Referendum in Francia ed Olanda: un invito alla discussione

da Leonardo Mazzei
Fonte: lista "antiamericanisti"
3 giugno 2005


E’ ancora silenzio sui referendum del 29 maggio in Francia e del 1° giugno in Olanda. Eppure si tratta di una clamorosa bocciatura dell’Europa dei capitali e dei banchieri, dell’Europa di Maastricht e dell’Euroamerica che ne è risultata. Un risultato straordinario, netto, inequivocabile, che sta terremotando le classi dirigenti europee, sembra non interessare il cosiddetto “movimento”. Come mai?  

Parto da due flash personali, e dunque da prendersi con le molle, ma forse assai significativi di alcune tendenze più generali.

Lunedì 30 maggio - nel mio luogo di lavoro mi capita di parlare con 3-4 compagni (quelli che posso senza dubbio considerare i migliori dal punto di vista della coscienza politica). La loro preoccupazione è che l’Europa si indebolisca lasciando così campo aperto agli USA. Fanno fatica a comprendere che l’Europa odierna è già largamente americanizzata. Stentano a ricordarsi delle lotte contro Maastricht. Sono assolutamente disinteressati al contenuto della costituzione: eppure era questo il tema del referendum! Appaiono storditi al pari della classe dirigente bipartiticamente europeista.

Martedì 31 maggio – incontro un compagno preparato ed esperto, un militante della minoranza del Prc particolarmente attento ad  ogni evento politicamente significativo. Quando gli manifesto la mia soddisfazione, mi risponde che “bisogna stare attenti, trattandosi di una cosa che può andare da una parte come dall’altra”. Forse in questi due atteggiamenti c’è la chiave del silenzio del “movimento”. Ha senso, infatti, parlare di movimento solo se lo consideriamo come un insieme di persone mobilitate, a vari livelli, per dei fini comuni, che riesce ad includere sia i militanti più politicizzati (prescindo qui dal merito delle varie collocazioni di questi ultimi), sia una presenza di massa che arrivi fino ai lavoratori del primo flash.

Entrambe queste due categorie sociopolitiche non solo sembrano non aver colto la portata del referendum francese (poi arriverà anche quello olandese), ma tendono – di primo acchito – a vedervi più problemi che potenzialità.  

Come mai?
Naturalmente, se volessimo considerare il movimento da un altro punto di vista (quello della cupoletta che pretende di dirigerlo), le cose sarebbero anche peggiori. L’uno-due di Francia e Olanda ha messo a nudo sia gli errori analitici che la nullità strategica di questa appendice extraistituzionale del ceto politico di sinistra.

Tuttavia, il silenzio tutt’altro che innocente di costoro può passare quasi inosservato proprio per il sincero smarrimento di quelle che dovrebbero essere le avanguardie politiche e sociali.

La questione non può dunque essere risolta in maniera semplicistica.  

Cosa è successo in Francia?

Proviamo a dirlo in poche righe. E’ successo che il 55% della popolazione, con una evidentissima polarizzazione sociale (79% tra gli operai secondo gli studi disponibili), ha detto NO ad una costituzione oligarchica, scritta da oligarchi nel chiuso dei loro palazzi al riparo da ogni contagio democratico e popolare. E’ successo che le classi popolari abbiano trovato per una volta la forza di dire NO alla quasi totalità dei mezzi di informazione ed alla stragrande maggioranza dell’intellettualità del proprio paese.
E’ poco? E’ un incidente di percorso? Sembra che – tutto sommato – sia quello che auspicano anche molti insospettabili.

Qual è il problema? Semplice, è che un terremoto per definizione terremota tutti gli assetti preesistenti, i grandi poteri come le piccole nicchie. Un terremoto obbliga a ridefinire la propria esistenza, il proprio tran tran. Meglio allora che tutto rimanga come prima, non fosse altro per non turbare una pigrizia culturale e teorica che si è depositata nei decenni anche nelle menti migliori.

Per dovere di cronaca devo osservare che l’unico che si salva da questo mortorio è, per ragioni abbastanza evidenti che non sto qui ad argomentare, Fausto Bertinotti. Ma se il segretario del Prc riesce a distinguersi non è tanto per meriti propri (peraltro la sua lettura del voto è rivolta unicamente a trarne qualche piccolo vantaggio nel breve periodo, non certo a ricavarne una qualche indicazione strategica), ma per i demeriti altrui. Demeriti che non dobbiamo tacere.

  Per anni siamo stati rimproverati di sottovalutare la “superpotenza europea”, di vedere soltanto l’imperialismo USA. Alcuni, ritenendosi all’avanguardia nell’analisi del mondo, hanno dedicato convegni su convegni all’Europa, teorizzando in sostanza (emblematico il caso dell’area della Rete di Comunisti) non solo che l’imperialismo europeo fosse competitivo con quello americano, ma che in definitiva si apprestasse a superarlo in diversi campi.

Oggi costoro – che peraltro non disdegnano di allearsi con i comunisti euroasiatisti che ancora vedono Mosca e Pechino (alleate con Parigi e Berlino) come le capitali del sol dell’avvenir – dovrebbero forse dedicarsi all’autocritica.

Dov’è infatti questa Europa superpotenza nascente? Come si fa a non vedere che il progetto politico che ha portato alla costituzione era in realtà fragilissimo. E comunque come si può negare che oggi esso è andato in frantumi?

  Molti osservatori francesi (ad esempio, Glucksmann) hanno rilevato sbigottiti come il NO sia stato alimentato proprio dall’antiamericanismo, dalla percezione diffusa di un’Europa piegata dall’offensiva di Bush, da una classe dirigente asservita o comunque spaventata dalla prospettiva della contrapposizione con gli USA. Una percezione rafforzata dal modello sociale contenuto nel trattato di Maastricht (la vera costituzione europea), che ha così avuto la sua prima vera bocciatura sebbene ritardata di quasi un quindicennio in cui le classi popolari hanno potuto sperimentare il suo vero contenuto sociale.  

L’Europa dei banchieri è dunque in pezzi. Cercheranno di raccogliere i cocci e di (come dicono spudoratamente) andare avanti a dispetto di tutto. Ma questa loro protervia sarà la causa della loro fine. Se gli effetti sociali del mostro che hanno partorito sono ormai intollerabili, non meno insopportabili sono quelli politici in termini di distruzione di ogni forma di democrazia.

In molti lo hanno capito, analizzando il referendum francese soprattutto come un voto contro le oligarchie. Non possiamo che esserne soddisfatti. Altro che preoccupazione per le possibili diverse direzioni che questo voto potrebbe prendere!

Non che il problema non esista. Esiste, come esiste sempre (sottolineo, sempre) nelle fasi dinamiche. Ma abbiamo paura delle situazioni in movimento? Forse è meglio la stagnazione? Ma che rivoluzionari da strapazzo ha prodotto la nostra epoca?  

Per chi ancora non si è piegato all’esistente, i referendum contro questa Europa sono un’autentica boccata d’ossigeno, un’occasione da non perdere, un terreno su cui tentare di produrre un’iniziativa politica forte ed incisiva.

Fare come in Francia!, deve essere questa la parola d’ordine.

Sicuramente in un paese alla deriva come il nostro non sarà facile, ma questa è la strada.

Nessuno pensi, in ogni caso, che la crisi apertasi il 29 maggio possa essere risolta in breve. Non sarà così, oggi l’euroamerica annaspa mentre la classe dirigente europea avverte di dover cercare altre vie, ma non sa quali.   

C’è un altro aspetto che contribuisce a spiegare molte cose.

Così come in Italia gli antiamericanisti (ma anche qualunque sostenitore della causa della Resistenza irachena) vengono presentati come rossobruni da un arco di forze che va dalla destra sionista ed americanista, ad una parte significativa dell’estrema sinistra; anche in Francia si è scelto di attaccare i sostenitori del NO come rossobruni.

Guarda un pò come è forte e compatto l’imperialismo quando si tratta di dare le “giuste etichette” agli avversari! Naturalmente anche su questo aspetto nessuno si attenda riflessioni. Meglio continuare con gli appelli “antifascisti”, del tipo di quelli – tanto per tornare alla Francia – che portarono a dare l’80% dei voti a Chirac.

I francesi però questa volta non ci sono cascati, ed in questo modo hanno riportato a galla le ragioni sociali e di classe del NO ad una costituzione ultracapitalista ed ultraliberista.

Ragioni che sarebbero state completamente oscurate in caso contrario, qualora fosse prevalso il timore di sporcarsi le mani, la paura appunto di confrontarsi con i possibili sbocchi di questa battaglia.  

La lezione che possiamo trarne è che oggi più di ieri non sono immaginabili movimenti “puri”. La realtà, oggi più di ieri (perché anche in passato era così, ma oggi lo è di più), è che avremo di fronte movimenti in cui confluiranno spinte anche profondamente diverse, ma accomunate dalla ribellione al presente di società capitalistiche sempre più chiuse e totalitarie, che ingabbiano la parola libertà nel solo ambito del personale, negando a questa parola ogni legame di sostanza con la parola democrazia, che è perciò ormai un termine vuoto e ingannevole.  

Ecco perché, tornando ad una domanda provocatoria di un mio precedente post in lista, i sostenitori della centralità operaia tacciono proprio nel momento in cui gli operai, i lavoratori in carne ed ossa tornano ad esprimersi politicamente in maniera significativa.

Il fatto è che lo fanno in maniera imprevista ed “impura”, come imprevisto ed “impuro” è ogni sommovimento davvero profondo della società. Questo non può essere accettato da chi ha sposato il proprio dogmatismo con l’opportunismo quotidiano che li connette, con mille fili, al politically correct dominante.

Di costoro possiamo benissimo fare a meno, anzi è bene fare a meno.  

Quel che serve oggi è trovare gli strumenti più adeguati per collegarci a questa profonda insofferenza per le oligarchie dominanti, che è insofferenza per un mondo dominato dal pensiero unico del mercato e dal disegno totalitario dell’imperialismo americano; insofferenza per una società regolata solo dagli imperativi economici; insofferenza per un ceto politico concepito sempre più come casta separata e dominante sul resto della società.

Sono queste, a mio avviso, le coordinate per la costruzione di una nuova soggettività politica adeguata a questi compiti.

Il progetto antiamericanista, Legittima Difesa, nascono da questa analisi e da questa convinzione. Forse che i referendum di Francia ed Olanda non hanno confermato questa intuizione?  

Riflettiamoci tutti, se possibile. Almeno su questa lista, che ha un nome ed una finalità ben precisa.

Leonardo Mazzei

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