LIBIA, ARRIVANO I LORO.
INVECE IN IRAQ...

Fulvio Grimaldi

Fonte: Fulviogrimaldi.blogspot.com
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1 marzo 2011


Sanzioni dall'ONU, congelamento dei beni libici all'estero, incriminazione di Gheddafi  al Tribunale dell'Aia che ha incriminato il sudanese Bachir, ma mai Bush, Clinton, D'Alema, Blair, Olmert, Peres, Netaniahu, o i fantocci sanguinari Al Maliki dell'Iraq, Calderon del Messico, Mubaraq, Uribe della Colombia, Kagame del Ruanda (vero responsabile del genocidio), flotta della "comunità internazionale" in arrivo, No-fly zone decretata con la scusa dei mai avvenuti bombardamenti di Gheddafi sulla folla, gli epigoni londinesi del criminale di guerra Blair in arrivo dal cielo con bombe vere, portaerei e marines Usa pronti alla sbarco sulle strade aperte dalle migliaia di "consiglieri" militari americani e inglesi e di forze spciali tedesche già in Cirenaica, visto che gli ascari di Bengasi, nonostante i rinforzi e le armi della giunta militare egiziana non bastano, la solita caccia al "tesoro di Gheddafi" (30 miliardi solo negli Usa) che  si scopre essere fondi dello Stato (come il "tesoro" di Milosevic, che poi era lo stipendio di presidente, più modesto di quello di tutti i governanti europei). Uno tsunami mondiale di menzogne e diffamazioni Cia, con tra i capifila il "sinistro TG3 con le Lucie Goracci che chiama "milizie" l'esercito regolare e "truppe" gli ascari dell'imperialismo e tal Nico Piro, embedded in Afghanistan per glorificare le imprese degli occupanti italiani a cui scappa un "vogliamo la sharia" del fuoruscito sul confine tunisino.Tutto per riprendersi, dopo aver a lungo preparato la sedizione delle tribù occidentali filomonarchiche, secessioniste e filoccidentali e lanciato in Libia i mercenari egiziani, la colonia tolta da Gheddafi a inglesi e italiani e farne una nuova Somalia, uno Stato fallito frantumato, zona franca per il furto di petrolio e acqua, l'assedio all'Africa, l'estromissione di Cina e Europa da investimenti, mercati e risorse. L'Italia viene risarcita dell'esclusione-riduzione di Eni, Finmeccanica, Fiat, Impregilo e Cogefar, con il risparmio dei 5 miliardi di euro a suo tempo concordati dal reprobo e agonizzante Berlusconi per coprire con un pannicello caldo l'oceano di sangue allestito da Mussolini e predecessori in Libia.

Tutto questo, ricordatevelo sempre e chiamate a rinforzo il ricordo della guerra mediatica a precedenti paesi disobbedienti, senza un'indagine sul luogo dell'ONU, delle Commissioni dei Diritti Umani, di qualche organismo giuridico internazionale, per quanto venduto, di un Gruppo dei Cinque (con Russia e Cina), senza aver mai dato voce a un solo rappresentante della parte demonizzata. Ma esclusivamente sulla base di servizi dei media alleati ed eterodiretti, facenti capo allo stesso sistema di potere che gestisce i marines, gli alpini, il fosforo, l'uranio, la Exxon e la Monsanto, di fuorusciti ansiosi di riconoscimenti, di miliziani integralisti e filomonarchici, pagati, modernamente armati, pratici di linciaggi e delle mignotte giornalistiche che vi si abbeverano per il piacere dei De Benedetti e delle lobby Usraeliane in capo ai media

Tutto questo, infine, nel momento critico per gli aggressori della Jamahirja Popolare Socialista perché si vedono finalmente testimoni credibili senza la captatio benevolentiae presso Lerner, Minzolini, Botteri e fasulli dirittumanisti vari, una controffensiva delle forze del governo che hanno bloccato i rivoltosi a Misurata, l'uscita di verità sulla natura e sugli obiettivi della guerra civile scatenata su comando imperiale  e i dubbi che iniziano a circolare sull'intera operazione grazie a qualche analisi onesta del quadro geopolitico, geostrategico e geoeconomico. I  fumi tossici diffusi dai terroristi mediatici rischiano di svaporare. Da testimoni autentici, preparati, come Paolo Pazzini, che in Libia vivono da anni e hanno altre fonti affidabili, ma che si devono accontentare di lettere ai giornali, riceviamo valanghe di conferme a quella che, per gli onesti, è una semplice operazione di logica. Le navi di disertori mai arrivate a Malta. Nessuna bomba mai lanciata da Gheddafi su nessuno. I governativi, chissà perchè chiamati "miliziani", di cui nessuno ha potuto constatare le "irruzioni casa per casa", gli immancabili stupri (suscitano l 'adesione delle donne e richiamano i 200mila stupri serbi per i quali si sarebbe dovuto impegnare l'intero esercito serbo giorno e notte per tutta la guerra), le uccisioni di feriti negli ospedali. Pieno controllo lealista su gran parte del paese. Armamento pesante arrivato ai rivoltosi e che non può essere stato tolto in tali quantità alle forze regolari, visto che queste non sono state ancora impegrnate contro gli insorti (c'erano solo i disertori e gli ammazzati della polizia e della guarnigione locale). Lo sbarco di unità di paracadutisti tedeschi portati dall'Afghanistan all'aeroporto libico di Al Nafoura (Der Spiegel), la nave da guerra britannica HMS Cumberland e altre navi lanciamissili che il 24 febbraio hanno sbarcato centinaia di militari francesi, britannici e statunitensi a Bengasi con il compito di armare e addestrare i ribelli, dirigerne i comitati, predisporre infrastrutture per ulteriori sbarchi (sito israeliano Debka).

Diventa manifesto il carattere antinazionale e filo-occidentale di questa "primavera araba" (ben diversa da quella di Tunisi, Cairo Yemen, Bahrein, Baghdad, dove nessun umanitario si è sognato di fornire armi e marines ai manifestanti inermi massacrati e imporre sanzioni ai massacratori, anzi). La smentita delle iperboliche cifre di vittime (10mila morti e 50mila feriti per i quali non basterebbeo tutti gli ospedali del Nord Africa), la scoperta che i famigerati "mercenari" sono cittadini libici immigrati e da tempo inquadrati nell'esercito. Un'ecatombe di vittime che si rivela il cimitero della città. Lo smascheramento dell'astuta scemenza della "fuga in Venezuela", mirata a coinvolgere l'altro "demonio" Chavez. E anche, per i meglio informati, la percezione del ruolo incendiario della ONG Usa Human Rights  Watch, la prima ad inondarci di atrocità gheddafiane, ma anche l'organizzazione finanziata e ispirata dal sionista "filantropo" George Soros che sosteneva la quinta colonna imperialista in Serbia e le "rivoluzioni colorate" ovunque e s'era inventata i 400mila curdi ammazzati da Saddam.  

La tecnica degli uni e degli altri, intendendo i media di destra e sinistra e i loro padrini, è quella collaudata di buttare nella stessa zuppa mediatica  le capre e i cavoli. I  cavoli ogm delle "rivoluzioni colorate" o "dei fiori" (Iran, Tibet, Georgia, Serbia...) mescolate  alle capre DOC delle insurrezioni contro tiranni servi dell'Impero e zimbelli del FMI globalizzante. Con la nobiltà e la sincerità delle seconde cercano di coprire il mercenariato vendipatria delle prime. E in questa brodaglia, resa tossica dalla contaminazione con la mutazione genetica, ci sguazzano tutti: i soliti amici del giaguaro, i soliti utili idioti (o finti tali) e, ahinoi, la maggioranza bue del popolo. Esplicitando: coprono con le insurrezioni di massa, spontanee o piuttosto innescate ed alimentate da anni di lavorio sotterraneo di gruppi antagonisti repressi, cioè con l'autentica primavera araba in Egitto, Iraq, Tunisia, Yemen, Bahrein, Somalia, Giordania, Marocco, le operazioni sporche, per quanto "colorate", con gran tempismo organizzate dalla criminalità organizzata detta "comunità internazionale", un percentuiale infima dell'umanità, ma dotata del quasi monopolio dell'informazione e del controllo di menti e corpi. Danno, così, un'immagine seducente alle carognate di Impero e ascari al traino, appiccicandovi il logo e gli slogan della rivoluzioni che contro l'impero e la sua globalizzazione della miseria e sottomissione lottano..

L'elemento tragicamente funzionale  per questo contesto sono i trogloditi dell'informazione "di sinistra" che vestono la propria decerebrazione, o criptocomplicità, con le candide tuniche del moralismo dirittoumanista. Una furbata imperialista che, accoppiata alla "guerra al terrorismo" e alle manette della nonviolenza, è servita negli ultimi vent'anni a far fuori buona parte del quadrante geopolitico resistente all'imperialismo: Jugoslavia, Serbia, Iraq, Afghanistan, Honduras, Palestina, Pakistan, come a tenere in piedi narcostati e satrapie clienti, dal Messico all'Egitto, dal Kosovo alla Colombia, dall'Indonesia alle Filippine. Eccelle per imbecillità nella colonna di cavernicoli che lubrificano il rullo dei bulldozer mediatico-militare occidentale, tale Gennaro Carotenuto. E' seccante fargli pubblicità, anche negativa, ma mi serve come modello per tutta una vociferante, spocchiosa, disinformata, ipocrita, quinta colonna che, ahinoi, vantando qualche credibilità tra l'incolto e l'inclita per meriti genericamente umanitari, spesso autoassegnatisi all'ombra di figure di autentico valore, fa più danno alla verità e, dunque alla coscienza e all'azione liberatrici, dello stesso uragano di menzogne sollevato dal nemico evidente. Sono il tarlo che mina il mobile dall'aspetto  integro, sono la tarma che ti fa ritrovare il bel maglione tutto sforacchiato, sono il roditore che corrode la pianta  alla radice.

Questo Carotenuto coltiva un certo pubblico interessato all'America Latina, di cui, mescolando verità scontate e le classiche stronzate degli ipocriti dai distinguo grilloparlanteschi, si proclama esperto. Dopo aver infangato della sua bigotta religione dei "diritti umani", versione cattolico-dalailamesca-obamiana, ogni movimento che allo sterminio imperiale si oppone con un minimo di forza, ora, sulla Libia, sbertuccia l'intero mondo progressista e rivoluzionario dell'America Latina. La colpa dei vari Chavez, Lula, Ortega, Kirchner, Castro, come delle coalizioni latinoamericane, Mercosur, Unasur, sorte in reazione all'assalto neoliberista e militare di USA-UE, e dei loro media Telesur, La Jornada, Pagina 12, Resumen, sarebbe di non essersi inseriti nella gigantesca campagna di disinformazione di Cia e Mossad e relativi velinari e di avergli fatto il controcanto della verità.

Meglio Minzolini o il Manifesto, con la loro rappresentazione dei fatti libici come la carneficina del suo popolo da parte di un tiranno sanguinario, uscito di senno. Meglio inondare la gente delle atrocità inventate a carico di un governo sotto assalto da parte di bande guidate e armate da chi non tollera neanche quel grado di indipendenza nazionale che consiste in una collaborazione economica senza costi di sovranità e senza vampirismo sociale, che non la "stolta analisi ideologica e geopolitica" degli avvenimenti fatta da quegli incompetenti dell'antimperialismo di Chavez,  Evo, o Fidel. Come se non fosse proprio quell'analisi di chi la prestidigitazione dei predatori la sperimenta - e smaschera - da decenni, a sgretolare l'edificio di fango e di menzogne costruito dagli agenti immobiliari della cementificazione imperiale. Avessimo noi una Telesur, una Jornada e i tanti altri organi d'informazione del Sud del mondo. E invece abbiamo chi il cervello di informatore lo porta all'ammasso  e il petto agli elargitori di medaglie ai bravi ragazzi. Tipo Fazio e Saviano.

Lasciamo perdere questo galoppino alla rincorsa di credibilità in ambito benpensante, le cui eclatanti scemenze alla fin fine tolgono forza al mulino dei liquami tossici e dedichiamo una parola al Manifesto. Mai s'era visto in un giornale una tale strepitosa opposizione sui fatti libici, nelle medesime pagine, tra versioni di segno contrario. Da un lato bravi giornalisti, della scuola di Stefano Chiarini, che combinano la visione della realtà sul posto, Matteuzzi  a Tripoli, in tutte i suoi chiaroscuri, con l'analisi di Manlio Dinucci, uno che meglio di tutti studia e illustra i meccanismi geopolitici e geostrategici dell'imperialismo alla riconquista di paesi, risorse, mercati; dall'altro, le quinte colonne della lobby, Rossanda, Sgrena, Forti, Lettera 22, Battiston, impegnate in tutte le aree di scontro tra popoli e aggressori a sostenere le ragioni umanitarie e "democratiche" della piovra imperialista. Come pensi la direttrice, Norma Rangeri, a offrire in tal modo ai suoi sconcertati e quindi fuggitivi lettori strumenti di conoscenza, riflessione, azione, resta un mistero. 

Li vediamo dappertutto i limiti di queste fonti alle quali tocca abbeverarsi all'affannosa ricerca di qualche barbaglio di verità. Il guerrafondaio e ballista Nigro, di Repubblica, che ci vuol far credere che i funzionari di Gheddafi l'avrebbero accompagnato a intervistare i rivoltosi nella Zawiya da loro occupata, per poi, tutti contenti, andarlo a riprendere tra i nemici e riportarlo nell'albergo di Tripoli ( e, coerentemente, nella pagina a fianco, il titolo "Menghistu, Bokassa e gli altri, così l'Africa salva i suoi dittatori" e giù contumelie razziste contro i governanti africani, sorvolando su chi, avendo ammazzato gente come Lumumba o Sankara e carcerato Mandela, ha installato questi suoi clienti); Santoro che sulla Libia ci rifila un logoro e sputtanato arnese del peggiore razzismo militarista come Luttwack; Fazio che, in pieno raptus savianeo-sionista, rasenta l'orgasmo a sentire squittire il gioiello della satira coprofila e sessuomane, Littizzetto, i borborigmi della propaganda sul "pazzo furioso" di Tripoli, sui suoi 50 cavalieri berberi, sulla sua tenda a Villa Pamphili, sui suoi fantasiosi addobbi.  Perchè, anzichè esibire la sua anticultura razzista su turbanti, cavalieri e tenda, astuti gesti simbolici di rivalsa nei confronti degli ex-colonizzatori, la pierre del "walter" e della "jolanda" non si occupa del satrapo inghirlandato e ingioiellato del Vaticano, delle scintillanti uniformi dello sterminatore Balbo, delle grottesche sconcezze di Dolce e Gabbana, o delle smaglianti fattorie dei coloni italiani che nelle tende dei campi di concentramento e di sterminio del governatore Graziani, modello copiato agli inglesi e proposto ai nazisti, ridussero e uccisero metà della popolazione libica? 

Se vi va di stare nel calduccio del coro dallo spartito obbligato, sbeffeggiate pure Gheddafi per le sue eccentricità di modi e vesti, infierite dall'alto della vostra aristocratica democrazia sull'assenza di partiti e sulle astruserie della costruzione statale, rampognate gli episodi di dura repressione, sdegnatevi delle piroette di un rivoluzionario anticoloniale che si riduce a condividere consigli d'amministrazione e pozzi con gli avvoltoi del capitalismo (che altrimenti gli avrebbero reso il paese come l'Iraq o Haiti). Ma, magari, confrontate la vita di un qualunque libico, beduino o operaio, scolaretto o infermo, omosessuale o donna, con quella del fratello arabo e africano della porta accanto. Studiatevi il Libro Verde e rintracciatevi Marx e Gramsci, Averroè e Fidel. Affiancate i burka di Bengasi alle donne della scorta di Gheddafi, o dell'università di Tripoli. Giudicate chi ha conquistato più dignità, la Libia di Gheddafi o quella del Senussi accovacciato ai piedi della Regina. Pensate all'indefesso lavoro di Gheddafi, creatore dell'Unione Africana - e di questa è espressione la legione dei "mercenari", per unire il continente in un fronte politicamente ed e conomicamente in grado di constrastare i monopoli occidentali del potere. E poi immaginate cosa di quel popolo fiero e ricco faranno gli F16, i carri Abraham, gli azionisti della Shell e le immancabili mafie di armi, droga ed ecocidio nella loro marcia da Tripoli a Pretoria. Altro che Graziani.   

Noi ci vantiamo di obbedire alla sacra legge "non avrai altro dio all'infuori di me", o "chi non ama Gesù nei suoi ottantanni va all'inferno per l'eternità". Legge più orrida di quella sul fine-vita che va allestendo la coppia santo satrapo-guitto mannaro. Gheddafi, tuttavia, ci ha offerto l'arma di distrazione di massa: "Chi non ama Ghedddafi deve morire", gli è stato fatto dire nella Piazza Verde da un squinternato interprete. E se con Gesù la pistola alla tempia dei mortali è almeno maneggiata dal divino, con Gheddafi è in mano a un delirante psicopatico.Peccato che poi siamo rimasti inchiodati al familiare ricatto cristiano allorchè la traduzione corretta è risultata: "Se il popolo non lo ama più, Gheddafi deve morire". Pensate a quali mezzucci da tre carte ricorre questo giornalismo gigolò.

 Del resto, per il razzismo eurocentrico che accomuna nella stessa visione di valori destre e "sinistre", non c'è governante che si opponga al cannibalismo della "civiltà superiore" il quale non sia folle, non assomigli a Hitler, non deliri: Milosevic, Saddam, Castro, Chavez, Nasrallah, Ahmadi Nejad... Basterebbe un minimo di rispettoso approfondimento delle culture in questione per rendersi conto che nei discorsi di costoro, espressi nell'oratoria delle proprie tradizioni, il "delirio" e la "follia" sono la denuncia dei complotti e crimini imperialisti, l'affermazione di come stanno veramente le cose, la determinazione a resistere. Si sono mai sentite dai rivoluzionari o resistenti citati le davvero demenziali inversioni tra realtà e falsità, di atti e intenzioni, ontologicamente proprie di illusionisti come Berlusconi, Bush, Obama, Blair, Ratzinger? 

In ogni modo ci deve essere, oltre all'insipienza maturata nella lunga contiguità all'ideologia del padrone, una buona dose di malafede in chi non scorge l'evidenza abbagliante della ripetitività delle grandinate di menzogne e calunnie nell'era della restaurazione coloniale. Paesi sottratti al dominio del socialismo reale, a lavoro, sanità, istruzione per tutti, al benessere dignitoso, così vengono consegnati al cannibalismo della globalizzazione neoliberista, a partire dall'invenzione dei "trucidati" da Ceausescu a Timisoara (cadaveri sottratti all'obitorio); dalla Jugoslavia anti-Nato e antiliberista fatta a pezzi con la bufala della "pulizia etnica" e di Sebrenica; dall'Iraq cancellato dalla geografia umana grazie alle fandonie dei "neonati del Kuweit strappati alle incubatrici", delle armi di distruzione di massa, dei curdi gassati; fino all'Honduras golpizzato perchè un presidente avvicinatosi al processo liberatore dell'ALBA "voleva farsi presidente a vita"... Avete presente i 300mila profughi libici che starebbero per avventarsi sulle nostre sacre sponde? I 10mila martiri inermi massacrati da terra, mare, aria tra Tripoli e Bengasi? I mercenari africani macellai di Gheddafi (e invece dal 1980 nella Legione Araba, integrata all'esercito)? Il proprio popolo bombardato dal dittatore? Riconoscete quell' Antonio Cassese che invoca una condanna del tribunale internazionale, ma, da magistrato osservante dell'innocenza fino a sentenza definitiva, esige che prima  sulla Libia si scagli la Nato? Allora tirate fuori dal cassetto i ritagli che urlavano (con Giovanna Botteri del Tg3, strega di Haensel e Gretel, al confine tra Albania e Kosovo): mezzo milione di kosovari in fuga dalla pulizia etnica serba (ed erano alcune migliaia inseguiti dalle bombe Nato), 400mila curdi sterminati da Saddam (tutti ricomparsi vivi), le milizie scannamusulmani di Arkan, e ancora Saddam che spara gas nervino sul suo popolo ad Halabja (gas invece iraniano, visto che, come documentato da governi e Cia, fin dal 1991 Baghdad aveva distrutto tali armi). E nel dossier Cassese troverete lauree ad honorem imperiali per aver incastrato e lasciato morire Milosevic da presidente del Tribunale sulla Jugoslavia, per aver condannato il presidente sudanese Bashir, vittima del complotto contro il Sudan, da magistrato del Tribunale dell'Aja e per aver spostato dall'ovvio  responsabile Israele agli Hezbollah la paternità dell'assassinio di Rafiq Hariri, nella qualità di presidente del tribunale ad hoc. Un benemerito che non si fa mancare nessuna infamità. 

Si vuole un "intervento umanitario"?  Madamina il catalogo è questo. E così Mike Mullen, capo di Stato Maggiore Usa, si è fiondato in zona, e così Hillary Clinton "non ha escluso nessuna opzione", e così il vertice Nato a Budapest, con l'infojato Rassmussen, inalbera scimitarre e uranio, e così le flotte tedesca, italiana, britannica e Usa e, ci scommetto, i sommergibili nucleari dei nazisionisti, si avventano sulle coste libiche, e così una fonte israeliana ci rivela che forze speciali Usa, a dire squadroni della morte, sono già a Misurata e agenti di Cia e Pentagono stanno istruendo il neonato "governo transitorio libico" su come combinare la secessione della Cirenaica (nuovo Kosovo) con l'assalto finale a Tripoli e su come, nel caso occorresse, in quanto "Comitato Nazionale", in effetti "governo democratico provvisorio", invocare il "soccorso umanitario"  alle forze armate che stanno salivando ai confini. IL deja vu è accecante, ma pochi lo guardano e ne colgono la lezione.

Del resto, agenti infiltrati e mercenari locali, solitamente chiamati "dissidenti", devono, come suole, aver lavorato da lunga pezza tra le maglie del controspionaggio libico. Strumenti? Quelli tradizionali e collaudati: la frantumazione del tessuto sociale unitario con l'inoculazione del virus tribale, etnicista, religioso, sociale. In Libia di religioso c'era l'attrito tra Oriente a forte tradizione islamista e l'Occidente laico e modernista e, come risaputo, l'integralismo islamico, dai tempi in cui in Texas si stampavano manuali che insegnavano la jihad alle madrasse afghane, è stato uno strumento privilegiato di USraele con Reagan e seguenti. Nel sociale c'era poco da sfrucugliare, visto lo standard di vita e di servizi sociali che faceva l'invidia di tutti i paesi della regione e vista anche la partecipazione alla gestione della cosa pubblica dei Comitati Popolari Rivoluzionari, indubbiamente più vicini a un governo di popolo di quanto non lo siano molti Stati amici dell'Occidente. Nell'etnico si poteva sfruttare un antico rimasuglio di altezzosità dei chiari del Nord vero gli scuri del Sud. A rafforzare questo diaframma, solo parzialmente intaccato dalla costruzione della nazione, ci si è anche inventati la turba selvaggia dei "mercenari africani".  Ma il campo della più fertile coltivazione è sembrato quello tribale. Tra le tribù suscettibili, per antiche divergenze con lo Stato centralizzato, di porgere un orecchio alle sirene della dissoluzione dell'assetto attuale, i Warfallah, mentre impermeabili sono rimaste le tribù dei Magarha e dei Gaddadfa, maggioritarie nel paese e dalle cui parti non sono arrivati né i "volontari" egiziani che hanno invaso Bengasi, né le armi.

Ora, dunque, il Nuovo Ordine Mondiale tocca alla Libia, paese di tribù disperse e  a volte in conflitto, sottratto al burattino degli inglesi, di cui i rivoltosi oggi innalzano la bandiera coloniale, e fatto nazione, in fattiva sintonia con tutti i processi di liberazione e finalmente rivendicatore dei risarcimenti dovuti dallo stupratore genocida italiano. Libia sottoposta di conseguenza a pressioni mortali ininterrotte, circondato da paesi clienti del nemico, sanzionato, boicottato, additato all'obbrobrio internazionale, aggredito, implicato in atti di terrorismo fabbricati dagli assedianti. Libia che, nella scomparsa di un equilibrio tra superpotenze rivali che ne garantiva la sopravvivenza, non aveva altra scelta che quella di evitare la obliterazione del suo popolo accomodandosi a una convivenza con gli interessi economici esterni, più europei, cinesi, russi che statunitensi. Convivenza che, comunque, non permetteva che si rapinassero al popolo, come successo in Vietnam e come si rischia a Cuba, le sue conquiste, i suoi diritti, il suo benessere e anche, checchè si voglia negare, la sua partecipazione al processo decisionale. Corruzione? Probabile, come in tutte le burocrazie che nel tempo si ossificano a salvaguardia della propria inamovibilità. Autoritarismo? Niente di paragonabile a quello che l'Occidente installa e protegge nei suoi dominii e, aggiungo, nemmeno alla nostra "democrazia" dove il "demo" di "crazia" ne sa tanta quanta glie ne concede la manipolazione delle menti e il controllo dei corpi, al punto da festeggiare "libere elezioni" senza scelta vera e col botto maggioritario che ti espropria. Democrazie come, a forza di brogli e bombe, le mettiamo in piedi in Afghanistan, Iraq, Messico, Honduras.

Genocidio? Meglio rivedersi Piombo Fuso a Gaza, lo stillicidio quotidiano di stermini in Afghanistan e Pakistan, i 36mila morti ammazzati in quattro anni della "guerra al narcotraffico" messicana, condotta dagli stessi sponsor del narcotraffico, il mattatoio Colombia. Ne avete visti, lì, interventi "umanitari"? Uno statista folle che delira? E già, noi invece abbiamo l'assennato e composto eloquio dei Berlusconi, La Russa, Gasparri, o le cosmiche ipocrisie di Obama. Dal Lerner dell'Infedele ho ascoltato il primatista assoluto del doppiopesismo sottrarsi all'analogia tra quello che ci vorrebbero far credere della Libia e le vere mattanze nazisioniste in Palestina, sbalordendoci con l'aporia di un "Israele che saluta con gioia il movimento di rinascita arabo". Sarebbe stato più facile credere a una soddisfazione di Maria Antonietta per la proliferazione di sanculottes attorno alla Bastiglia. Dalla nebbia sistematicamente sparsa da questo buonista a strappi, è poi uscito il pigolìo di un'imberbe eccellenza "storica" che ha consolato il pubblico con l'assicurazione che non sono "mai le democrazie a fare le guerre". Giusto. Quelle belligeranti e predatrici di Bush, Clinton, Obama, Netaniahu, Saakashvili, Blair e Cameron, D'Alema, Berlusconi e Prodi non sono, infatti, demo-crazie.  Della capacità mistificatrice di questo ex-rivoluzionario, della sua attitudine a mescolare i contrari, si aveva visibile manifestazione nella scenografia che mostrava accanto a un Garibaldi con la bandiera italiana in mano, un militante della "rinascita araba", intesa in senso israeliano, che sventolava la bandiera del re-travicello Idris, fantoccio e fantaccino britannico. Al posto del nostro Peppino sarebbe stato coerente porre Emanuele Filiberto con il vessillo di Carlo Alberto.

In Oman, altro feudo della Regina, contro Qabus, sultano assoluto già quando io, quasi ancora adolescente, bazzicavo da quelle parti, sono andati a fuoco palazzi governativi e gli ascari del tiranno hanno sparato su grandi folle inermi, uccidendo. Nello Yemen, protettorato Usa-saudita, siamo a un mese di ininterrotta rivolta di studenti di Sanaa e di Taiz, di minoranze escluse del Nord, di indipendentisti dell'ex-repubblica popolare del Sud, e Ali Saleh, installato dagli Usa nel 1979, dopo l'assassinio del presidente progressista Ibrahim El Hamdi (per aver denunciato il complotto fui espulso da quel paese), spara e uccide a decine. In Bahrein siamo a due settimane di rivolta contro l'emiro oscurantista ma sodale di palazzinari, biscazzieri e finanzieri occidentali. In Egitto gli scioperi vengono banditi dalla dittatura militare che ha preservato l'intero governo fantoccio di Mubaraq, onde per cui Piazza Tahrir torna a riempirsi di rivoluzionari non cooptati, Movimento 6 Aprile e Kefahya, che non si fanno turlupinare dalla "transizione" obamiana, nè intimidire dalle mazzate dei "fratelli" militari. In Tunisia l'indomabile e sempre più matura rivolta provoca la caduta del premier di Ben Ali, Ghannuchi, mentre si rafforza l'organizzazione di base. 

Ma è in Iraq dove succedono le cose più grandi e gravi, sulle quali è obbligatorio l'occultamento da parte dei "missione compiuta". I morti in una settimana di manifestazioni e repressione erano una sottostimata, dal regime, trentina. Tre a Mosul, tre a Kirkuk, quattro a Tikrit, altri tre a Basra, i rimanenti a Baghdad. Sono stati dati alle fiamme dozzine di edifici del governo e innumerevoli stazioni di polizia, tre governatori, compresi quelli di Basra e di Falluja, hanno dovuto darsela a gambe. Il fantoccio iraniano-statunitense, Al Maliki, scaturito dall'ennesima farsa elettorale, con accanto l'ex-rivale, trapanatore di sunniti, Moqtada Al Sadr, ha prima invocato ordine, poi proibito le manifestazioni, poi sparato sulla folla dei centomila in Piazza Tahrir, poi imposto il coprifuoco totale, infine dato un ultimatum di 100 giorni perchè si ponesse fine a ogni protesta. Non è servito a niente. Come non sono servite a stroncare una resistenza armata, che, negli ultimi due anni e nel silenzio di tutti i media, ha inflitto più perdite all'apparato dello Stato fantoccio di quante sofferte dagli Usa ora in ritirata, le mattanze dei tagliagole di Moqtada, delle milizie agli ordini di Tehran, o delle varie bande criminali dei signori della guerra. Alla guerriglia si è ora affiancata una popolazione stroncata dal totale collasso di ogni parvenza di organizzazione sociale, priva di cibo, lavoro, acqua, elettricità, scuola, cultura, sanità, consapevole delle inenarrabili rapine di ogni risorsa del paese compiute da delinquenti rimpatriati per condividere i propri appetiti con gli interessi predominanti dei loro sponsor, vuoi Usa, vuoi iraniano. Consapevole, dunque, che all'origine della sua disperazione sta l'invasore straniero, sta l'imperialismo. Le manifestazioni che dilagano in tutto il paese vedono uniti sciti, sunniti, cristiani, assiri e perfino curdi, rivoltatisi in massa contro i despoti del PDK, Barzani, e del APK, Talabani, che dell'autonomia sotto controllo e sfruttamento israeliano hanno fatto l'occasione per trasformare la regione in bottino personale. E' un bel contraccolpo alla strategia della frantumazione delle comunità nazionali perseguita dall'imperialismo-sionismo, come lo è stata l'unità egiziana anti-tiranno e anti-liberismo tra copti e cristiani, Nord e Sud, campagna e città, università e fabbrica. Non tutte le ciambelle vengono con il buco, come sono purtroppo venute in Sudan, o come cercano di cucinarle in Libia. C'è una "società civile" che sa più di Gramsci che non di "Un ponte per...", o delle Ong da furto senza scasso, di "Carta" e di Marcos, di Casarini e dei vari guru del pacifismo compatibile e di supporto.  E' questa la "primavera araba". Che è anche la primavera "latinoamericana", la primavera dei combattenti in Afghanistan e dei resistenti in Palestina. Una primavera dei popoli dopo l'era glaciale dei mostri. Che questa primavera salvi la Libia. 

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