidente iracheno di fronte ai suoi aguzzini in toga: un imputato che teneva il banco, che rispondeva, che attaccava, che argomentava. Che accusava. Dal punto di vista giornalistico, si trattava di un evento ripetuto clamoroso, da seguire con inviati, da dedicargli almeno ogni tanto pagine intere sulla grande stampa internazionale. Invece, il silenzio assordante ha coperto gli abusi del "Tribunale di Baghdad" per un paio d'anni. I giuristi internazionali, corrotti dal nuovo vento postbipolare dei Tribunali ad hoc, silenti, dimenticati dalla stampa fino a sentenza di morte. E alla fine, a crimine consumato, gli sciacalli della NBC fanno lo scoop, le immagini dell'impiccagione. Sono sinceramente preoccupato a pensare che fra 50 o 100 anni un mio collega storico, possa assegnare una tesi sul processo a Saddam Hussein basata sulle classiche "fonti a stampa": la non storia, la storia inventata da lor signori. Immondizia.

5) Nel "mondo diviso" va incluso - dalla parte dei favorevoli alla morte di Saddam Hussein - anche l'Iran, tutto l'Iran? Questo interrogativo è importante: la sciagurata guerra fra "gentili" Iran-Iraq è stata l'inizio della lunga crisi che - attraverso l'errore formidabile di Saddam Hussein, la trappola dell'invasione del Kuwait - ha portato all'assassinio del presidente iracheno. L'Iran di Khomeiny fu fra l'altro protagonista alla metà degli anni Ottanta, assieme a Israele e all'Amministrazione USA, dello scandalo Iran-contras, e dunque la domanda è la seguente: l'Iran di Ahmedinejad, che ho definito all'inizio del 2006, in un articolo che compare in questo sito e che sta girando su internet, un "nuovo Saddam Hussein", è ancora quello immediatamente post-Shah? E dunque è stato veramente complice attivo dell'uccisione di Saddam Hussein? E se così fosse, come si concilia questa posizione, con la consapevolezza di Teheran che qualsiasi suo ruolo nello scacchiere iracheno, e nello scacchiere mediorientale e musulmano, deve passare giocoforza per una presa di distanza dall'estremismo sciita iracheno, e per una apertura fosse pure tattica nei confronti dei sunniti, sia iracheni che arabi e non arabi?

Il problema esiste: Ahmedinejad è un "giovane", è un laico, il suo antisionismo è evidentissimo, il ruolo del Consiglio dei Saggi in Iran si è progressivamente indebolito, in qualche modo stemperando il carattere religioso del regime. L'Iran di oggi è insomma diverso, e dunque c'è ancora da capire quale sia stato e quale sia il vero atteggiamento dell'Iran sulla fine di Saddam, contro i rischi di una propaganda tesa a dividere come sempre il campo nemico.

Tre citazioni al proposito, e un paio di questioni aperte. La prima citazione è quella del Corriere della sera del 31 gennaio 2006 - pagina due, striscia in alto - che riporta la seguente frase attribuita a Ahmedinejad: "con la morte del dittatore e il rafforzamento del governo iracheno spero prevalga la piena sicurezza per la gente. Ma non conosceremo mai tutti i crimini di Saddam"; la seconda è quella tratta da il Giornale dello stesso giorno, p. 9, ultime righe dell'articolo di Luciano Gulli, dove si scrive della reazione "... (non ostentata, affidata a mezze figure del governo) dell'Iran". La terza è tratta da un servizio della Reuters, e recita assurdamente di una uccisione di Saddam da parte dei "persiani", senza neppure citare, prima degli iraniani, gli americani e gli israeliani: è zizzania mediatica?

Le questioni aperte sono dunque queste: inanzitutto se per caso il Corriere non sbagli, come è ben credibile, visto che è funzionale adesso mantenere e approfondire le divisioni già radicate e forti - nonostante il comune nemico americano e israeliano - fra sunniti e sciiti, fra baatisti e Iran. In secondo luogo, nel caso in cui appunto, le dichiarazioni iraniane di consenso all'esecuzione di Saddam Hussein fossero effettivamente opera di "mezze figure di governo", se questo non vada spiegato con la necessità dell'Iran di non prendere in pratica una posizione definita e chiara, stretto fra la necessità di non inimicarsi la maggioranza sunnita della ummah musulmana, e di non deludere dall'altra l'opinione pubblica interna.

In effetti, come annunciare improvvisamente a decine di migliaia di famiglie che piangono ancora le vittime della guerra con l'Iraq, che Saddam Hussein non era più il problema principale per l'Iran, nella nuova fase vissuta dal paese, caratterizzata da una battaglia di Ahemdinejad molto simile - dal nucleare al confronto con Israele - a quella dell'ex presidente iracheno?

6) Una considerazione conclusiva è infine necessaria: che Saddam possa emergere a questo punto, invece che un criminale di guerra, un eroe della causa araba e palestinese, e un martire dell'unità e dell'indipendenza dell'Iraq, che questa "altra verità" storica si possa affermare in gran parte del mondo arabo e musulmano, e forse anche in Africa o in Venezuela o in Russia e in tante altre parti di pianeta, tutto questo nulla toglie all'interrogativo che aleggia sempre in situazioni simili quando si parla di Medio Oriente, di paesi arabi e di Israele: e cioè che comunque il governo di Saddam - come quelli di tutto il mondo arabo - è stato un regime non democratico, e anzi - nello specifico - una dittatura, di fronte a cui l'Occidente è stato ed è chiamato moralmente a battersi in nome della democrazia; e dunque a fare quadrato a favore dell'unica democrazia della regione, Israele. In realtà questo letimotiv di tanti commentatori nostrani - con tutto il rispetto per le loro opinioni - è una affermazione opinabile, che non regge ad una analisi approfondita delle caratteristiche storiche profonde da una parte della "democrazia" israeliana, e dall'altra delle dittature o dei regimi "non democratici" del Medio Oriente arabo e musulmano.

Nel primo caso si è di fronte infatti ad un modello democratico parlamentare occidentale - storicamente, nei fatti, il più avanzato del mondo - ma applicato ad un universo monoetnico, endotribale. Israele è oggi tanto poco democrazia, quanto era assai poco ieri - contro l'abbaglio di Stalin e di tanti sinceri sionisti socialisti degli anni Cinquanta - un paese "socialista": non si può costruire il socialismo in un paese occupato e espropriato, non si costruisce il socialismo fra soli ebrei, senza coinvolgere i fellah arabi e musulmani nei kibbutz. Si costruisce solo una mostruosità nazionalsocialista, teorizzata nel e col "lavoro ebraico": questo è stato il "socialismo" kibbutzista israeliano.

Oggi, la cosiddetta democrazia di Israele - un paese che ha conosciuto anch'esso la crisi del suo modello "socialista", dalle liberalizzazioni allo smantellamento dello "stato sociale" - è in realtà una democrazia fattualmente razzista, perché applicata al solo "popolo eletto" (peraltro gerarchizzato al suo interno secondo le provenienze regionali dei coloni ebrei: all'ultimo stadio i falasha etiopi) e perché contraria ad inglobare al suo interno - dissolvendosi in uno stato nuovo, non sionista, come chiedono alcuni intellettuali ebrei come il cattolico Israel Shamir - i "gentili" arabi, palestinesi innanzitutto. Dialettizzano fra loro, i partiti ebrei della Knesset; accolgono al loro interno anche un partito arabo minoritario, ma in funzione subalterna, dentro uno stato tanto poco laico che, come racconta Israel Shaak, un arabo feritosi di sabato, non può e non deve essere aiutato da un ebreo neppure con una telefonata all'ambulanza. Litigano fra loro, i partiti ebrei, ma sempre pronti a unirsi di fronte al "pericolo comune" da essi stessi quasi ricercato a fini di compattezza interna: "sinistra", destra, ortodossi e laici, tutti uniti contro tutto il mondo, contro le "razze" "non elette", i cattivi "gentili" antisemiti per natura, persecutori plurimillenari dell'eterno perseguitato popolo ebraico.

A fronte di questa "democrazia bloccata" da un muro d'acciaio alto secoli e secoli di tradizione endotribale che non può ormai - dopo la rivoluzione francese e quella d'Ottobre - essere ricondotta alle sole persecuzioni antiebraiche (una pseudodemocrazia su cui incombe peraltro un altro aspetto inquietante, quello di un potere occulto al suo interno capace di assassinare Rabin al momento giusto, e sempre al momento giusto di convincere Javé a lanciare un fulmine decisivo persino su Sharon) qualsiasi regime del mondo arabo più o meno dittattoriale ma plurietnico e plurireligioso potrebbe a questo punto diventare - dentro quella categoria " democrazia come processo", che viene utilizzata in modo distorto e estremizzato anche dall'Occidente interventista: come se le baionette di Napoleone fossero la stessa cosa dei bombardamenti al fosforo o all'uranio su Falluja e sul Libano - una tappa storica necessaria dei paesi del Medio Oriente verso un modello di democrazia compiuta.

Non dovrebbe perciò essere impossibile per un politogo o un giornalista non annebbiato dall'odio fallaciano e neocons per l'Islam e per gli arabi, porsi il problema se per caso la dittatura di Saddam Hussein (tutta da verificare nelle sue articolazioni reali, ivi compresi il suo pluripartitismo e i suoi meccanismi elettorali) non sia stata, di fronte allo scempio dell'Iraq odierno, un modello potenzialmente più avanzato e democratico - in un contesto di guerra ed assedio ininterrotto durato praticamente più di un quarto di secolo - di quello preteso di Israele.

Una provocazione questa? Potrebbe darsi, ma sarebbe utile cominciarne a discutere da qualche parte senza i soliti anatemi e le solite censure che aleggiano sempre - irritanti fino al punto di essere odiose - sul tabù Medio Oriente.

Claudio Moffa


Ritorna alla prima pagina