La CIA padrona in Italia

A proposito del rapimento dell'imam di Milano riportiamo un comunicato dell'europarlamentare Giulietto Chiesa e un articolo di cronaca del Corriere della Sera

Mandato di cattura della magistratura italiana per 13 agenti della CIA

Comunicato dell'europarlamentare Giulietto Chiesa

La magistratura italiana, nell'esercizio delle proprie prerogative e dei propri doveri, ha spiccato venerdì scorso un mandato di cattura contro 13 agenti segreti americani che hanno compiuto atti criminali sul territorio del nostro paese.

Mi chiedo quanto tempo occorre al Governo italiano per chiedere formalmente le scuse del Governo americano e, in secondo luogo, l'immediata consegna dei responsabili alle autorità inquirenti del nostro paese.

Il comportamento dell'Amministrazione americana e il silenzio e l'inattività del Governo italiano sono entrambi inqualificabili.
La sovranità italiana è violata impunemente, mentre il Governo vilmente non la difende.

Non esistono in Italia e in Europa condizioni di libertà e di sicurezza - e appunto di sovranità - quando una potenza straniera può trafficare a piacimento sul territorio del nostro paese ignorando le nostre leggi.

Inoltre, fino a che non sarà fatta luce su questo gravissimo episodio, rimane in vigore l'ipotesi che, addirittura, i criminali siano stati aiutati da qualche segmento dei nostri servizi segreti, poiché non è possibile immaginare una situazione del genere senza che i nostri servizi fossero minimamente informati.

Una risposta a questi quesiti dovrà essere data.

Giulietto Chiesa

Bruxelles, 28 giugno 2005
Fonte: http://www.giuliettochiesa.it/



Dal Corriere della Sera del 26 giugno

Il gip: gravissimo attacco allo stato italiano

Accusa dei PM: la CIA mentì sull'imam rapito

"Prove false, gli americani dissero che era scappato in Bosnia. Nascoste anche le cartelle cliniche dopo le torture".

MILANO

Prove false fabbricate a Roma per fermare i pm. Cartelle cliniche rubate in Egitto per cancellare la documentazione delle torture. E intidimidazioni da regime dittatoriale per chiudere la bocca all'unica testimone oculare e terrorizzare i suoi familiari. La Cia e i servizi segreti egiziani, secondo l'accusa, hanno giocato sporco non solo per sequestrare l'imam di Milano, ma anche per ostacolare, deviare e in qualche caso bloccare l'indagine. I magistrati milanesi hanno inserito tutti i depistaggi finora documentati tra i casi accertati di «inquinamento delle prove» che hanno giustificato l'ordine d'arresto per l'ex responsabile della Cia a Milano, Robert Seldon Lady, e per gli altri 12 agenti statunitensi ora ricercati per sequestro di persona aggravato. La scoperta di queste manovre contro magistrati e polizia potrebbe imbarazzare l'Amministrazione Usa più dello stesso rapimento: se il blitz in Italia è comunque giustificabile davanti all'opinione pubblica con la lotta al terrorismo islamico, negli Stati Uniti basterebbero questi inquinamenti a far scattare la grave accusa di «ostruzione della giustizia».

LA POSTA RUBATA

Tra il 20 aprile e il 13 maggio 2004 Abu Omar, l'imam rapito 14 mesi prima a Milano, ha ottenuto un po' di libertà vigilata e ha potuto così telefonare alla moglie Nabila e al «fratello» di fede Mohammed Reda. È in quelle telefonate, registrate dalla polizia, che Abu Omar riesce a comunicare di essere stato torturato atrocemente («Ero molto vicino alla morte») dai carcerieri egiziani, che proprio per questo lo riarrestano. Le violenze sull'ostaggio indignano la comunità islamica di Milano, che si preoccupa subito di documentarle. Dalla moschea di viale Jenner il grande imam Abu Imad contatta l'avvocato egiziano Montasser Al Zayat chiedendo prove. Che ci sono: Abu Omar è stato visitato da insospettabili medici egiziani che hanno certificato le violenze subite nel carcere-lager di Al Tora. La cartella clinica risulta regolarmente spedita dal Cairo attraverso un corriere internazionale. Ma a Milano non è mai arrivato nulla, come ha accertato la polizia interrogando i funzionari postali, che definiscono la sparizione «inspiegabile». Per i pm è logico dedurne che qualche egiziano molto potente ha voluto far sparire la prova documentale delle torture.

IL FALSO DOSSIER CIA

Il primo marzo 2003 il Corriere rivela che Abu Omar è scomparso e che una testimone oculare lo ha visto rapire per strada da due finti poliziotti: l'articolo chiama in causa servizi stranieri. L'indomani la Procura conferma di indagare per sequestro aggravato. Pochi giorni dopo, un apparente colpo di scena investigativo sembra chiudere il caso sul nascere. Le «autorità americane» comunicano alla «Direzione centrale della polizia di prevenzione a Roma», l'ufficio centrale di tutte le Digos, che gli inquirenti milanesi non hanno capito niente: ma quale rapimento, ma quale blitz dei servizi, Abu Omar in realtà è scappato in Bosnia per sfuggire alle indagini sulle cellule europee della Jamaa egiziana. Non si tratta di una soffiata informale: è la Cia a comunicare formalmente la svolta alla polizia italiana, che protocolla e archivia. Negli stessi giorni alcuni confidenti fanno circolare anche in Procura la velenosa insinuazione che Abu Omar «in realtà non ne poteva più della moglie», che intanto è sempre più disperata. La Procura tiene duro e continua a indagare per sequestro. Solo il 20 aprile 2004, alle 18.28, la prima chiamata di Abu Omar fornisce la prova certa che è stato davvero sequestrato a Milano. E quindi che le «autorità statunitensi» hanno riferito allo Stato italiano, come denunciano ora il giudice e i pm, «un dato che si sarebbe rivelato privo di qualsiasi fondamento». Come sfida agli inquirenti ora suona anche la telefonata che Robert Lady, il console della Cia ora ricercato come «coordinatore del sequestro», effettua il 20 febbraio 2003: proprio mentre l'avvocato Antonio Nebuloni denuncia alla procura la scomparsa di Abu Omar, Bob non esita a chiamare un numero diretto della Digos. «Ci sono novità?».

«UN ATTACCO ALL'ITALIA»

Sono anche questi «inquinamenti» a motivare la severa valutazione del gip Chiara Nobili, che nell'ordinanza d'arresto definisce il sequestro «un gravissimo attacco all'autorità dello Stato italiano e ai trattati internazionali». Il giudice denuncia tra l'altro che Abu Omar in Italia aveva ottenuto «lo status di rifugiato politico», senza contare che la giustizia milanese stava già verificando efficacemente l'accusa di terrorismo e che neppure i nostri servizi segreti possono fare arresti senza mandato. Perché è la Costituzione a garantire che in Italia «non è ammessa nessuna restrizione della libertà personale se non con atto motivato dell'autorità giudiziaria» e «nei soli casi e modi previsti dalla legge».

Paolo Biondani

26 giugno 2005
Fonte: Corriere della Sera http://www.corriere.it/Primo_Piano/Cronache/2005/06_Giugno/26/cia.shtml.


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