"Diamo a Milosevic quel che e' di Milosevic..."

di Marcello Graziosi e Enrico Vigna

Slobodan Milosevic è morto, nel corso di un processo illegale, organizzato da un tribunale illegale nel cuore dell'Europa, senza poter godere di alcuno dei diritti che la grande maggioranza delle legislazioni europee riserva ai detenuti. Si discuterà forse per mesi di infarto, suicidio, avvelenamento, ma quello che colpisce è l'arroganza politica e "burocratica" mostrata dal Tribunale Penale Internazionale dell'Aja, un organo del tutto illegale ed illegittimo, creato sotto le pressioni USA e NATO e non contemplato dalla Carta dell'ONU; un organo politico più che giuridico finanziato dagli USA e da soggetti privati come Soros, che da anni lavorano alla destabilizzazione di quegli stati che ostacolano i disegni geostrategici dell'imperialismo statunitense come europeo, a partire, proprio in queste settimane, dalla Repubblica di Bielorussia.

Il TPI ha violato nelle sue stesse procedure tutti i principi del diritto internazionale, avendo formulato proprie leggi e propri regolamenti, modificabili nel corso dei procedimenti con la sola delibera del suo Presidente o del Procuratore; avendo la facoltà di rifiutare a proprio arbitrio gli avvocati od i testimoni della difesa e decretare contemporaneamente l'attendibilità di testimoni sconosciuti e non contro-interrogabili, come di negare la consultazione degli atti d'accusa, e via dicendo. Una moderna Inquisizione.

La reazione stizzita della signora Carla del Ponte è comprensibile, odiosa ma comprensibile, perché il TPI non è riuscito a piegare ed umiliare l'imputato Milosevic, non è riuscito a scaricare sull'ex presidente jugoslavo e sul popolo serbo le responsabilità delle tante guerre balcaniche seguite ai disegni secessionisti di Slovenia e Croazia. Nonostante una campagna di stampa capillare, che in questi giorni è ripresa in grande stile, il TPI non è riuscito a riscrivere in maniera unilaterale la storia di quegli anni terribili, fallendo di fatto nella missione che gli era stata affidata dalle autorità di Washington e Bruxelles. Sullo stesso processo a Milosevic, partito in mondovisione, è calato gradatamente un silenzio impenetrabile e misterioso da parte dei grandi mezzi di comunicazione, grazie soprattutto alla caparbietà mostrata dall'imputato nel difendersi e nel contrattaccare. Il solo rimpianto è non poter vedere Clinton, la signora Albright, Solana, D'Alema, Fischer e tanti altri protagonisti esterni delle tragedie jugoslave alla sbarra.

Sono stati spesi milioni di euro, è stata setacciata mezza Serbia in una gigantesca caccia alle streghe, sono state prodotte decine di milioni di pagine di atti di accusa, sono stati ricattati e minacciati testimoni, imputati, avvocati nel tentativo di ostacolare la verità. Nonostante questo, dopo quasi 5 anni, a 37 ore dalla fine del dibattimento, Milosevic è morto ed il Tribunale si è trovato con un pugno di mosche in mano. L'impianto accusatorio, che conteneva evidenti elementi di strumentalità sul piano politico, non ha retto al confronto con l'ex presidente, deciso a difendersi fino alla fine, a sostegno del quale si sono mobilitati avvocati e giuristi internazionali, accademici del diritto, giudici, deputati europei e di diversi altri paesi del mondo. Alcuni, come Ramsey Clark, ex ministro della Giustizia USA e tra i fondatori nel 2001 del "Comitato Internazionale per la Difesa di Slobodan Milosevic", non si sono schierati sulla base di simpatie partitiche ma come un atto di resistenza e di giustizia contro l'arroganza e la cancellazione progressiva del concetto stesso di diritto internazionale, come fin qui riconosciuto a partire dalla Carta dell'ONU, da parte degli USA e della NATO. E' del tutto evidente che la sentenza a carico di Milosevic era già stata emessa all'inizio del processo, e nessun elemento eventualmente emerso nel corso del dibattimento avrebbe potuto modificare questa condizione: i finanziatori del Tribunale hanno pagato per ottenere la condanna politica di Milosevic e degli altri imputati serbi. Punto e basta.

Il 30 ottobre 2005 lo stesso Milosevic ha osservato con grande realismo: "...se questo Tribunale per quanto illegale, riesce anche a ignorare le falsità clamorose contenute negli atti di incriminazione… tanto vale che leggiate la sentenza contro di me, la sentenza che siete stati istruiti ad emettere… Se la Corte non si rende conto dell'assurdità del rinvio a giudizio letto ieri in aula, dove si sostiene che la Jugoslavia non è stata vittima di un attacco della NATO, ma ha aggredito sé stessa, è consigliabile risparmiare tempo e passare direttamente alla sentenza. Leggetela e non mi annoiate...".

Su una cosa, per la verità, sussistono pochi dubbi: la morte di Milosevic è avvenuta alla vigilia di avvenimenti che potrebbero incendiare di nuovo l'intera penisola balcanica, alla vigilia di nuove, probabili mortificazioni ed umiliazioni per il popolo e la nazione serbi, mentre emergono con sempre maggiore nettezza le enormi responsabilità dei contingenti di occupazione NATO e dei rispettivi governi. Il 21 maggio il Montenegro voterà il referendum per la probabile secessione dalla federazione con la Serbia, completando così il quadro di disgregazione dei territori della ex-Jugoslavia, mentre tra pochi mesi il Kosovo potrebbe non essere più nemmeno formalmente una provincia autonoma serba. Un duplice, ulteriore schiaffo per un popolo che ha subito più di ogni altro la disgregazione della ex-Jugoslavia, vittima di un embargo terrorista, di 78 giorni di pesanti bombardamenti, di un vero e proprio colpo di stato (ottobre 2000) con rischi concreti di guerra civile. Un popolo che ha sofferto e pagato duramente le politiche imperialiste di espansione ad est della NATO e del "blocco occidentale" dalla metà degli anni '80 del secolo scorso ad oggi. Nel 1984 gli Stati Uniti hanno deciso di sfruttare le contraddizioni e le debolezze di quella che era la Repubblica Socialista Federale Jugoslava per liquidare, a qualsiasi costo, il "socialismo di mercato" come parte di quell'offensiva che avrebbe travolto anche l'Unione Sovietica e l'intero blocco socialista. Non sono stati i serbi a destabilizzare la Jugoslavia ed a muovere guerra a sloveni e croati, pur potendo essere discutibili alcune scelte operate dallo stesso Milosevic a partire dal 1989, quando però altri e più pericolosi nazionalismi erano cresciuti grazie a potenti appoggi esterni. Per conferma basterebbe chiedere tanto all'attuale presidente croato Mesic, tra gli autori della famigerata "Operazione Tempesta", un'operazione in grande stile contro le popolazioni serbe e rom residenti in Croazia, quanto, se fosse ancora in vita, all'ex presidente bosniaco Izetbegovic, musulmano secessionista, criminale di guerra e stretto alleato dell'Occidente.

Nessuno si ricorda dei serbi di Kraijna e Slavonia, delle vittime civili serbe di Srebrenica. Nessuno si ricorda di Fikret Abdic, che ha combattuto con le sue forze musulmane nella Zapadna Bosna a fianco dell'Armata Jugoslava contro i secessionisti di Izetbegovic. Nessuno, oggi, difende i serbi che tentano disperatamente di sopravvivere nelle enclavi kosovare dopo la pulizia etnica subita dai fascisti dell'Uçk, amici ed alleati della NATO?

Nei Balcani si staglia il profilo politico dell'Unione Europea, imperialista e subalterna agli USA, forte con i deboli e debole con i forti. Un'Europa che ha fatto la scelta strategica di sostenere a piene mani le forze e le istanze più reazionarie.

Se, da una parte, la Croazia governata dai nipotini di Pavelic, Stepinac e del "padre della patria" Tudjman, che ha le maggiori responsabilità nelle guerre che hanno insanguinato la ex-Jugoslavia (dalla cacciata dei serbi, al intervento diretto nel conflitto bosniaco, alle politiche di assimilazione in Erzegovina), potrebbe negoziare l'ingresso nell'Unione Europea, dall'altra la Serbia, nazione nemica dell'Occidente, è destinata a subire un nuovo scacco, l'ennesimo.

Milosevic muore all'Aja, mentre le bande fasciste del criminale di guerra Ceku governano il Kosovo e si rendono protagoniste di una spietata pulizia etnica, nel silenzio assordante di tutte le istituzioni ed organizzazioni europee ed internazionali, a danno di tutti coloro, anche albanesi, che tentano di contrastarne l'egemonia. Non la pulizia etnica utilizzata per giustificare la "guerra umanitaria" della primavera 1999, vera come le armi di distruzione di massa di Saddam (a partire dalla supposta strage di Racak, una sorta di "reality show" allestito ad uso e consumo delle titubanti opinioni pubbliche occidentali), ma un vero e proprio progetto di annullamento dell'identità nazionale serba e multietnica nella provincia. Una politica apertamente fascista sostenuta dalla NATO, così come un futuro Kosovo indipendente segnerebbe senza alcun dubbio una vittoria postuma per Mussolini ed il fascismo italiano. Una vergogna, un'infamia della quale dovrebbero rispondere davanti al mondo tutti i governi europei, incluso il governo D'Alema.

Non è su questa strada che si potrà costruire un futuro di pace in questa tormentata e tribolata parte di Europa. Nuovi rancori sono destinati a covare sotto la cenere, con esiti potenzialmente drammatici per l'intera comunità internazionale.

Pristina, Podgorica, la stessa Albania "democratica e moderna" sono diventati il centro di ogni sorta di traffici illeciti, dalle armi alla prostituzione, dalla droga all'immigrazione clandestina, alle sigarette (chi ricorda la fatidica "retata" della polizia a Napoli con arresto dell'allora ministro degli esteri montenegrino?), ma le istituzioni europee preferiscono concentrarsi sulla destabilizzazione "umanitaria" di Bielorussia e Transnistria, nel tentativo di portare a termine l'ennesima umiliazione per la Russia. Uno dei tanti strumenti per far sapere a Putin che disturbare il manovratore è rischioso.

Milosevic ha disturbato il manovratore, ha tentato di impedire la penetrazione imperialista nei Balcani ed ha pagato con la vita. Dopo aver tentato di fermare la disgregazione della federazione jugoslava, funzionale ai disegni di Stati Uniti ed Unione Europea, Milosevic ha evitato di prendere parte direttamente alla guerra in Bosnia (contrariamente all'esercito fascista croato), ricoprendo un ruolo importante nella chiusura degli Accordi di Dayton, sottoscritti anche facendo pressioni sui serbi di Bosnia.

Nonostante questo, l'ex presidente jugoslavo continuava ad essere definito "macellaio".

Egli ha tentato di governare il proprio paese (la "mini" Jugoslavia), il solo multietnico dell'area, perseguendo un modello di sviluppo originale, in grado di salvaguardare la transizione al mercato con l'intervento pubblico in economia ed un forte stato sociale, aprendo così un durissimo contenzioso con Fondo Monetario e Banca Mondiale. Una "mini" Jugoslavia sovrana, con una collocazione autonoma sul piano internazionale ed una marcata propensione anti-atlantica, continuatrice della tradizione del "non-allineamento".

Una "mini-Jugoslavia" multipartitica, dove l'opposizione governava dal 1996 la maggior parte delle grandi città, inclusa Belgrado (nel "regime" della RFJ vi erano 186 partiti legalmente riconosciuti, 78 reti televisive ed 87 radio private, il 75% delle quali finanziate dall'occidente, oltre a decine di quotidiani di opposizione). Nonostante questo, in Occidente Milosevic è stato e rimane un "dittatore": una ben strana dittatura davvero quella che ha governato Belgrado fino all'ottobre 2000.

La Repubblica Federale Jugoslava (oggi Unione serbo-montenegrina) costituiva in realtà un'esperienza anomala, non allineata e troppo indipendente, anche rispetto alla deriva moderata delle socialdemocrazie europee (soprattutto occidentali), un pericoloso precedente da cancellare con ogni mezzo. In teoria e, purtroppo, anche in pratica: dai bombardamenti al golpe dell'ottobre 2000, benedetto anche dalla sinistra radicale italiana (da "Belgrado ride" all'entusiasmo per la caduta del "Muro di Belgrado"). Dall'ottobre 2000 non esistono in Serbia quotidiani o televisioni di opposizione, mentre le condizioni di vita e di lavoro delle masse popolari sono drasticamente peggiorate. Un gran bel risultato davvero.

Il popolo serbo ricorda in queste ore il suo ex Presidente, con lunghe code nelle Federazioni del Partito Socialista Serbo, al Museo della Resistenza di Tito e con veglie nelle chiese ortodosse, dalla Serbia alle enclavi del Kosovo, alla Bosnia serba.

All'interno del quadro politico serbo si è aperto, intanto, un braccio di ferro sulla sepoltura in patria. Contro si sono schierati i settori più aggressivi della ex opposizione, una volta legati a Djindjic ed oggi al presidente Tadic, filo-atlantici e legati a doppie mani all'Occidente; a favore il presidente Kostunica esponente di una borghesia nazionale non in sintonia con le borghesie compradore nel cartello delle opposizioni, già frantumatosi miseramente, il quale cerca con molte contraddizioni, almeno di difendere la sovranità e l'autonomia della Serbia nel quadro balcanico ed internazionale, sostenuto in questo da socialisti e radicali. Conclusione: i funerali di Milosevic si terranno sabato 18 marzo a Pozarevac, suo paese natale.

"Io sono il vincitore morale! – ha detto Milosevic all'Aia il 30 ottobre 2001-. Io sono fiero di ogni cosa da me fatta, perché sempre fatta per il mio popolo ed il mio paese, ed in modo onesto. Io ho solo esercitato il diritto di ogni cittadino a difendere il proprio paese, e questo è il vero motivo per cui mi hanno illegalmente arrestato. Se voi state cercando dei criminali di guerra l'indirizzo non è qui a Scheveningen (il carcere olandese dov'era detenuto, Ndt) ma al Quartier Generale della Nato e nelle capitali occidentali, dove è stata pianificata la distruzione del mio paese, la Jugoslavia, e del mio popolo... Noi non abbiamo attaccato o aggredito nessuno, ma ci hanno costretto a combattere a casa nostra, per difendere il nostro paese e la nostra terra... Questo abbiamo fatto e lo rifaremmo perché questa non è un'infamia ma un onore per qualsiasi popolo e uomo...".

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