Ma la Germania è proprio così virtuosa come sostiene di essere?

Aldo Giannuli

Fonte: aldogiannuli.it
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1 novembre 2011


Come si sa, la Germania ha assunto il ruolo di “guardiano della cassa” di Eurolandia, sia per la sua forza economica, sia in ragione delle sue virtù che ne fanno l’economia più in salute –e dunque da imitare- del continente.
Nulla da eccepire sul fatto che la Germania rappresenti la parte più cospicua del Pil europeo e che abbia una posizione di forza indiscutibile.
Ma forse qualche ragionamento in più lo merita la reputazione di “grande forza tranquilla” che la sua economia si è conquistata.
Parliamo del suo “limitato” debito pubblico che dice dell’assennatezza e della sagacia con cui i tedeschi hanno saputo amministrare le loro fortune. Ma, se ci si fa caso, in cifre assolute, è il terzo debito pubblico del Mondo, dopo Usa e Giappone; maggiore anche del debito italiano che si colloca al quarto posto. Ma, si dirà, il Pil tedesco è ben più pingue e può benissimo sopportare quel debito. Anche se il ragionamento finisse qui, ci sarebbe da osservare che, comunque, si tratta di un debito in sè assai rilevante, che pesa, insieme agli altri, sul debito complessivo che l’Occidente ha verso i propri cittadini e verso i paesi emergenti (anche se è vero che la Germania ha assorbito una bella fetta dei titoli greci, italiani, spagnoli, irlandesi, portoghesi ecc. e, dunque compensa una parte del buco).

Sulla carta il debito tedesco ammonta al 73% del Pil che, peraltro, non è proprio pochissimo. Ad esempio è di più della percentuale del debito spagnolo e, comunque è un punto mai raggiunto dagli anni cinquanta in poi.
Ma a guardare bene le cose, la situazione è assai meno rosea, perchè c’è una particolarità del caso tedesco di cui non si parla mai e che richiede due parole di spiegazione.

Presso quasi tutti gli Stati esiste un ente generalmente chiamato “cassa depositi e prestiti” che fa riferimento al Tesoro e di cui fanno parte ordinariamente i maggiori istituti bancari del paese, che gestisce i finanziamenti statali agli enti locali ed alle grandi opere pubbliche. Ciascun paese ha propri regolamenti per il finanziamento di questa istituzione, ma, in linea di massima, accanto al gettito fiscale, il finanziamento è assicurato con l’emissione di obbligazioni dell’ente ed altre forme (ad esempio, in Italia, la fonte principale è la raccolta del risparmio postale). Insomma, è una attività che comporta un certo tasso di indebitamento e, in tutti i paesi, questa è una delle voci del debito pubblico. La Germania, invece, non considera questa voce nel calcolo del suo debito pubblico, come se la sua Cassa depositi e prestiti fosse una società privata. Questo venne concordato all’interno della Ue nel 1991 –e fu sancito per legge nel 1992 dal Bundestag- perchè la Germania aveva appena assorbito la Ddr e si trovava in una situazione molto particolare. Si è trattato di una finzione giuridica che è stata funzionale allo sforzo di ricostruzione dei land orientali, ma, a distanza di ormai 20 anni, ha ancora senso questo espediente di cassa? D’altra parte, le finzioni giuridiche possono avere una loro utilità ma, piaccia o no, non hanno il potere di far svanire i dati di fatto ed i fatti dicono che anche in Germania questa cassa serve a finanziare attività pubbliche (enti locali, grandi opere ecc) e, per quanto possano esservi coinvolti istituti bancari privati, si tratta pur sempre di debiti che lo Stato è chiamato a garantire, per quanto indirettamente.

Fatte queste considerazioni si scopre che (sorpresa!!) la formica tedesca ha un debito pubblico reale pari al 105% del suo Pil che non è poi tanto meno del 120% della cicala italiana. E già questo dovrebbe un po’ ridimensionare il mito della locomotiva tedesca.
Ma c’è anche dell’altro.

Passiamo al capitolo grandi banche. Anche qui la Germania vanta titoli di solidità indiscutibile, al punto che il presidente della Deutsche Bank Josef Ackermann ha tuonato contro ogni intervento statale nella ricapitalizzazione della sua banca perchè “noi siamo ben capitalizzati e rifiutiamo a tutti i costi interventi statali” (Es 3.11.11 p.147). Peccato che già si parli di downgrade da AAA a AA+ anche per le banche tedesche. E questo, in primo luogo, perchè esse hanno golosamente ingoiato i bond greci in ragione degli altissimi interessi offerti, nella speranza di sbolognarli quando il gioco si fosse fatto troppo pesante. Speranza delusa perchè –nonostante l’intervento dei giorni scorsi- rischiano di restare con il cerino in mano e di rimetterci una bella fetta di capitale.

Ma c’è anche da considerare che dalla primavera scorsa gli investitori istituzionali americani hanno ritirato dalle banche tedesche circa il 23% dei loro investimenti (secondo i calcoli di Fitch) perchè ormai non se ne fidano più di tanto. D’altra parte, l’apprezzamento dei mercati nei confronti delle grandi banche tedesche non lascia adito ad equivoci: se la Deutsche Bank era valutata 60 miliardi di euro al suo zenith, oggi ne vale circa 25 e la stessa traiettoria ha attraversato la Commerzbank passata dai 25 miliardi del 2007 agli attuali 8.
Ed, in queste condizioni, non appare affatto improbabile che la Merkel sarà chiamata prima o poi a sostenere le sue banche, ovviamente tirando fuori il denaro dall’emissione di nuovi titoli di debito pubblico.

D’accordo: la Germania ha ancora una solida economia manifatturiera, una bilancia commerciale in equilibrio (anche se lontana dai bei tempi) e una migliore reputazione, ma proprio in salute florida non direi. In fondo, se hai la cirrosi, la gotta e l’artrosi, stai meglio di uno che è un cardiopatico scompensato all’ultimo livello, ma, insomma, non mi pare il caso di mettersi da dare lezioni da salutista…

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