Le illusioni del sarto di Ulm

La tragica e per certi versi allucinante fine di Lucio Magri ha reso possibile a molti di noi di venire a conoscenza della sua ultima fatica, Il sarto di Ulm.

Non so se il successo del libro sia dovuto a un'inevitabile morbosità per la vicenda del suicidio, ma leggendolo ci si rende conto che ci troviamo di fronte ad un autentico tentativo di fare i conti con la vicenda politica che si è conclusa con la dissoluzione del PCI.

In questa nota non è possibile analizzare tutti i punti interpretativi della storia del PCI a cui Lucio Magri fa riferimento e, per molti versi, sarebbe anche poco interessante. Quello che invece è importante è conoscere alcuni aspetti di quella storia vissuti dal di dentro e raccontati dall'autore. Questo ci permette di capire meglio le ragioni che hanno portato alla dissoluzione del PCI e alla nascita di quel mostro politico che è oggi il PD.

Sommariamente tre sono i punti di analisi che, a mio avviso, servono a capire i passaggi di questa vicenda e andrebbero approfonditi. La crisi strategica in cui il PCI si è trovato a partire dagli anni '60; la natura del gruppo dirigente che in quegli stessi anni decise la radiazione di Lucio Magri e del gruppo del Manifesto e, infine, il clima che accompagnò la proposta, approvata dal XIX congresso, di cambiare il nome del PCI.

Nell'analisi di Magri, che parte da una condivisione di fondo della linea togliattiana, emerge con molta efficacia il fatto che attorno agli anni '60 la strategia della "via italiana al socialismo" entrò in crisi sul piano interno e internazionale. Di fronte alle nuove contraddizioni sociali e alla ripresa di una conflittualità internazionale, nonostante il nuovo corso di facciata caratterizzato dalla presidenza Kennedy, la via italiana al socialismo si dimostrava chiaramente inattuabile e il suo epilogo fu la teorizzazione del compromesso storico, una prova di insipienza politica e di mancanza di determinazione nei rapporti politici e di classe. Su questo punto il libro di Magri aiuta a capire la radice del fallimento e delle capitolazioni successive.

Ma perchè il gruppo dirigente del PCI che ancora nel 1968, proprio con la radiazione del gruppo del Manifesto, aveva voluto ribadire la sua ortodossia nella gestione del partito, non fu in grado di aprire un dibattito e determinare una ripresa interna, sia pure attraverso lacerazioni ? Come i fatti hanno dimostrato, si trattava di una ortodossia di tipo brezneviano, se ci è consentito il parallelo, che non poteva evitare gli esiti finali, assimilabili a quelli della perestroika. L'ortodossia non era difesa dei principi e di una strategia valida, ma espressione di un gruppo dirigente mummificato e opportunista.

Questo emerge anche chiaramente dal clima e dalle conclusioni del XIX congresso. La proposta di Occhetto trovò la stragrande maggioranza dei delegati al congresso del PCI pronti ad accettare la nuova linea, lasciando ad una armata brancaleone il compito di "rifondare" il comunismo. La drammaticità di questi passaggi ,almeno ad un certo punto della vicenda, fu vissuta da Lucio Magri in modo coinvolgente. Sicchè per chi, come il sarto di Ulm, pensava di volare alto, le sorti personali e quelle politiche, nella sconfitta, si sono intrecciate.

Anche se, con il senno di poi, si potrebbe dire che questo intreccio si poteva evitare, rimane il fatto che le vicende storiche si dimostrano una macina per i singoli.

Erregi

16 aprile 2012


Ritorna alla prima pagina