La democrazia di Israele

Da un'intervista di Giovanna Canzano a Mauro Manno

6 gennaio 2009
Fonte: http://www.ariannaeditrice.it/articolo.php?id_articolo=23378


CANZANO Israele non è uno stato democratico?

MANNO – No. Non lo è. È uno stato etnocratico. Uno stato per soli ebrei. La democrazia nello stato ebraico vale solo per gli ebrei. Per i non-ebrei è una farsa. Immaginiamo per un attimo che in un paese multietnico in cui vi è un’amministrazione coloniale, un partito che rappresenta una particolare etnia ha in programma, dopo la fine del colonialismo, di costituire uno stato democratico su tutto il paese ma cacciando le altre etnie. Possiamo dire che il programma di questo partito è democratico? Per me è un programma razzista basato sulla pulizia etnica. Adesso immaginiamo che, finita la fase del colonialismo, a questo partito venga concesso di costituire il suo stato ma solo su una parte del territorio del paese e a condizione che anche su quel territorio non ci siano espulsioni etniche. Succede invece che lo stato viene fondato subito dopo l’espulsione della maggioranza degli abitanti da parte della minoranza, secondo il suo programma razzista iniziale. È uno stato democratico ma la democrazia doveva coinvolgere tutta la popolazione e non solo la minoranza che ha effettuato la pulizia etnica. Adesso succede che le istituzioni che rappresentano la legalità internazionale (per esempio l’ONU) chiedano a questo stato etnico di reintegrare gli espulsi e accordare loro pari diritti democratici. In risposta questo stato “democratico” (per la sola etnia che esso rappresenta) si rifiuta di farlo, anzi persevera nel suo programma iniziale di volere conquistare tutto il territorio del paese e di colonizzarlo con gente della sua etnia fatta affluire da altri paesi. Questa nuova espansione e questa nuova pulizia etnica non avvengono in modo fortuito ma sono sancite nei documenti fondanti dello stato “democratico”. Per esempio in essi vi si stabilisce che tutto il territorio del paese appartiene a tutti coloro che appartengono all’etnia giusta ovunque essi si trovino (e magari da migliaia di anni) e non appartenga invece agli espulsi che vi vivevano prima della fondazione dello stato etnico. È ancora uno stato democratico?

Non basta. Immaginiamo che in questo stato etnico è sopravvissuta una piccola minoranza dell’etnia sbagliata. Una minoranza in crescita demografica che costituisce circa un quarto della popolazione totale. Queste persone vengono trattate come cittadini di secondo grado, nelle attività economiche, nei tribunali, nella vita quotidiana, ecc., dove devono subire mille discriminazioni. La discriminazione più grave riguarda il possesso della terra. Lo stato si è assicurato, con un’altra legge fondante della “democrazia” etnica, che il 93% della terra del paese resti nelle mani dell’etnia giusta. La vendita di proprietà terriere (e immobiliari costruite su di esse) deve avvenire solo tra persone di questa etnia. È però possibile acquistare nuove terre di quel 7% rimasto all’etnia minoritaria, in modo da espander le proprietà dell’etnia giusta. È ancora uno stato democratico?

Di fronte a queste discriminazioni lo stato etnico concede un limitato diritto di voto e un limitato diritto di critica alla minoranza discriminata. Bastano questi diritti politici di fronte alle mille discriminazioni a far sì che lo stato sia democratico?

Già sento i difensori di Israele, perché è di lui che stiamo parlando, insorgere e protestare contro la mia ultima affermazione sui limitati diritti politici della minoranza palestinese. Invece è proprio così. Si pensi, per esempio al fatto che in Israele è proibito mettere in discussione il carattere ebraico dello stato. È proibito fondare partiti che hanno come programma uno stato diverso, non etnico, ma di tutti i cittadini. È proibito lottare per l’applicazione della risoluzione 194 dell’ONU che sancisce il diritto al ritorno dei palestinesi espulsi. È proibito lottare per abolire la legge fondante dello stato che dice che la Palestina appartiene a tutti gli ebrei del mondo e che in qualunque momento uno di essi può andare in Palestina a occupare una proprietà che l’esercito dello stato ebraico avrà provveduto a togliere a qualche palestinese dei territori occupati. È ancora uno stato democratico?

Rovesciamo la situazione: immaginiamo per un attimo che lo stato italiano si proclami stato “cattolico” e stabilisca che i cittadini italiani ebrei, o protestanti o altri ancora non appartengano a questo stato, li discrimini direttamente, proibisca loro di acquistare terre o proprietà immobiliari da cittadini cattolici. D’altra parte stabilisca che i cittadini cattolici (qualsiasi cosa ciò possa oggi significare) non possano vendere proprietà a ebrei, protestanti, ecc, in modo che la terra d’Italia si concentri sempre più in mani cattoliche. Ai non cattolici viene lasciato il diritto di voto ma in modo tale che esso non pregiudichi il carattere “cattolico” dello stato. L’Italia potrebbe ancora chiamarsi stato democratico? E ricordo ai difensori di Israele che gli ebrei in Italia non sono un quarto della popolazione come i palestinesi in Israele. Ricordo loro anche che andando avanti nel modo in cui si sta andando avanti c’è il rischio che oltre che uno stato etnocratico Israele, diventi anche uno stato teocratico, visto il peso crescente dei religiosi nella politica israeliana.

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