Dalla Nakba a Gaza

Le 60 ragioni per boicottare la Fiera del libro di Torino

Fonte: Notiziario del Campo Antimperialista
11 febbraio 2008


"Le autorità politiche piemontesi, guidate dall'ex-piduista Rolando Picchioni, hanno deciso di scippare all'Egitto questa edizione della Fiera del Libro di Torino, nonostante accordi scritti in tal senso. Per regalare l'evento a Israele - così dei tre grandi eventi editoriale dell'anno, sia Parigi che Torino sono dedicati a Israele quest'anno, e Francoforte gli è stato dedicato due anni fa. Nei fatti, questo scippo trasforma un evento culturale in un fatto politico mostruoso e inaccettabile: celebrare Israele nel 60° anniversario della nakba, onorare Israele mentre con un embargo genocida stritola, affama e soffoca la popolazione di Gaza."

Boicottare una simile iniziativa è dunque un atto doveroso, se non vogliamo chiudere gli occhi di fronte ad un’iniziativa che mira a legittimare una volta di più uno Stato razzista fondato sull’apartheid.

Le pagine della stampa nazionale riportano i lamenti di chi denuncia il boicottaggio del libro e della cultura che si attuerebbe in questo modo. Ma, a parte il fatto che la cultura israeliana è tutt’altro che innocente rispetto all’occupazione ed ai suoi crimini, perché dovremmo considerare “culturale” un evento deciso attraverso trattative politiche tra l’ambasciatore israeliano a Roma e i dirigenti politici piemontesi? Vogliamo prenderci per i fondelli?

La verità è che il nostrano partito sionista ha colto questa occasione per portare il proprio mattoncino alla costruzione del “Nuovo Medio Oriente”, cioè al progetto imperialista di un Medio Oriente controllato dagli Usa, che per la Palestina prevede una pace cimiteriale, con una serie di bantustan chiamati in futuro “stato”, con la negazione di ogni elementare diritto a chi li popola.  

Che questo sia stato pensato nell’anniversario della nakba è un oltraggio di più alla storia ed ai quei valori umani cui dicono di rifarsi i difensori di cotanta “cultura”.

La nakba, conseguenza della nascita dello stato di Israele e della sua innata tendenza espansionistica, significò la cacciata dalle proprie case per centinaia di migliaia di palestinesi, molti dei quali furono uccisi, le donne spesso violentate. Mentre a quei profughi, come a quelli provocati dalle successive aggressioni sioniste, ancora si nega il diritto al ritorno in nome della purezza etnica e religiosa dello stato israeliano.

Cosa ci sia da celebrare in tutto questo lo sanno solo gli organizzatori della Fiera, ai quali evidentemente anche l’embargo di Gaza pare acqua fresca.

Non c’è una sola ragione per boicottare la Fiera del libro; ce ne sono tantissime, diciamo almeno una per ogni anno dalla nascita di Israele. Ma oggi dovrebbe bastare la vergogna di Gaza, il crimine di un embargo omicida, a far alzare la testa ad ogni democratico.

Già, Gaza. Ma chi se ne accorge in occidente?

Per dieci giorni, rompendo il muro verso l’Egitto, il popolo della Striscia ha rotto momentaneamente l’embargo, anche quello mediatico. Oggi il muro si è richiuso a celare i patimenti di una popolazione sofferente ma resistente.

E’ a Gaza che si gioca oggi il futuro della Palestina. L’imperialismo e il sionismo hanno bisogno di schiacciare la Resistenza e questo significa oggi schiacciare in primo luogo Gaza.

La reazione imperiale all’egemonia di HAMAS ha comportato il completo stravolgimento dell’assetto politico risultante dalle elezioni, con l’imposizione in Cisgiordania del governo fantoccio a guida Fatah. Nella Striscia di Gaza ciò non è stato possibile, perché le forze popolari, nel giugno 2007, sono riuscite a difendere il loro diritto–dovere di governare. La legittima difesa armata ha provocato una risposta durissima da parte di Israele e dei suoi alleati, tra cui il medesimo presidente Abu Mazen.

La Striscia di Gaza, che prima del giugno 2007 era stata una prigione a cielo aperto, è ormai diventata un campo di concentramento perché l’isolamento va ben oltre le forme di embargo tradizionali; in Cisgiordania le manifestazioni a sostegno della popolazione di Gaza vengono duramente represse dal governo fantoccio; i governi dei paesi arabi non muovono un dito, se non per tenere sotto controllo le rispettive popolazioni schierate con la Resistenza dei loro fratelli palestinesi. La Conferenza di Annapolis e la successiva Riunione di Parigi, sotto le insegne della pace e dello slogan “due popoli, due stati”, hanno in realtà sancito l’assedio di Gaza, avallando il tentativo sionista di definitivo strangolamento.

Questa è la realtà dei fatti. Una realtà che richiede una duplice risposta: schierarsi con la Resistenza e dunque con Gaza, chiarire definitivamente l’insostenibilità della parola d’ordine “due popoli, due stati”.

Questa è la base per sviluppare adeguatamente le iniziative a sostegno della causa palestinese e per costruire una nuova unità tra tutti quanti si riconoscono in questo obiettivo.

Il comitato Gaza Vivrà ha lanciato, nella sua partecipatissima assemblea nazionale del 27 gennaio, una lettera aperta in tal senso rivolta a tutti gli organismi di solidarietà con la Palestina.

Registriamo che una settimana dopo è apparso un comunicato del Forum Palestina che non solo ignora deliberatamente quell’appello unitario, ma che evita accuratamente di pronunciarsi sui nodi dell’attuale situazione palestinese, in particolare tacendo sulle responsabilità storiche del governo collaborazionista di Abu Mazen.

Il Campo Antimperialista ritiene invece che una nuova unità sia non solo necessaria, ma anche possibile dato che la posizione dei “due popoli, due stati” è ormai minoritaria nel movimento italiano, avendo ormai perso ogni credibilità. Al comune sentire di tante persone che si riconoscono nel sostegno alla resistenza palestinese occorre dunque far corrispondere una capacità unitaria che ancora tarda a manifestarsi. Nelle manifestazioni dei prossimi mesi – che noi auspichiamo assolutamente unitarie – misureremo i passi avanti di questo processo necessario. Che la Resistenza non venga schiacciata è il primo obiettivo per chi sta con la causa palestinese. Certamente lo è per noi, ma anche per la stragrande maggioranza di chi per la Palestina si mobilita e lotta.

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