Cosa sta accadendo in Libano?

Michelguglielmo Torri

14 maggio 2008
Fonte: Comedonchisciotte


Per comprendere cosa sta succedendo in Libano è bene mettere i fatti nella loro corretta prospettiva cronologica. Un buon punto da cui partire è il Syria Accountability and Lebanese Sovereignty Act, approvato dal Congresso degli USA il 15 ottobre 2003, subito dopo l’occupazione dell’Iraq. In pratica, come notato dall’analista francese Thierry Meyssan, la legge in questione dava al presidente Bush il potere di scatenare una nuova guerra contro la Siria e contro Hizballah, il «partito di Dio» libanese, nel momento in cui l’avesse giudicato utile. Quel momento – che nell’ottobre 2003 sembrava prossimo – non è, finora, mai venuto; non perché al governo americano sia mancato il desiderio di abbattere il regime siriano e di distruggere i suoi alleati libanesi, ma in quanto il dispositivo bellico americano in Medio Oriente è stato impegnato in maniera crescente nella repressione di una resistenza irachena di inaspettati vigore ed estensione.

Ma se Washington non ha avuto la possibilità di iniziare una guerra aperta, ciò non significa che non abbia perseguito i propri fini con altri mezzi. Un momento di svolta in questa strategia si è avuto quando, nell’estate 2006, gli USA hanno appaltato a Israele il compito di distruggere Hizballah. Inaspettamente, però, la guerra è andata male: le invincibili forze armate israeliane sono state fermate dal «partito di Dio» e dai suoi alleati.

Di nuovo inaspettatamente, la tregua che ha chiuso la guerra è durata nel tempo: Israele si è reso responsabile di ripetute violazioni dello spazio aereo libanese, ma non ha lanciano nessuna nuova operazione su vasta scala. Non è che non ci fossero gruppi influenti in Israele (e a Washington) che auspicavano la pronta ripresa della guerra. Il problema è stato che l’andamento delle operazioni belliche avevano dimostrato l’inadeguatezza della strategia israeliana – basata sull’uso massiccio dell’aviazione e delle forze corazzate – contro le unità mobili di Hizballah, ampiamente dotate di razzi e di missili di vario tipo, che si erano dimostrati maneggevoli e terribilmente efficienti.

L’impossibilità di riprendere la guerra ha fatto sì che Washington puntasse all’attuazione di altre strategie. L’obiettivo principale è diventato quello di impedire che Hizballah cogliesse i frutti politici della propria vittoria. Il che, concretamente, comportava il mantenimento al potere in Libano il governo filoamericano di Fouad Siniora; quello stesso governo, che, in pratica, non aveva mosso un dito durante l’aggressione israeliana.

Con un consenso popolare che, dopo la vittoria su Israele, andava ben al di là della comunità sciita, Hizballah era invece deciso a ottenere un riequilibrio nella distribuzione del potere, tale da riflettere la situazione politica venuta in essere in seguito alla guerra. Di conseguenza, l’11 novembre 2006, cinque ministri del governo legati a Hizballah si sono dimessi. Secondo il dettato costituzionale libanese (art. 95a), ciò avrebbe dovuto comportare l’automatico scioglimento del governo Siniora. Scioglimento che, in spregio appunto alla Costituzione (cosa che i media occidentali non hanno mai rilevato), si è mantenuto, del tutto illegittimamente, al potere.

La risposta di Hizballah e del suo principale alleato, il Libero movimento patriottico di Michel Aoun, è stata una serie di proteste, ma non, come sarebbe stato legittimo aspettarsi, l’avvio di un’azione di contestazione prolungata e di massa. Si è trattato di una moderazione che è parte del modus operandi di Hizballah. In Medio Oriente, il suo prestigio è considerevole ed è legato alla lunga e vittoriosa resistenza contro Israele, iniziata al momento della creazione del partito, alla metà degli anni Ottanta. Si tratta di un prestigio che è forte anche fra i non sciiti, sia sunniti sia cristiani; un prestigio che, però, verrebbe intaccato se Hizballah si trovasse a combattere contro altri arabi.

Hizballah, a giudicare dalle dichiarazioni ufficiali dei suoi leader, è anche convinto che il disegno degli USA (e di Israele) sia appunto questo: coinvolgerlo in una guerra civile in Libano. E che, qualora questo avvenisse, gli USA userebbero la guerra come pretesto per un intervento sotto l’egida dell’ONU; intervento volto a realizzare ciò che Israele non è riuscito a fare nell’estate 2006: distruggere Hizballah.

In una situazione di crescente tensione politica – resa più grave da occasionali assassinii e dal dispiegamento al largo della costa libanese, a partire dal 28 febbraio, di una flotta americana di sette navi da guerra, dotata di mezzi da sbarco e con a bordo un corpo di spedizione di 2000 marines – la situazione si è ulteriormente complicata. Il 23 novembre 2007, infatti, è scaduto il mandato presidenziale di Émile Lahoud, vicino alla coalizione di forze facenti capo ad Hizballah. Lahoud ha abbandonato il proprio incarico ma, da allora, non è stato possibile sostituirlo. L’elezione del presidente libanese richiede, di fatto, l’accordo fra tutte le più importanti forze in Parlamento, ciò che, finora, si è rivelato impossibile. A questo punto, la situazione costituzionale libanese – su cui i media occidentali mantengono un pervicace silenzio – è sempre più uscita dal quadro legale. Questo perché lo stesso Parlamento è ormai in scadenza e, secondo la Costituzione, i suoi poteri sono limitati all’elezione del nuovo presidente. Un compito che, come si è visto, non riesce a svolgere. In sostanza, il Libano è oggi un paese senza un presidente, senza un governo legittimo e con un Parlamento che non ha più i poteri per legiferare.

Mentre la situazione diventava sempre più tesa in Libano, gli USA e Israele alzavano il tiro anche contro la Siria. Lo scorso settembre, in un raid aereo che rimane ancora oggi avvolto in un considerevole mistero, aerei israeliani hanno condotto un attacco in profondità in territorio siriano. Secondo voci fatte circolare dall’amministrazione americana, l’attacco avrebbe avuto come obiettivo la distruzione di una centrale nucleare in fase di costruzione. Si tratta di un’accusa che non ha nessun riscontro degno di fiducia. Il vero fine dell’incursione sembra essere piuttosto stato quello di dimostrare la vulnerabilità della Siria ad un eventuale attacco israeliano. Lo scorso febbraio, inoltre, gli USA hanno annunciato una nuova serie di sanzioni contro la Siria.

Il 24 aprile, il governo americano ha fatto circolare un documento basato su fonti dell’intelligence in cui si asseriva che il sito siriano bombardato da Israele il precedente settembre era effettivamente un reattore nucleare in costruzione, realizzato con l’aiuto della Corea del nord. Con ogni probabilità il rapporto in questione merita la stessa fiducia di quelli che giustificarono l’invasione dell’Iraq. Ma, come nota l’analista australiano Chris Marsden, il problema non sta nella credibilità del rapporto, bensì nel fatto che il rapporto stesso – per quanto poco credibile sia – possa essere stato fatto circolare appunto per giustificare un futuro attacco (di Israele o degli stessi USA) contro la Siria. Questo non è finora successo; ma l’8 maggio il presidente Bush ha annunciato l’estensione delle sanzioni contro la Siria di un altro anno, giustificando la sua decisione appunto con il fatto che Damasco stava cercando di costruire un reattore nucleare.

Subito prima, Walid Jumblatt, il leader druso che è ormai diventato la punta di lancia delle forze ostili ad Hizballah in Libano, aveva lanciato due accuse contro il partito di Dio. La prima era stata quella di spiare illegalmente l’aeroporto di Beirut con un sistema di telecamere (al fine, secondo Jumblatt, di rapire o di assassinare i leader politici legati al governo). La seconda era quella di aver creato un sistema di comunicazioni privato «illegale e incostituzionale» , con fini di spionaggio interno.

Contemporaneamente, i sindacati hanno proclamato uno sciopero generale, volto ad ottenere un innalzamento del salario minimo. Lo sciopero, che si è tenuto il 7 maggio, ha avuto l’appoggio e la partecipazione di Hizballah (la cui politica interna ha sempre avuto una forte connotazione sociale). La manifestazione ha preso un connotato decisamente politico, con la richiesta delle dimissioni del governo Siniora. A quel punto vi è stata la reazione di elementi legati alla famiglia Hariri (che è poi una dei principali alleati del governo Siniora), reazione che è stata all’origine dei primi scontri nelle strade, destinati a continuare nei giorni successivi.

Finalmente la via per una nuova guerra civile sembrava aperta. Una guerra paventata da Hizballah e auspicata da Jumblatt che, in un discorso televisivo del 10 febbraio, aveva dichiarato, rivolgendosi al partito di Dio: «Volete la guerra? È benvenuta. Non abbiamo problemi di armi, non abbiamo problemi di missili. Ve li porteremo”

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