Con i progetti governativi di nuove leggi sul diritto di sciopero si riapre brutalmente la questione sindacale e del diritto di organizzazione dei lavoratori. Questioni cruciali per governo e padronato, ma anche per i lavoratori. Qui di seguito alcune considerazioni sul sindacalismo di base su cui aprire il dibattito

SINDACALISMO DI BASE
Questioni aperte

Anche se siamo costretti ad assistere al ripetersi di rituali che sono propri di altre esperienze e che dal '68 in poi si sono ripetuti fino ad esaurirsi, la questione del sindacalismo di base in Italia non può essere assimilata a queste logiche. Per questo è necessaria una riflessione che ci consenta di capire, aldilà delle apparenze, a che punto siamo in questa esperienza, quali distorsioni si sono prodotte al suo interno e quali sono le prospettive necessarie e possibili da definire.

Il punto di partenza

La nascita del sindacalismo di base, è bene ricordare in premessa, ha segnato un passaggio dalla dimensione movimentista con cui l'opposizione radicale si era espressa in Italia dal '68 in poi a una dimensione strutturata e autonoma dei lavoratori dentro il conflitto sociale e politico in Italia. Questo passaggio, peraltro, non è stato pacifico, bensì segnato da polemiche abbastanza dure con coloro che, pur parlando di lavoratori e pretendendo di rappresentarli, ne ostacolavano di fatto l'organizzazione indipendente. Questa polemica storica conferma appunto la diversità del sindacalismo di base, anche se in corso d'opera ci sono state numerose conversioni che hanno reso più incerti i confini.

Chi all'epoca (negli anni '80) aveva scelto di passare all'organizzazione diretta e autonoma dei lavoratori, aveva colto due elementi essenziali che andavano maturando nella situazione e cioè che i confederali, CGIL compresa, erano irrecuperabili per una difesa dei loro interessi e che questo dato oggettivo imponeva una scelta stabilmente organizzata, separata anche se non antagonista rispetto ad altre forme di opposizione di tipo movimentista.

Dire questo oggi è cosa scontata, ma agli inizi non era così. Parlare di autonomia di organizzazione da CGIL CISL e UIL era giudicato un'eresia e anche un azzardo perchè si trattava di sfidare il grande peso dei confederali degli anni '80 che, peraltro, con la legge 300 del '70 (statuto dei lavoratori) si erano assicurati il monopolio della rappresentanza. E non solo. Si trattava di sconfiggere anche due posizioni che negli anni di formazione delle prime strutture del sindacalismo di base andavano per la maggiore: la scelta di fare l'opposizione interna ai confederali (sinistra sindacale) e la pratica di un autonomismo ideologico (autonomia operaia per intenderci) mutuato da esperienze di movimento che non consentiva di costituire riferimenti stabili e concreti per i lavoratori.

Eppure questa esperienza, nonostante le difficoltà è partita ugualmente e ora parlare di sindacalismo di base è cosa diffusa e ben comprensibile, e non solo in circoli ristretti ma a livello di massa. Mentre la 'sinistra' confederale è scomparsa e i teorici dell'autonomia 'operaia' si sono liquefatti.

Percorsi differenziati

La partenza però ha seguito percorsi differenziati e non si è configurata con un progetto unico. RdB, Comu, strutture metalmeccaniche legate alla FIM di Milano emarginate dalla confederazione di provenienza e poi i Cobas scuola, quelli che hanno iniziato, avevano impostazioni e modelli di comportamento molto diversi. Il Comu, l'organizzazione dei macchinisti delle FS, di fatto era un'organizzazione sindacale professionale separata dal resto dei dipendenti delle ferrovie, i nuclei operai organizzatisi in Lombardia attorno alla figura di Tiboni, storico leader della FIM, continuavano una tradizione sindacale di categoria senza uscire da quell'orizzonte, mentre i Cobas scuola imboccavano la strada del sindacato-movimento. Solo le RdB hanno cercato, pur nei forti limiti iniziali di rappresentanza, di andare oltre le specifiche esperienze dando una impostazione più generale e oggettiva della questione.

Gli obiettivi di carattere generale

Questi obiettivi di carattere generale si sono espressi poi nei due elementi fondanti delle RdB, la caratteristica dello statuto e il progetto di legge sulla rappresentanza presentato al Senato nell'aprile del 1983.

Oggi, impegnati in polemiche di parrocchia, molti non hanno fatto caso a ciò che questi due elementi avrebbero dovuto rappresentare dal momento in cui la sfida del sindacalismo di base è stata lanciata. Importante è invece ritornarci sopra per capire l'evoluzione e soprattutto l'involuzione.

Partiamo dal progetto di legge presentato al Senato nel 1983 che affronta una questione che oggi si ripropone nella sua interezza dopo gli accordi Confindustria- confederali del gennaio 2014: la possibilità di organizzazione sindacale e il diritto di rappresentanza.

Come è noto la legge 300 del '70 non era una garanzia per i diritti sindacali per i lavoratori bensì il suo esatto contrario, in quanto attribuiva la possibilità di contrattazione e di rappresentanza alle organizzazioni cosiddette 'maggiormente rappresentative', quelle che per diritto venivano considerate tali dalla Confindustria e dal governo, e ciò nonostante che giuridicamente i contratti abbiano validità erga omnes, per tutti, e che quindi anche il diritto di rappresentanza vera dei lavoratori dovrebbe essere tutelato. Cosa che però lo statuto dei lavoratori non prevedeva. Rovesciare questa logica diventava quindi una necessità per il sindacalismo di base ed insistere su questo ancora oggi è un obiettivo contestuale allo sviluppo dell'organizzazione.

Cosa è successo nella realtà?

Questo 'particolare' è stato però in modo miope trascurato perchè la pratica del quotidiano, del momento dell'agitazione e della lotta settoriale, è diventata centrale e il futuro è stato legato più al protagonismo di sigla che a un progetto di largo respiro. Così si è confermato il principo erroneo per cui il movimento è tutto e l'obiettivo niente.

Se parliamo dunque, come è giusto che sia, di sindacalismo di base come elemento strutturale che deve rappresentare permanentemente le esigenze dei lavoratori e delle lavoratrici in Italia in quanto le organizzazioni confederali non ne rappresentano più l'autonomia rivendicativa, il modello organizzativo e di rappresentanza diventa decisivo. Ma in realtà che cosa è successo invece?

Sul piano dei diritti di rappresentanza invece di combattere per l'obiettivo centrale (sulla scia del progetto di legge dell'83), si sono tentate scorciatoie come quella nel PI (due comparti come diritto a rappresentare l'intero pubblico impiego) che alla fine hanno mostrato la corda, non solo perchè a trattare e a decidere, nonostante il conseguimento formale della rappresentanza, sono stati sempre i confederali (mancando i rapporti di forza necessari), ma anche perchè le successive trasformazioni normative sulla contrattazione sono state pesanti e le firme di adesione conseguenziali per chi voleva mantenersi a galla.

Per il settore privato, il padronato ha mantenuto fede alla posizione (corretta in minima parte dalla Cassazione) della legge 300 e alla fine l'accordo coi confederali del gennaio 2014 ha posto fine a ogni diritto di rappresentanza autonoma dei lavoratori e delle rappresentanze sindacali di base. Ora, peraltro, si prevede anche la trasformazione in legge dell'accordo del 2014 e la sua estensione al pubblico impiego.

Invece di ragionare sulle responsabilità di questo disastro, all'interno del sindacalismo di base si sono determinati due schieramenti: quello dei 'furbi' che hanno tentato di aggirare l'ostacolo firmando quello che padronato (per i privati) e governo (per la riorganizzazione dei comparti nel PI) proponevano e quella dei 'duri' che hanno attizzato la polemica contro queste posizioni senza mostrare la strada per una alternativa. Invece di guardare la luna hanno guardato il dito. Insomma, quella che doveva essere una grande battaglia politica di classe si è esaurita in una querelle tra sigle. Solo alla vigilia del referendum del 4 dicembre scorso qualcuno si è ricordato che la difesa della Costituzione era anche difesa dei diritti sindacali, ma era troppo tardi per rientrare in ballo con una posizione credibile. Ci si è limitati al NO sociale.

La logica delle organizzazioni separate

La seconda grossa deformazione subita dal sindacalismo di base è stata la logica delle organizzazioni separate, delle tessere e delle regole statutarie che riproponevano la prassi del sindacalismo autonomo che per alcuni decenni, soprattutto nel pubblico impiego e nei servizi, ha vissuto assieme ai confederali. Era questo l'obiettivo di partenza? Certamente no. Ovvero, le partenze potevano essere diverse, ma poi si sarebbe dovuto convergere verso un progetto unico (non a caso sono state le RdB a determinare il primo processo di unificazione da cui è nata la CUB).

Il risultato vero, difatti, che bisognava raggiungere era quello di imporre all'attenzione del paese e nel mondo del lavoro il principio che la contrattazione deve essere gestita (e giuridicamente tutelata) in modo diverso da come si era andata configurando con la legge 300.

La questione non riguardava solo il riconoscimento, fondamentale, del diritto di organizzazione nei posti di lavoro, bensì anche il fatto che il diritto alla contrattazione è dei lavoratori e non delle organizzazioni sindacali. Anche questo 'particolare' non lo si è voluto discutere, limitandosi a sostenere in modo tradizionale la nascita di un nuovo soggetto con la logica prevalente del tesseramento.

Ed è per questo invece che la questione degli statuti e della rappresentanza doveva essere posta in modo chiaro fin dall'inizio. Come?

Il sindacato di base, come posto chiaramente dalla RdB al suo nascere, non poteva essere un sindacato altro che si aggiungeva ad altre sigle, ma doveva essere l'espressione, attraverso i delegati, della volontà dei dipendenti in ogni posto di lavoro. Non ci poteva essere il sindacato delle tessere, dei probiviri, delle separatezze organizzative. Il diritto decisionale è dei lavoratori e questa è l'unica idea su cui si deve basare la rappresentanza. Non è un caso che la RdB ai suoi inizi non aveva tessere, ma solo adesione al progetto e ottenne la maggiore rappresentatività all'INPS nonostante la particolarità della sua struttura. Ora di questo non c'è più traccia.

Perchè è potuto accadere?

Domandiamoci, a questo punto, perchè tutto ciò è potuto accadere e quali sono le possibilità di cambiare la situazione.

Ci sono due questioni, a questo proposito, che vanno indagate. Una riguarda il rapporto tra sindacalismo di base e movimento politico radicale. Nella realtà quotidiana, man mano che si andava avanti, si è determinata una commistione tra settori residuali del radicalismo politico e nuove esperienze dell'organizzazione dei lavoratori, al punto che le vecchie pratiche minoritarie hanno avuto la preminenza. In altri termini il vecchio ceto dei radicali velleitari è entrato a gamba tesa nella nuova esperienza portando tutto il peso negativo della sua storia.

L'aver mischiato i ruoli non ha giovato quindi al rafforzamento dell'organizzazione dei lavoratori, anzi spesso ne ha deviato le potenzialità e le capacità di proposta. Aver ridotto a manifestazioni dimostrative certe necessità di lotta, aver dichiarato scioperi 'generali' ultraminoritari e per esigenza di sigla non ha fatto crescere le lotte, quelle vere. Gli esempi sono tanti. Come nel caso della scuola dove il sindacalismo di base ha registrato livelli di partecipazione al 3% per scioperi di sigla (nonostante il grande movimento contro la 'buona scuola' di Renzi). Per iniziative analoghe, nel PI, siamo rimasti ai decimali.

Ma se le cose stanno così perchè si va avanti nella direzione sbagliata?

Finora non si è registrato dibattito tra gli attori di queste scelte. La parrocchia viene prima della logica e del conseguimento dell'obiettivo reale. L'avanguardismo nelle scelte ha preso il posto dell'analisi concreta e del coinvolgimento reale dei lavoratori.

Le distorsioni nella pratica del sindacalismo di base di cui stiamo parlando non sono attribuibili però solo a scelte soggettive, bensì anche ai caratteri delle contraddizioni che lo hanno prodotto all'inizio e al modificarsi dei livelli di queste contraddizioni.

Quando le prime organizzazioni indipendenti dei lavoratori sono sorte, era già stato superato il momento più acuto dello scontro tra confederazioni e lavoratori nelle fabbriche. I grandi processi di ristrutturazione, di decentramento produttivo e di precarizzazione, di cassa integrazione gestiti con la collaborazione dei sindacati consociativi, nonostante una massiccia resistenza operaia, non avevano prodotto una sostanziale sedimentazione. A partire dalle lotte FIAT. L'avvio concreto delle esperienze del sindacalismo di base si è verificato prevalentemente su un terreno diverso, quello del pubblico impiego e dei servizi, segnandone anche le caratteristiche e a volte mantenendolo su un terreno settoriale al limite del corporativismo e squilibrandone anche le caratteristiche di classe. Perciò, se la differenziazione è stata un dato di fatto iniziale, le dinamiche successive hanno innescato processi negativi fatti di divisioni e di autoreferenzialità e questa pratica non ha certamente giovato alla crescita.

E' possibile una ripresa nella giusta direzione?

Complessivamente però i dati strutturali di partenza non hanno impedito la riproduzione molto diffusa di una conflittualità tra lavoratori dipendenti e confederali e l'affermarsi di una coscienza di massa di rottura con CGIL CISL UIL. E ciò ha assicurato comunque la sopravvivenza di un numero non indifferente di strutture del sindacalismo di base.

E' per questo che, nonostante i limiti, bisogna evitare di buttare il bambino con l'acqua sporca e considerare invece la parte positiva dell'esperienza e ripartire da questa. Perchè la posta in gioco è molto alta e il fallimento consegnerebbe le istanze e gli interessi dei lavoratori e delle lavoratrici italiani alla logica elettoralistica. Per questo dobbiamo domandarci: a che punto siamo? Quali sono il bilancio e le potenzialità per proseguire?

Certamente abbiamo ottenuto nel corso di questi anni almeno una mezza vittoria: il sindacalismo di base è ormai nella memoria dei lavoratori. Ma quanto pesa effettivamente, al netto delle manifestazioni di protesta?

Su questo dobbiamo prendere atto che l'incidenza, il peso del sindacalismo nella dinamica delle decisioni confindustriali e governative che riguardano i lavoratori è molto scarso e questo vale anche sul piano della contrattazione vera e propria.

Anche qui si è cercato di guardare il dito e non la luna. Il punto organizzativo raggiunto è diventato il fine e non lo strumento per misurarsi col complesso dei problemi e portare interi settori di lavoratori a imporre una forza contrattuale efficace. E' vero che la pubblicità serve, ma la sostanza delle cose è ancora più importante, anche per evitare di imbrogliare i soggetti coinvolti nell'organizzazione e nelle lotte, coi quali bisogna costruire strumenti efficaci di azione.

Era troppo ambizioso puntare a un risultato effettivo (anche se è bene ricordare che sono passati tre decenni)? Una discussione sarebbe doverosa per individuare i passaggi oggettivi e soggettivi che hanno determinato ritardi e debolezze.

Comunque, per guardare al futuro c'è una precondizione da realizzare che è quella della ricomposizione unitaria delle strutture del sindacalismo di base, di un recupero di azione unitaria e di una definizione della rappresentanza che non contraddica le premesse. Su questo la battaglia è iniziata e le incrostazioni sono forti.

Questa è dunque una condizione essenziale per la ripresa, ma essa non basta di fronte ai nodi che che si debbono sciogliere in questa fase. Difatti, l'attacco devastante del padronato, la normativa governativa che lo supporta, la disoccupazione, l'uso dell'immigrazione e il precariato hanno ridotto la capacità di difesa dei lavoratori. Diventa ancor più necessario dunque non solo il processo unitario, ma anche l'uscita da logiche minoritarie e improvvisazioni programmatiche.

I compiti da affrontare con urgenza

Quindi qual'è il ruolo che devono e possono svolgere le organizzazione di base in questa fase e come possono definire con lucidità una prospettiva per evitare la marginalizzazione ?

Se partiamo dal fatto che dobbiamo salvare il bambino separandolo dall'acqua sporca, dobbiamo anche aggiungere che questo deve crescere e anche rapidamente. Crescere per rappresentare che cosa? Certamente per confermare il ruolo contrattuale autonomo della rappresentanza sindacale di base. Ma ora i compiti si estendono, perchè tutti ci rendiamo conto che stare nelle proprie trincee è sì un modo concreto per difendersi, ma l'avversario di classe scompone quotidianamente il terreno dello scontro con le modifiche organizzative del lavoro e della normativa dei rapporti contrattuali. E non solo, ma entrano in ballo anche questioni di più ampia portata che riguardano la politica economica i rapporti dentro l'UE.

Di conseguenza, se all'inizio del nostro percorso si trattava di affermare l' autonomia dalle confederazioni e di contrattazione dentro l'onda montante del rifiuto del consociativismo confederale, in questa fase di riflusso necessariamente il sindacalismo di base ha un compito più difficile, ma anche più generale.

Il duplice ruolo del sindacalismo di base oggi è non solo di ricomporre una forza contrattuale fortemente indebolita, ma anche farsi carico di rappresentare quegli interessi globali che sono alla base della crisi e che sono i lavoratori a pagare. Questo non significa 'fare politica' nel senso più tradizionale, significa invece prendere coscienza che il movimento organizzato dei lavoratori e delle lavoratrici deve entrare in ballo e confrontarsi con la nuova realtà; in mancanza di questo la pura resistenza non può pagare e d'altronde a chi dovrebbe essere affidato questo compito? Qualcuno pensa che costituire partitini formato francobollo oppure affidare la responsabilità di portare avanti le cose a uno spontaneismo che vive alla giornata possa consentire di affrontare la situazione e le prospettive? Questo cialtronismo che ci portiamo dietro da decenni deve essere superato e molto rapidamente.

Il rafforzamento del sindacalismo di base deve diventare quindi il fulcro per l'elaborazione di una strategia di ampio respiro, rendendolo protagonista di una ripresa dura e organizzata del conflitto sociale. Non dimentichiamoci che oggi i lavoratori sono fuorilegge, non solo perchè la normativa sulla rappresentanza li costringe in questa posizione, ma anche perchè è stata imposta con brutalità la legge del profitto più sfrenato, della competizione che rende disarmato il lavoro e questa legge è diventata l'idea guida delle relazioni sociali.

Ovviamente questo non si riduce a gridare slogans sulla crisi da scandire nei cortei. Come nella contrattazione sui posti di lavoro bisogna capire come si tiene in piedi concretamente un'efficace risposta al padronato e alla trasformazione liberista delle strutture e dei rapporti contrattuali nel pubblico impiego, sulle questioni più generali che riguardano i lavoratori bisogna saper esprimere una forza di contrasto che sia punto di riferimento nella scontro quotidiano con il governo e con le sue istituzioni, comprese quelle europee. La forza organizzata dei lavoratori e la consapevolezza dei propri interessi è la base di ogni possibilità di cambiamento.

giugno 2017