Come in Iraq: è un'invasione

Giulietto Chiesa

Intervista a cura di Fabio Chiusi
Fonte: espresso.repubblica.it
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pubblicato anche su Megachip
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«Non c'è stata alcuna insurrezione di popolo: è stato tutto studiato a tavolino in Occidente per modificare gli assetti strategici del Nord Africa e contrapporsi all'avanzata della Cina nel continente. Un dualismo che può portare a un nuovo conflitto mondiale». L'analisi controcorrente di Giulietto Chiesa.

Tutto quello che vi dicono sulla guerra in Libia è falso. Parola di Giulietto Chiesa. Ex inviato dell'Unità e della Stampa a Mosca, autore di svariati libri di geopolitica che confutano, tra l'altro, le versioni ufficiali dell'11 settembre e della morte di Osama Bin Laden («ma chi può crederci seriamente?»), Chiesa racconta all'Espresso la sua versione della fine del regime libico.

Che è a suo avviso il risultato di un conflitto lungamente premeditato in cui Silvio Berlusconi «non conta niente» e che apre per il Paese un futuro iracheno. E prelude addirittura a un terzo conflitto mondiale.

Chiesa, come finirà in Libia?
«La conclusione è chiara: c'è una tale disparità di forze sul terreno non tra i ribelli e Gheddafi, ma tra la Nato e Gheddafi, che non ci può essere un altro esito che non una demolizione dell'attuale stato libico. Demolizione che però non finirà la guerra. La guerra continuerà in altre forme. E' evidente che Gheddafi ha delle forze. Con la sparizione di Gheddafi, per uccisione o con l'uscita di scena tecnica non finiranno queste forze, che si dimostrano sul terreno straordinariamente vitali».

Che sarà del Paese?
«Una delle varianti possibili è la sua disgregazione e la prosecuzione di una situazione endemica di combattimento che richiederà molti anni e molti morti di cui non si può vedere la fine in nessun modo. La conclusione militare è certa, la conclusione del conflitto no».

C'è un rischio Iraq?
«Sì, prevedo una cosa del genere. Esperti come Angelo Del Boca hanno la stessa idea. Perché la divisione del Paese è stata artificiale, organizzata, stimolata».

Nessun moto spontanea di ribellione della popolazione, nessun anelito democratico negli insorti?
«Su questo sono risoluto: non c'è assolutamente nulla di tutto ciò. Non c'è nessuna vocazione alla democrazia in nessuna di queste rivolte. Le vocazioni democratiche sono risultate assolutamente minoritarie sia un Tunisia, sia in Egitto sia tanto più in Libia. Questa descrizione dell'anelito dei popoli arabi alla democrazia occidentale è una delle falsificazioni più clamorose che siano state inventate nell'epoca moderna».

E cosa li ha spinti allora?
«Nel caso della Libia il problema è diverso, perché la guerra libica è stata programmata con largo anticipo dalle forze occidentali. Ma per quanto riguarda l'anelito alla libertà negli altri paesi è accaduta una cosa che noi europei non vogliamo vedere, perché siamo eurocentrici. In questa parte del mondo è avvenuta una rivoluzione demografica di proporzioni gigantesche. Negli ultimi 25 anni è nata una nuova generazione di tunisini, algerini, egiziani che vedono la televisione, per esempio. E questo, che i loro padri non potevano fare, consente un confronto tra la loro vita di oggi e la vita, falsificata dagli schermi, dell'Occidente. E' una specie di modello Albania in grande scala. Vedono le tivù dell'Occidente, fanno i confronti, capiscono che i beni ai quali vorrebbero e potrebbero accedere non sono disponibili per loro e si rivoltano».

Ma non capiscono anche che c'è un altro sistema di governo che, invece, lo permette?
«Forse possono confusamente pensare che qualcosa del genere possono averlo anche loro. Ma non possono anelare a una cosa che non conoscono. I dati egiziani ci dicono che le spinte democratiche sono largamente superate da quelle a una società islamica, autoctona, molto legata ai loro valori tradizionali».

Perché dice che il conflitto libico è stato programmato con largo anticipo?
«Io ho una teoria, che merita di essere verificata. Su Megachip.info, il mio sito, ho pubblicato la notizia che francesi e inglesi si stavano da tempo esercitando militarmente in vista di un attacco da organizzare contro un paese che minacciava i loro interessi. Nessuno l'ha smentita. Secondo: si sapeva benissimo che in Cirenaica c'erano già gruppi armati paracadutati dai servizi segreti americani e britannici. Terzo: si sapeva benissimo che esisteva un governo provvisorio rappresentante la Cirenaica a Londra. Composto di persone i cui legami con i servizi americani e le fondazioni americani sono ben noti e accertati. A un certo punto si è deciso evidentemente che bisognava modificare gli equilibri all'interno del Nord Africa. Perché adesso?».

Già, perché?
«Perché l'Africa sta diventando il grande terreno del confronto, per ora non militare ma economico, con la Cina. La Cina sta conquistando l'Africa con forme economiche e finanziarie di grande portata. L'Africa è il terreno su cui la Cina dovrà costruire una parte rilevante del suo sviluppo e del sostentamento del suo sviluppo, alimentare ed energetico».

Lei a questo proposito ha parlato di Terza guerra mondiale...
«Certamente, questo è l'avvio di uno scontro inevitabile. Da qui a 5-10 anni al massimo non ci sarà più spazio per noi, l'Occidente, e per loro, cioè la Cina, su questo pianeta. E allora si porrà il problema: se come dichiararono sia Reagan, che Clinton e Bush figlio e padre, il tenore di vita del popolo americano non è negoziabile, allora è la guerra. Oppure ci si rivolgerà in un'altra forma di cooperazione internazionale, ma di cui non vedo il minimo segno, ci si metterà d'accordo per una gestione unitaria delle risorse disponibili che non sono infinite ma finite».

Una forma di decrescita.
«Sostanzialmente sì, è evidente. La crescita non è più possibile. I prossimi 10 anni saranno di recessione dell'Occidente e di crescita di Cina, India, Brasile».

E chi dichiarerà guerra in questo ipotetico conflitto mondiale?
«Gli Stati Uniti, sicuramente. La Cina non ha l'egemonia né culturale né artistica degli Usa. La Cina potrà dominare attraverso la sua presenza economica, ma non sarà sufficiente né per trascinare, né per convincere, né per diventare particolarmente attraente o seduttiva. Solo chi è il più armato di tutti può decidere le sorti di questo conflitto imminente. Cioè gli Stati Uniti».

Però in Libia gli Stati Uniti sono rimasti nelle retrovie rispetto a Francia e Inghilterra.
«Sì, è così che è avvenuto. Hanno agito nelle retrovie e sono stati molto intelligenti. Perché hanno usato alcuni dei problemi dell'Europa. In questo momento l'attacco è contro l'Europa. Se c'è qualcuno che doveva sputtanarsi erano gli europei. Così come stanno cercando di demolire l'Europa e l'euro per metterlo al servizio del dollaro, avevano bisogno anche di compromettere l'Europa in una operazione di più vasto respiro».

Di chi parla?
«Dei circoli che contano e hanno il potere negli Usa, e cioè i banchieri che si riuniscono a Wall Street una volta al mese per decidere i destini dell'occidente. Non certo il povero Obama. Non c'è nessuna democrazia in Occidente, non esiste più. Esiste un simulacro di democrazia attraverso il quale noi pensiamo di incidere sui destini del pianeta. In realtà la gente né in Europa né negli Usa conta nulla, contano loro decidono loro. La crisi europea in questo momento è stata decisa da loro, da questo gruppo. Una oligarchia ristrettissima di uomini possenti i cui limiti intellettuali sono evidenti ma di cui è altrettanto evidente l'assenza di limiti nelle loro ambizioni e nel loro egoismo».

I nomi?
«Sono quelli come Warren Buffet, dei grandi potenti del pianeta. Che hanno in mano tutto».

Venendo all'Italia, Berlusconi avrebbe potuto o dovuto comportarsi diversamente?
«Non avrebbe potuto comportarsi diversamente perché non conta nulla in questo gioco. L'ha detto lui stesso: «Mi hanno dettato loro cosa fare». Non voleva fare la guerra con la Libia, per ragioni sue personali, e gli hanno fatto fare la guerra. Non voleva in nessun modo adottare le misure europee e gliele hanno fatte adottare. Non dico che avrebbe potuto fare meglio, non aveva margini di manovra».

Lei ha criticato molto l'intervento Nato. Secondo lei sarebbe stato preferibile mantenere il regime di Gheddafi così com'era?
«Chi è che decide quale regime deve essere mantenuto? Nessuno aveva il diritto di intervenire in Libia. Lo statuto dell'Onu, che la risoluzione del 1973 ha cancellato, dice che un intervento dall'esterno è ammissibile solo se un paese minaccia la pace internazionale con le sue azioni. Ma Gheddafi non lo stava facendo in quel momento. Da tempo si era messo in linea con gli interessi dell'Occidente. Perché si è deciso che il suo regime non andava bene?»,

Per l'urgenza. Stava minacciando il bagno di sangue contro gli insorti.
«Tutto questo è già stato dimostrato come falso. I 10 mila morti non c'erano e nessuno li ha mai visti, le fosse comuni lo stesso, i bombardamenti sui cortei della popolazione non c'erano. Ho lavorato su tutte le fonti disponibili e non ho trovato una sola immagine, una sola notizia attendibile. La notizia è stata data da Al Jazeera, ma era palesemente non credibile nel momento in cui è stata data. Perché dopo due giorni dall'inizio delle rivolte qualcuno doveva aver contato i 10 mila morti, e io vorrei sapere come si fa».

Tutto falso?
«Il fatto è che noi siamo in mano a un mainstream media che racconta le balle che le vengono presentate da qualche fonte normalmente organizzata dai servizi d'influenza. Non li chiamo segreti. Sono loro che producono notizie false. Tutta questa ultima fase della battaglia è interamente falsa. Perché abbiamo i testimoni là che ce lo raccontano. Non sono quelli che appaiono sui mainstream. Sappiamo che ci sono le squadre armate che sono state paracadutate. Sappiamo benissimo che i ribelli sono stati appoggiati pesantemente anche sul terreno da forze armate da armi che non erano libiche. I ribelli contano tanto come il tre di picche. Tutta questa storia è stata pompata, come con l'Iraq, perché si organizza prima la spinta di massa dell'opinione pubblica per accettare la guerra e poi si fa la guerra. Quando l'opinione pubblica ha ceduto».

Tutti i media mondiali sono stati tratti in inganno o asserviti?
«Non tutti, ma ci sono alcune marginali frange che non raggiungono mai il grande pubblico che dicono diversamente. Il resto dice tutto la stessa cosa. E sta accadendo da tempo. Abbiamo l'esempio dell'Iraq. Tutto il mainstream media ha sostenuto la guerra. Tutti i giornali italiani hanno sostenuto la guerra dell'Iraq, e tutte le televisioni, eppure era palesemente una menzogna. Io l'ho detto dall'inizio. Il mainstream agisce all'unisono per la semplice ragione che è interamente nelle mani di coloro che organizano la guerra. La gran parte dei giornalisti non fa il suo mestiere e racconta le bugie che gli sono inviate sottobanco».

E gli inviati rapiti in Libia? Anche loro fanno così?
«Ci sono anche amici miei minacciati di morte, in questo momento. C'è una guerra sporchissima, in cui distinguere gli spioni che vengono paracadutati per fare gli istruttori con i giornalisti è molto difficile. Di fronte ai bombardamenti che uccidono i civili, come quelli che stiamo vedendo in queste ore, direi che è un peccato veniale».

Truppe di terra?
«E' possibile, sono convinto ci siano già le truppe di terra. Gli istruttori ci sono già da mesi. Basta guardare le divise. Splendide. Armi modernissime. Da dove sono venute? Sono venute dal cielo? Sì, esattamente. Sono cadute dal cielo».

Per il petrolio?
«No, quello lo prendevano lo stesso. Il problema è che Libia e Siria, oltre alla Giordania a dire il vero, sono gli unici due paesi del Mediterraneo che non erano ancora integrati nel sistema militare di difesa della Nato. Con la caduta di Gheddafi la Libia entrerà nel regime di difesa militare della Nato, estendendolo a tutto il Nord Africa. L'obiettivo è di unificare sotto un unico comando militare non solo l'Europa ma anche il Nord Africa. Un'operazione di lunga prospettiva, molto strategica».

La prossima è la Siria?
«Sì. Oppure l'Iran, ma quella è un'altra variante. Che emergerà solo quando la crisi sarà più acuta».

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