Napolitano: "Le bombe contro Gheddafi?
Basta distorsioni ridicole, decise Berlusconi, non io"

Claudio Tito

«I O HO UN RICORDO che altri forse hanno cancellato. Quella fu una vicenda con una forte dimensione internazionale. Non fu un affare tra francesi e italiani. Non fu una questione tra diverse personalità istituzionali del nostro Paese. Questa è una visione ridicolmente distorta della realtà». L'emergenza libica è tornata al centro della discussione tra le forze politiche. Le misure assunte in queste ore dal governo per arginare il flusso migratorio dalle coste africane verso l'Italia spesso alimentano lo scontro anche in riferimento alle scelte compiute nel 2011 che portarono alla defenestrazione e poi alla morte di Gheddafi. E soprattutto gli esponenti del centrodestra e del M5S riversano su Giorgio Napolitano la scelta di appoggiare la missione militare francese, decisa dall'allora presidente Sarkozy.

Ma il capo dello Stato emerito non accetta quella versione dei fatti. In particolare vede ignorato il momento del vertice informale tenutosi accidentalmente al Teatro dell'Opera di Roma da cui emerse l'orientamento a partecipare in quanto Italia alle operazioni militari decretate dall'Onu.

Presidente, molti rappresentanti di Forza Italia a cominciare da Berlusconi e ora anche i grillini continuano a considerare lei l'artefice di quella scelta.

«Il protagonista dell'intervento in Libia fu fondamentalmente l'Onu. Non ci fu una decisione italiana a se stante. C'era stato dapprima un intervento unilaterale francese con l'appoggio inglese. Non interessa ora indagare sui motivi che spinsero Sarkozy a iniziare in tal modo l'attacco alla Libia di Gheddafi. Quella iniziativa intempestiva e anomala fu superata da altri sviluppi ».

A che si riferisce?

«Le Nazioni Unite affrontarono la situazione in Libia in un quadro ben più generale e collettivo approvando una prima e una seconda risoluzione; con la prima intimarono al colonnello Gheddafi di cessare le violenze in corso contro chi chiedeva libertà e contro manifestazioni che si ispiravano allora alla cosiddetta "primavera araba"».

Ma cosa accadde in quell'incontro svoltosi al Teatro dell'Opera?

«La consultazione informale di emergenza si tenne in coincidenza con la celebrazione al Teatro dell'Opera dei 150 anni dell'Unità d'Italia. A quella consultazione io fui correttamente associato. Il presidente della Repubblica è presidente del Consiglio supremo di Difesa, e in posizione di autorità costituzionale verso le forze armate, aveva titolo per esprimersi su una questione così importante. Ma quella sera la discussione fu aperta dall'allora consigliere diplomatico di Palazzo Chigi, Bruno Archi, che era in contatto diretto con New York mentre veniva varata la seconda risoluzione delle Nazioni Unite che autorizzò e sollecitò un intervento armato ai sensi del capitolo settimo della Carta dell'Onu in considerazione del fatto che i precedenti appelli al governo libico non erano stati raccolti. Dal quadro complessivo rappresentato dal consigliere diplomatico di Palazzo Chigi emergeva l'impossibilità per l'Italia di non fare propria la scelta dell'Onu».

Berlusconi sostiene che era contrario a recepire quella risoluzione e che fu lei invece a spingere in quella direzione.

«Dire che il governo fosse contrario e che cedette alle pressioni del capo dello Stato in asse con Sarkozy, non corrisponde alla realtà. I miei rapporti con l'allora presidente francese erano di certo poco intensi e tutt'altro che basati su posizioni concordanti in un campo così controverso. E non soltanto io trovai fondate le considerazioni del Consigliere Archi, ma concordarono con esse anche autorevoli membri presenti del governo, come il Ministro della Difesa La Russa. L' Italia era interessata a che il da farsi sul piano internazionale in difesa dei diritti umani e del movimento della primavera in Libia non rimanesse oggetto di una sortita francese fuori di ogni regola comune, ma si collocasse nel quadro delle direttive dell'Onu e nell'ambito di una gestione Nato».

In sostanza la decisione venne assunta dal governo.

«In quella sede informale potemmo tutti renderci conto della riluttanza del Presidente Berlusconi a partecipare all'intervento Onu in Libia. Il Presidente Berlusconi ha di recente ricordato il suo travaglio che quasi lo spingeva a dare le dimissioni in dissenso da una decisione che peraltro spettava al governo, sia pure con il consenso della Presidenza della Repubblica. Che egli abbia evitato quel gesto per non innescare una crisi istituzionale al vertice del nostro paese, fu certamente un atto di responsabilità da riconoscergli ancora oggi. Però, ripeto, non poteva che decidere il governo in armonia con il Parlamento, che approvò con schiacciante maggioranza due risoluzioni gemelle alla Camera e al Senato, con l'adesione anche dell'allora opposizione di centrosinistra. La legittimazione di quella scelta da parte italiana fu dunque massima al livello internazionale e nazionale».

Ma lei crede che fu un errore?

«In quel 2011 era in gioco in Libia e altrove la garanzia del rispetto dei diritti umani e della legislazione internazionale ad essa ispirata. Ancor oggi è troppo facile giudicare sommariamente un errore l'intervento Onu in Libia. Quale fosse l'alternativa all'intervento sulla base della Carta delle Nazioni Unite, nessuno è in grado di indicarlo seriamente. A mio avviso, come qualche anno fa ho detto insieme con altri in Senato, l'errore veramente grave fu non dare , in quanto comunità internazionale, nessun contributo politico, di institution building, economico alla conclusione dell'operazione militare. Ci fu quasi un tirarsi fuori, e fu ciò che provocò il caos degli anni successivi ».

Anche in questi giorni la Francia del presidente Macron in alcuni momenti è sembrata volere assumere decisioni unilaterali proprio sulla Libia.

«Macron si distingue nettamente da Sarkozy perché affronta in chiave europea tutte le questioni che possano interessare i nostri paesi. Nessun presidente francese di provenienza gollista ha in passato seguito questo approccio solidale. Mi sembra il punto sul quale anche il Presidente Tajani mette giustamente l'accento ».

In questi giorni molti hanno definito "napoleonica" la politica dell'Eliseo. Coglie questa tendenza anche nella vicenda Fincantieri/ Stx?

«Consiglierei la massima misura e serietà, anziché alimentare contrapposizioni tra Italia e Francia, anche se si stanno verificando divergenze su qualche problema di notevole rilevanza come quello del futuro di Fincantieri. Sono convinto che il Presidente Gentiloni si stia muovendo con chiarezza e fermezza nella convinzione che si possa e debba arrivare a posizioni concordi tra il suo governo e quello del Presidente Macron».