Sete di sangue arabo

Due o tre giorni fa è apparso sul Foglio un editoriale furibondo, di uno che ha sete e fame di sangue e carne araba. Il titolo: Ci vuole la guerra. Soltanto la guerra, e al posto della firma l'immagine rimpicciolita di un elefante che però sembrava un maiale. Che cosa scriveva dunque questo Animale? Scriveva che se dopo la seconda Guerra mondiale la guerra è stata per necessità “fredda” perché c'erano le atomiche da ambedue le parti, ora che non c'è più reciprocità negli armamenti approfittiamone, la nostra guerra non deve più essere fredda, ma vera: “L'islamismo politico non soffre la deterrenza militare, non ne ha paura, il suo regno ideologico e psicologico non è la promessa dell'uguaglianza nell'utopia ma il paradiso dei martiri che si fanno esplodere…e per questo l'islamismo politico deve essere sradicato dovunque sia possibile, dovunque sia utile, ieri in Iraq, domani in Iran”. E qui l'Animale non dice apertamente “bombardiamo atomicamente l'Iran, come ha fatto quell'ex ministro teppista e provocatore che ci ripugna di nominare. Ma fra i due c'è solo differenza di stazza. “Bisogna piantarla - grugnisce - di dire che in Iraq la guerra ha diffuso il terrorismo”. Chi sarebbe stato a diffonderlo? Da una parte “l'Europa del multiculturalismo” con la sua linea “di comprensione e di patteggiamento” e, dal lato opposto “un esercito di dissidenti del multriculturalismo che entra in crisi per delle vignette, subisce gli effetti di una secolarizzazione senza principi né radici razionali e culturali il cui culmine è la rinuncia all'identità in nome di una vaga 'differenza cristiana' del dialogo e dell'amore impotente”. Quindi, da una parte ci sono i cretini dell'accoglienza, del dialogo, della tolleranza ecc. (insomma tutti quelli contro cui si scaglia Oriana Fallaci); e dall'altra parte un esercito ci cristiani cacasotto i quali, anche se schifano gli immigrati (perché dissentono dal multiculturalismo) rinunciano alle proprie radici e hanno paura di affermare la loro identità. L'unico che si salva è Lui, arrogantemente fiero delle radici nazionalculturali e possiamo immaginare con quanta goduria si avvoltola nel suo sterco ideologico-identitario di Uomo Bianco Occidentale Amerikano.

Siccome l'autore dell'editoriale in questione è uno che le cose le capisce, sa bene che in un'Europa “del multiculturalismo” carne da cannone disponibile per una guerra antiaraba non ce n'è, sa che uno stillicidio di quattro-cinque militari uccisi ogni giorno (come sta accadendo – finora abbastanza tranquillamente- negli Usa, ogni giorno, dall'inizio dell'aggressione all'Iraq) provocherebbe brutte sorprese ai governi europei, l'infame spera nell'America, gioca alla guerra col sangue degli americani (cosa stomachevole anche per un americano di destra che quantomeno, guardandolo bene negli occhi gli direbbe: You really are a Pig!). Ma Lui standosene tranquillamente seduto dietro la scrivania sentenzia che “la guerra all'islamismo politico jiadista…durerà decenni”.

In termini politici, come definire uno che inneggia con la schiuma alla bocca alla guerra Usa? Un sottoprodotto dell'oltranzismo atlantico, uno che sente che c'è qualcosa che comincia a scricchiolare nei rapporti fra le due sponde dell'Atlantico (infatti ce l'ha a morte con lo “sciracchismo velleitario e multipolare” di cui “la Francia sta per liberarsi”, ed è felice che “la Germania non è più quella di Schroeder”. Ma la sua sete di sangue arabo gli impedisce di capire che il rapporto Usa Europa occidentale è politicamente e storicamente destinato a deteriorarsi, che sarà la stessa politica di guerra degli imperatori di Washington (poco importa se Democratici o Repubblicani) ad alienarsi la tradizionale, maledetta “fedeltà atlantica”.

A. C.


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