Un solo stato in Palestina
come lotta di liberazione per gli ebrei

Israele è un cancro, ogni giorno più letale per l'intero mondo, è il motore della 3ª Guerra Mondiale contro il mondo musulmano. Così l'unica soluzione è opporsi all'esistenza stessa di Israele come stato razzista, combattere per abbatterlo, proprio come il mondo musulmano ha chiesto di fare fin dall'inizio

Simon Jones

Simon Jones è un giornalista e traduttore nordamericano che vive in Uzbekistan. Ha scritto articoli sull’11 settembre, l’ex Unione Sovietica, il giudaismo, l’Uzbekistan e il movimento per la pace. I suoi articoli sono pubblicati su Couterpunch, Dissident Voice, Yellow Time e altri media alternativi in rete. Il suo indirizzo di posta elettronica è sj958@yahoo.com

La mia strada per Damasco [riferimento all'episodio biblico della conversione dell'apostolo Paolo, NdR]] riguardo la soluzione di un Solo Stato è stata molto lunga. Mentre da sempre ero stato critico dell’espansionismo israeliano, mi adeguavo tuttavia alla posizione convenzionale che la sofferenza degli ebrei durante la 2ª Guerra mondiale, in qualche modo, giustificava per lo meno l’esistenza dello Stato di Israele, che non c’era nulla da fare, pur essendo questa un’ingiustizia, per cui la soluzione mi sembrava quella si sostenere i tentativi di creare uno Stato Palestinese anche se costituito da rimasugli di territori, e poi superare la questione, andare avanti ecc. Fu soltanto quando il viscido Clinton fece concludere gli ‘accordi’ di Oslo, sostenuti dal «movimento pacifista» israeliano, il quale però non fece nulla per fermare i sempre più numerosi insediamenti che sorgevano nei territori occupati, e non prevedevano nessuna compensazione per i palestinesi derubati ed assassinati per mezzo secolo, che sorse in me il dubbio che quella via fosse sbagliata. «Ma guarda, gli ebrei stanno ottenendo miliardi di dollari in riparazione per le persecuzioni naziste. E i palestinesi allora?» mi misi a riflettere. Oslo veniva comprensibilmente rigettato dai palestinesi e poi rumorosamente pure dagli israeliani (sebbene, l’ipocrita Clinton lo difende ancora fermamente alla CNN). Divenne allora chiaro a tutti, eccetto ai presidenti americani, che i politici israeliani di ogni risma non avevano mai avuto intenzione di permettere la nascita di uno Stato Palestinese, anche di uno Stato a brandelli. La cinica passeggiata di Sharon sul monte del tempio rese ancora più chiaro, anche per i più ingenui benpensanti (sempre con l’eccezione dei presidenti americani) che il progetto politico vero di Israele non è altro che il Grande Israele (Eretz Israel) e la cacciata dalla Palestina di tutti i palestinesi, musulmani e cristiani. La frase di Ben Gurion «non importa ciò che i gentili dicono; importa solo ciò che noi facciamo» è diventata la frase di Sharon «non importa ciò che NOI diciamo; importa solo ciò che noi facciamo». Si continuano a propagandare Roadmaps e processi di pace – si, il cane abbaia, ma la carovana continua ad avanzare.

L’11 settembre non ha fatto che concludere la faccenda. Non importa se il Mossad sia o non sia dietro questa faccenda, Israele ora non è più un’escrescenza, una piccola irritazione che può essere tollerata e che alla fine guarirà o per lo meno non peggiorerà. Israele è un cancro, ogni giorno più letale per l’intero mondo, è il motore della 3ª Guerra Mondiale contro il mondo musulmano. Così l’unica soluzione è opporsi all’esistenza stessa di Israele come stato razzista, combattere per abbatterlo, proprio come il mondo musulmano ha chiesto di fare fin dall’inizio. Scusate ragazzi per averci messo tanto a capirlo!

Confrontarsi con il secolo ebraico

Come eravamo ingenui noi goyim progressisti, socialisti, e anche noi ebrei cosiddetti antisionisti! In realtà siamo tutti il prodotto della cultura secolare giudaica che ha trionfato in Occidente. Le cose stanno proprio come sostiene un critico entusiasta del libro di Yuri Slezkine Il Secolo Ebraico (Princeton University Press, 2004), in una presentazione del New York Review of Books, “L’epoca moderna è l’epoca ebraica – e noi siamo tutti, a livelli diversi, ebrei». Secondo costui, non solo gli ebrei si sono adattati meglio di molti altri gruppi alla vita del mondo moderno, sono addirittura diventati ovunque «il simbolo e il modello della vita moderna».”

Naturalmente. Il capitalismo e la psicanalisi sono, dopo tutto, la nostra alfa e omega. Il decano del giornalismo israeliano Amos Elon ha affermato in una recente intervista, «Gli ebrei tedeschi costituivano l'elite laica dell'Europa. Erano l'essenza del modernismo – l'avanguardia che si guadagnava la vita con la forza delle idee e non con la forza muscolare, erano dei mediatori, non dei lavoratori della terra. Giornalisti, scrittori, scienziati. (.....) Non c’era stato nulla di simile dopo il Rinascimento italiano» (http://www.counterpunch.org/shavit12272004.html). Così questa rivendicazione di egemonia culturale non è né nuova né particolarmente controversa, sebbene il fatto che alcuni accademici americani se ne vantino molto sfacciatamente, di sicuro è segno di una nuova arroganza nel programma ebraico (a prova di questo c’è anche il libro fresco di stampa [Princeton University] di Andrew Heinze intitolato Gli ebrei e l’anima americana, che scherzosamente raffigura in copertina la Statua della Libertà che stringe un candelabro a sette braccia).

Se partiamo dall’idea che conviene di più vivere una vita vera invece di fare la parte dello Shabbat Goy [1] , dobbiamo confrontarci, senza timori, con questa egemonia culturale ebraica, la quale, si può dire, include non soltanto il controllo delle leve intellettuali di comando, ma molto meno dignitosamente anche la diffusione della religione dell’Olocausto (l’uso dell’olocausto a fini politici o economici, ndt), la negazione della dimensione spirituale presente nell’umanità e il dominio del denaro. Per gli ebrei, ciò significa il ripensamento radicale della loro più profonda identità di ebrei, sotto qualsiasi foglia di cavolo essi possono pensare di essere nati. Invece per tutti noi altri, il progetto sionista di una Knesset mondiale a Gerusalemme (come annunciato recentemente dal presidente israeliano) non è accettabile per lo meno quanto non lo è stato il tanto vituperato Comintern, e inoltre mette in evidenza il pericolo che questi potenti cittadini dalla doppia lealtà rappresentano per i paesi che li ospitano. Tutto ciò porta inesorabilmente alla conclusione che il progetto sionista è sbagliato, in realtà sedizioso, e deve cessare. Gli ebrei in Francia dovrebbero diventare francesi. Allo stesso modo gli ebrei negli Stati Uniti dovrebbero essere prima di tutto e sopra ogni altra cosa americani. L’AIPAC è certamente l’agente di una potenza straniera. E ciò porta alla conclusione che gli ebrei in Palestina dovrebbero diventare palestinesi.

Non è necessario convertirsi al cristianesimo, il modo tradizionale in cui gli ebrei si sono fusi con il resto della società. È invece essenziale che gli ebrei della diaspora mettano fine alla loro doppia lealtà, o piuttosto alla loro lealtà verso Israele, ben al di sopra della lealtà verso il paese ospite. E che cos’è questo termine «paese ospite» se non un termine inventato dagli ebrei della diaspora? Basta così! Questi paesi sono a tutti gli effetti il loro paese, tanto quanto sono il paese dei goyim (non-ebrei, ndt) che vivono nella stessa strada, proteggono i confini, combattono le guerre e pagano le tasse. 

Israeliani ebrei e non ebrei israeliani

La correzione dell’identità ebraica sta già avvenendo in Israele. Centinaia di israeliani hanno richiesto alla Corte Suprema dello Stato che la loro «nazionalità ebraica» sia sostituita con una nuova nazionalità «israeliana» o «palestinese». Due milioni di cittadini israeliani, palestinesi, russi ed etiopi “già non sono più considerati «ebrei» dallo Stato ebraico, e non desiderano esserlo”. Ancora più numerosi sono coloro che (provenienti soprattutto dall’ex Unione Sovietica) sono, certo, considerati «ebrei» ma tuttavia vogliono rinunciare al loro esclusivismo ebraico. Prima di tutto vogliono essere israeliani o palestinesi, e non «ebrei».

Come afferma Israel Shamir in «Not Cricket» (www.israelshamir.net), “L’anima israeliana è il campo di battaglia tra due forze, tra due lealtà: la lealtà alla terra e la lealtà al popolo ebraico mondiale. La lealtà alla terra potrà costituire alla fine una base per la completa unione con il popolo nativo di Palestina. La lealtà alla comunità ebraica mondiale (Sono Israele) è la base della xenofobia, del Muro, dello Stato di apartheid». Ai palestinesi vengono negati diritti uguali per poter così mantenere il «carattere ebraico» dello Stato; l’assassinio e la cacciata dei palestinesi vengono compiuti nel nome dello popolo ebraico.

E’ proprio il carattere ebraico di Israele che costituisce la fonte del problema e deve essere eliminato. Gli ebrei non sono una nazione, sebbene gli israeliani potrebbero diventarlo, ma solo a condizione di tagliare il cordone ombelicale con la lobby ebraica fuori. La rimozione dei legami speciali tra le persone di lingua ebraica in Palestina e gli ebrei all’estero costituisce, in un certo modo, una vera e propria dichiarazione d’indipendenza israeliana. Solo quando tutti gli israeliani (ebrei e palestinesi) saranno trattati allo stesso modo, lo Stato di Palestina/Israele diventerà una nazione, governata secondo il principio democratico «una persona, un voto», con diritti umani fondamentali garantiti a tutti. Si, certo, gli israeliani temono la vendetta per il mezzo secolo di rapina, assassinio e inganni. Ma quando tratti i musulmani con dignità e rispetto, essi rispondono allo stesso modo. Comunque, gli ebrei israeliani dovranno correre questo rischio. Non c’è altra soluzione. Israele si è costruito questo letto di spine e ci dovrà dormire dentro.

Attenzione alle mezze misure

Non ci possono essere mezze misure come ad esempio la «sostituzione dello Stato Ebraico d’Israele con una Palestina arabo-ebraica, democratica e secolare» come è stato proposto da qualcuno. «Arabi» ed «ebrei» non sono due nazioni. Gli «arabi» sono un gruppo linguistico-culturale di popoli diversi che include i palestinesi, i siriani, gli egiziani di tutte le religioni, gli «ebrei» sono una casta religiosa, «gente di una (sola) classe» secondo la definizione che Abram Leon ha dato di loro. Non c’è modo di evitare questo punto: gli israeliani dovrebbero essere de-giudeizzati, cioè, scollegati dal popolo ebraico all’esterno, in modo che possano fondersi con i nativi palestinesi.

Stiamo dicendo esattamente ciò che dice Marx in «La questione ebraica», che fu scritto prima della nascita del sionismo ma che è attuale quanto mai. Quando Marx afferma che «l’emancipazione degli ebrei nel suo significato ultimo è l’emancipazione dell’umanità dal giudaismo» si riferisce alla caricatura storica della tribù razzista, vendicativa, egoista degli ebrei della diaspora, una caricatura che attirava i pregiudizi come un parafulmine attira i fulmini, ed egli si rivolge agli ebrei invitandoli all’assimilazione nelle società in cui vivono e quindi al ripudio dell’identificarsi con quelle caratteristiche umane negative. La figura di Shylock deve essere condannata perché egli abbraccia la caricatura, non si deve simpatizzare con essa come si fa nella recente hollywoodiana presentazione in sordina di un aspetto del nostro retaggio culturale.[2] Similmente, si deve rigettare il sionismo e «Eretz Israel», e non inchinarsi davanti ad essi. Jean Daniel nel suo libro La prigione ebraica sostiene che il sionismo è stato visto all’inizio come una «fuga dalla soffocante chiusura e dalle costrizioni del ghetto» che colpivano la vita ebraica, cioè come un’altra visione secolare della liberazione ebraica, contraria alla posizione di Marx. Moses Hess, che in un primo momento era stato alleato di Marx, considerava questa, non certo l’assimilazione, come l’unica via alla liberazione e degli ebrei e dell’umanità. Ma il risultato «Israele» ha dimostrato di essere solo un altro sistema chiuso; questa volta non più limitato alla famiglia o shtetl, ma uno Stato. Il sionismo ha solo sostituito un inferno con un inferno ancora peggiore, diffondendo la sventura tutto intorno a sé. Come la formula di Marx rimane sempre valida, così anche la vecchia massima «puoi togliere l’ebreo dal ghetto ma non puoi togliere il ghetto dall’ebreo».

E allo stesso modo in cui il tradizionale sentimento anti-ebraico era fondato sulla riluttanza degli ebrei a fondersi nella società, così, oggi, la crescente opinione anti-ebraica è il risultato del fatto che la lobby ebraica mondiale sostiene attivamente i crimini israeliani in Medio Oriente e dichiara la propria lealtà prima di tutto e principalmente a Israele.

Quando le università, le chiese episcopali e presbiteriane cercano di prendere una posizione fondata sulla morale contro i crimini israeliani, anche gruppi che si deve supporre amino la pace, come ad esempio, Rabbini per i Diritti Umani, denunciano i de-investimenti da Israele come un atto di «antisemitismo» o persone come Noam Chomsky dicono che non è ‘efficace’, e terroristi ebraici minacciano di bruciare le chiese presbiteriane. Ma il de-investimento in Israele non è una politica contro gli ebrei, malgrado i tentativi frenetici di presentarla come tale da parte della lobby ebraica e dell’organizzazione Rabbini per i Diritti Umani. E’ semplicemente contro i crimini israeliani. L’insieme dell’antico rifiuto di fondersi nella società con l’attuale legame tra gli interessi degli ebrei della diaspora e i crimini di Israele è la vera causa del sentimento anti-ebraico, e non qualche aberrazione mentale particolare dei goyim. Si metta fine all’identificazione con la caricatura di Shylock, si segua la via dell’assimilazione, e così si taglierà la testa all’idra anti-ebraica.

Come succede riguardo alla logica del de-investimento, la logica della necessaria assimilazione è contrastata dagli ebrei con alte grida del tipo: «sposati una shikse ( termine ebraico ironico o spregiativo per designare una ragazza non-ebrea, ndt) e darai una mano a finire il lavoro cominciato da Hitler!» Ma come dice Elon, «Se la gente vuole essere assimilata fino al punto di scomparire all'interno della società generale senza lasciare traccia, è loro diritto farlo. Non penso che sia una tragedia. Non è la fine del mondo». Poi ci sono gli pseudo-assimilazionisti: «Ma io sono un buon americano, sono assimilato». Questo tipo di assimilazione, nello stile di Slezkine, somiglia a quella degli alieni nel film cult di fantascienza «They live!» (1988), i quali sono del tutto simili ai nativi, per intenzioni e obiettivi, (sono naturalmente superiori ad essi), e lentamente colonizzano la terra, prendendo il controllo dell’economia, della politica e della cultura. Possono essere scoperti solo con l’ausilio di occhiali da sole speciali. Naturalmente l’eroe della storia usa questi occhiali e i goyim (pardon, volevo dire i terrestri) trionfano, secondo la tradizione del cinema americano.

Happy ending

Perbacco! Nella vita reale, qualche volta, ci vorrebbe proprio una bacchetta magica?! Non c’è; tuttavia, lo smantellamento del ghetto ebraico mondiale sarà uno sviluppo meraviglioso proprio per gli ebrei. La vasta maggioranza di essi saranno solo americani o solo britannici o solo francesi; una piccola comunità di innocui ebrei ortodossi rimarrà  tra di noi come gli Amish o altre minuscole minoranze religiose. La Palestina sarà riunificata, i palestinesi nativi torneranno a occupare la loro naturale collocazione e quegli ebrei che decideranno di restare metteranno profonde radici nel suolo della loro terra d’adozione.

Lo psicoterapeuta ex-israeliano Avigail Arbarbanel sostiene che l’identità ebraica è costruita sulla paura, che si tratta di una costruzione politica usata per creare una identità paranoica. Il musicista e scrittore ex-israeliano Gilad Atzmon si spinge più oltre, definendo l’identità israeliana una specie di schizofrenia.[3] Si, certo, c’è la pressante necessità di convincere gli ebrei israeliani che non saranno annichiliti come molti lo sono stati nella Seconda Guerra Mondiale (insieme a comunisti, omosessuali e zingari), e dobbiamo invece sostenere quegli ebrei israeliani liberi da pregiudizi che considerano l’integrazione con i nativi palestinesi come la loro vera lotta di liberazione, liberazione dal razzistico nocciolo duro e letale del giudaismo.

In termini biblici, gli ebrei devono affrontare una volta per tutte il loro preteso status di ‘popolo eletto’ – cioè devono sbarazzarsene. Questo d’altronde è il vero significato della parola ‘eletto’. Nello spirito di Budda e Gesù, l’appagamento spirituale si ottiene attraverso un percorso di rinuncia piuttosto che attraverso il razzismo e la guerra. Ora che il «secolo ebraico» è dietro di noi, possiamo dire che gli ebrei sono stati ‘scelti’ dalla storia (Dio o qualsiasi altra cosa) per aprire la strada all’egemonia universale dello spirito sulla materia. L’intelligenza ebraica di tanti scienziati, capitalisti, filosofi, ecc, è giustamente riconosciuta. Tuttavia, le due soluzioni secolari messe in pratica nel secolo ebraico perché ‘il popolo eletto ottenesse la liberazione’ cioè «il comunismo utopico e il razzismo sionista» hanno dimostrato essere dei tragici fallimenti e per gli ebrei e per i gentili.[4] In termini pratici oggi la soluzione richiede di abbandonare quei progetti avventati, rinunciando allo stato ebraico del «sangue e della carne» e di abbracciare la soluzione di un solo stato in Palestina. Solo rinunciando a stare sempre nei titoli di prima pagina e cercando di mischiarsi nelle società in cui si trovano, gli ebrei potranno liberarsi della loro storia tragica, e trovare una genuina integrazione con la razza umana, da uguali. Non mi stancherò di ripeterlo: gli ebrei che desiderano rimanere in Israele dovranno diventare prima di ogni altra cosa cittadini di Palestina (una rosa, chiamata con altro nome, profuma lo stesso), rinunciando ai mitici legami di sangue con i cittadini ebraici di altri paesi. Quanto più gli israeliani continueranno a spogliare e assassinare la popolazione nativa, nel perseguimento del sogno perverso di un Grande Israele e dell’egemonia della comunità ebraica mondiale, tanto meno sarà probabile l’integrazione degli ebrei in Palestina e tanto più crescerà ovunque il sentimento anti-ebraico. Non sono affatto sicuro che una trasformazione così radicale sia possibile. Se lo è, oltre all’assimilazione degli ebrei della diaspora nelle loro società, essa porterà a un nuovo nazionalismo in Palestina, presumibilmente con una sincera dose di universalismo, come il ‘nazionalismo’ canadese. Sfortunatamente, affinché ci sia cambiamento, ci vorrà, come per il Sud Africa, pressioni esterne e una critica senza sosta dell’apartheid che il sionismo implica, ma «poliziotto buono, poliziotto cattivo»[5] dobbiamo aiutare sia gli israeliani, sia gli ebrei della diaspora a capire che, come in Sud Africa, sia il padrone che lo schiavo otterranno un beneficio dalla fine dell’ingiustizia. Lunga vita a una Palestina unificata!

 

Note

[1]  Shabbat goyim sono i non-ebrei che vengono usati dagli ebrei ortodossi per accendere la luce durante lo Shabbat, festa ebraica in cui un ebreo osservante non deve far nulla, nemmeno accendere la luce. Qui si intende ‘servo, strumento degli ebrei o dei sionisti’. [indietro]

 [2] Non si tratta, a mio avviso, di una ‘presentazione in sordina’ della caricatura dell’ebreo spilorcio e crudele. Il recente rifacimento dello Shylock di Shakespeare, con un grande Al Pacino, sembra in realtà la trasformazione di un sordido usuraio in un eroe positivo ma perseguitato e sfortunato. Sappiamo che Hollywood è diretto da facoltosi ebrei, in gran parte sionisti, non si poteva quindi immaginare che ne uscisse una rappresentazione dell’usuraio ebreo se non in termini positivi e commoventi, quasi strappalacrime. [indietro]

[3] Arbarbanel e Azmon hanno rigettato il sionismo e, di conseguenza, hanno abbandonato Israele e sono andati a vivere all’estero [indietro]

[4] Le due cose non sono sullo stesso piano. Il bolscevismo, questo sarebbe il «comunismo utopico», ha cercato di integrare gli ebrei nel popolo russo e vi è riuscito, almeno finché è durato. Il sionismo nasce dal rifiuto di integrare gli ebrei nelle società in cui essi vivono, in questo è molto più simile all’«utopia nazista». In quanto a dire che l’«utopia comunista» è fallita, è ancora presto per dirlo. La storia ci dirà un giorno come veramente stanno le cose. Il comunismo sovietico comunque, per gli ebrei, è stata la salvezza e non un «tragico fallimento». La vittoria dell’Unione Sovietica contro il nazifascismo nella seconda guerra mondiale ha salvato milioni di ebrei russi e europei dai campi di concentramento. Mentre gli USA e gli inglesi stavano a guardare. Altra storia è invece il modo in cui gli ebrei sovietici (e non solo quelli) hanno ricompensato l’Unione Sovietica per averli salvati. Oggi la stragrande maggioranza degli ebrei del mondo sono schierati con gli Stati Uniti d’America e non perdono occasione di attaccare la Russia (ndt). [indietro]

[5] Tecnica di interrogazione dei sospettati, in cui un poliziotto si comporta da amico, l’altro ha un atteggiamento minaccioso; il bastone e la carota insomma. [indietro]

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