Imperialismo e opportunismo

Ultimamente Cossutta, presidente di un partito che si richiama al comunismo ha definito gli Usa una “grande democrazia”. Dietro una simile dichiarazione c'e', evidentemente, l'implicita, illusoria speranza che sia possibile un bel giorno, non si sapra' mai quando, la sconfitta dell'attuale linea guerrafondaia di Washington, e che quel paese (grazie appunto al suo passato di “grande democrazia”) trovi in se' la forza di imboccare una via diversa, alternativa alla guerra. Solo in questi termini si puo' comprendere la definizione di Cossutta: del resto egli rinnova la tradizione ereditata da Berlinguer che arditamente dichiaro' di sentirsi “tutelato” dall'ombrello Nato contro le minacce di totalitarismo provenienti dall'Est. Ma anche l'atteggiamento di un altro partito che si richiama al comunismo (da rifondare o gia' rifondato, chi sa), si nutre quotidianamente dell'illusione che sia possibile ridurre alla ragione l'imperialismo americano (che il Prc si guarda bene dal definire tale) grazie alla forza del movimento dei movimenti trionfalisticamente elevato al rango di seconda superpotenza mondiale.

L'atteggiamento verso l'imperialismo, oggi come ieri, e' una grande questione ideologica che mentre impone, sicuramente, un aggiornamento di questa categoria rispetto all'epoca in cui essa fu analizzata da Lenin, non deve pero' nascondere il dato essenziale, connaturato all'imperialismo, che esso, finche' non sara' distrutto il suo potenziale militare, porta in se' il pericolo di una terza guerra mondiale che incombe sull'umanita'. Il terrore che incute l'apparente, incolmabile potenza dell'imperialismo Usa induce gli opportunisti a voltare la faccia alla realta' e a raccontare fandonie sulla grande democracia americana o sulla prospettiva tanto fascinosa quanto mirifica di un altro mondo possibile da conseguire con lo stratagemma della nonviolenza. Essi non solo si fanno beffe di coloro che parlano di declino strategico-militare Usa, ma definiscono la loro “concreta” e “realistica” linea política assumendo come dato di fatto immutato e immutabile lo strapotere dell'unica superpotenza proiettata verso il “dominio” del globo. Del resto, anche in questa loro sottovalutazione dell'inevitabile parabola discendente degli Usa ripercorrono la strada che gia' intraprese Togliatti quando attacco' senza mezzi termini e con pesante ironia la celeberrima frase di Mao Zedong “l'imperialismo e' una tigre di carta”. Chi invece dimostra ancora una volta piu' coraggio e senso della realta' dei predicatori di altri mondi possibili a buon mercato sono le voci fortemente dissenzienti che provengono dall'interno dell'Impero di cui dà conto un buon articolo recentemente apparso sulla rivista L'Ernesto. Gli Stati Uniti - dicono alcuni economisti, storici ma anche uomini di potere di quel paese - hanno scarse possibilita' di evitare, in un futuro non troppo lontano, una catastrofe finanziaria che fara' impallidire la crisi di sovrapproduzione del 1929, dicono anche che l'Amministrazione Bus ha praticamente perso la guerra in Iraq, che le avventure militari della Casa Bianca hanno portato non solo all'isolamento totale del loro paese (che sa fare guerre di sterminio solo a piccoli paesi deboli esattamente come fecero un tempo con i Sioux, gli Cheienne e le altre tribu´di Pellerossa) ma spingono inevitabilmente al consolidamento di un'alleanza strategica di carattere militare Russia, Cina e India e che quest'alleanza sta attraendo e attrarra' anche l'Europa.

Gli articoli di cronaca e gli “approfondimenti” che pubblica Liberazione sull'Iraq si risolvono, non in ultima, ma in prima analisi in una sequenza di nefandezze tali da giustificare pienamente l'atto di accusa che il compagno Bernardini muove dalle colonne di questo nostro giornale alla cosiddetta sinistra radicale. Parlare abitualmente di un governo e di un esercito iracheno -scrive Bernardini- non piu' indicandone il carattere fantoccio porta alla diretta complicita' con l'imperialismo.

Questa diretta complicita' non riguarda solo la guerra irachena ma si manifesta anche in attacchi alla Cina, alle guerre popolari, ormai indistruttibili che i comunisti conducono in Nepal e in Colombia. Liberazione pubblica articoli di collaborazionisti, di coloro che stanno dalla parte degli Usa (21 aprile: In quanti non vedranno l'Iraq libero?; 22 aprile: Nepal, l'ultimo gambetto di re Gyanendra). Il Manifesto e' sulla stessa lunghezza d'onda: in un pezzo presuntuoso e offensivo fin dal titolo (Iran, lo show delle “martiri” -venerdi 22 aprile), si ironizza su 400 giovani donne iraniane che, durante una cerimonia solenne a Teheran si sono arruolate per azioni suicide nei paesi islamici occupati. Possibile che questi “comunisti” dalla pelle bianca cui le azioni suicide producono sussulti di rigetto, non si rendano conto che e' proprio la sproporzione fra le forze offensive Usa e la capacita' di difesa di questi popoli martirizzati o minacciati di martirio che rendono inevitabili queste forme di lotta estreme ed eroiche? Questi “comunisti” dalla pelle bianca e ben pasciuti potrebbero anche tenersi dentro i loro dubbi di gente civile e perbene, ma che debbano scendere direttamente in campo per riproporre le tesi imperialiste sul cosiddetto terrorismo e' davvero troppo! Per fortuna non siamo piu' all'epoca del genocidio dei popoli precolombiani delle Americhe, e quando si arrivera' alla resa dei conti finale con l'imperialismo americano, nemico numero uno dei popoli del mondo, non sara' troppo difficile prevedere da che parte si schiereranno questi “comunisti” dalla pelle bianca.

Amedeo Curatoli


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