Beirut dice no alla tutela Usa

Una folla ernome ha chiesto, con Hezbollah e Amal, il generale Aoun, sunniti e progressisti, le dimissioni del «governo Usa» di Fouad Siniora

Stefano Chiarini

Il Manifesto, 2 dicembre 2006


Più di un milione di libanesi, forse un milione e mezzo, una moltitudine indicibile per un paese di poco più di quattro milioni di abitanti, sono scesi ieri pomeriggio in piazza nel centro di Beirut, per chiedere le dimissioni del governo filo-Usa di Fouad Siniora e il varo di un esecutivo di «unità nazionale». Si è trattato della più imponente manifestazione che la capitale libanese abbia mai visto. Un evento che potrebbe segnare l'inizio della fine per il governo Siniora appoggiato dagli Stati uniti e dall'Unione Europea ma non più dalla maggioranza dei libanesi.

L'enorme folla, esasperata oltre ogni misura dalla crisi economica, dalle distruzioni della guerra, dal rifiuto di passare da un mandato siriano ad uno franco-americano, da un governo che non ha mosso un dito durante il recente conflitto per fermare gli attacchi israeliani e che ancora non è stato in grado di avviare la ricostruzione, ha risposto al di là di ogni previsione all'appello lanciato da un vasto fronte dell'opposizione composto dai partiti sciiti di Hezbollah e Amal alla principale formazione cristiano-maronita, il Movimento patriottico libero del generale Michel Aoun, da importanti movimenti sunniti di Tripoli e Sidone ai drusi dissidenti di Arslan, dai progressisti del partito del popolo al ritorno sulla scena del movimento «Marada» (i giganti) della famiglia maronita pro-siriana dei Franjieh, dai movimenti nasseriani ai laici moderati di Selim el Hoss, ad un'infinità di movimenti locali. Rispondendo all'appello degli organizzatori, in una città presidiata da migliaia di soldati e agenti in assetto di guerra la folla ha cominciato ad affluire verso la centralissima piazza Riad al-Solh, proprio alla base della collina dove sorge il «Serraglio», la sede del governo del premier Fouad Siniora, sin dalle prime ore del mattino filtrata da un efficientismo servizio d'ordine, in borghese, del movimento Hezbollah e di quello del generale Aoun. Già due ore prima dell'inizio della manifestazione, previsto per le 15, la piazza, le cui uscite verso la collina del Serraglio erano state chiuse da rotoli di filo-spinato e da blindati dell'esercito, non riusciva più a contenere i dimostranti che si sono riversati, con il passare dei minuti anche nell'attigua, immensa, piazza del martiri - là dove sorge il mausoleo di Rafiq Hariri, l'ex premier ucciso il giorno di San Valentino del 2005 - e lungo la via Bishara el Khoury e il Jisr-Ring. Secondo quanto stabilito alla vigilia della manifestazione per dare un carattere «nazionale» e non di parte alla protesta, sulla folla oscillava al vento un tappeto di bandiere rosse, bianche e verdi libanesi. Assenti invece bandiere e vessilli di partito.

Numerosi i cartelli e gli striscioni «vogliamo un governo onesto», «Unità nazionale», «Siniora vattene», «Basta col governo Usa», «Vogliano un governo che ci faccia uscire dalla fame». Il movimento Hezbollah, tra i principali promotori della manifestazione alla quale hanno partecipato delegazioni provenienti da ogni parte del paese, ha assunto un profilo bassissimo e il leader del partito Hassan Nasrallah ha lasciato il comizio finale al leader cristiano-maronita Michel Aoun. Quest'ultimo con un discorso dai forti toni «nazionalisti» - pochi hanno dimenticato in Libano che l'ex generale fu l'unico alla fine degli anni ottanta, a combattere per l'indipendenza dalla Siria mentre i tanti politici che ora sostengono un mandato Usa anche allora si schierarono con il più forte passando dalla parte di Damasco - ha chiesto le dimissioni del governo «dell'incapacità» e del «malaffare» e ha invitato i dimostranti a rimanere in piazza in migliaia, ogni notte, fino alle dimissioni dell'esecutivo, alla nascita di un governo nel quale siano rappresentate tutte le confessioni e i principali movimenti del paese, al varo di una nuova legge elettorale.

Finita la grande manifestazione, improvvisamente sono comparsi un pò ovunque tende coperte, generatori elettrici, materassi e in migliaia di sono accampati davanti al filo-spinato bloccando le tre vie di accesso al palazzo del governo dove sono asserragliati Siniora e i suoi ministri del Fronte del «14 marzo» composta dal partito sunnita della famiglia Hariri, l'ultradestra falangista di Geagea e Gemayel, e dal partito del leader druso Walid Jumblatt. Poche ore dopo, in nottata, i dimostranti hanno sgomberato due dei tre accessi rimanendo a presidiare l'interno della piazza. Il premier Siniora, da parte sua, in una comunicazione alla stampa ha ribadito di nuovo la sua determinazione a non dimettersi e a continuare a governare- violando così , secondo l'opposizione, la costituzione e gli accordi di Taif che nel 1989 misero fine alla guerra civile - nonostante l'uscita dall'esecutivo dei ministri sciiti. Alla vigilia della manifestazione lo stesso Siniora aveva paragonato la mobilitazione ad una sorta di «colpo di stato». Pochi minuti dopo gli ha risposto il numero due degli Hezbollah, Naim Qassem: «Questo governo non porterà il paese nell'abisso e se non volesse dimettersi intraprenderemo ulteriori proteste». L'Amministrazione Usa per bocca del portavoce del Dipartimento di stato, Tom Casey, commentando la grande e pacifica manifestazione - un «nuovo medioriente» ma del tutto diverso da quello sognato dai «neocon» - ha fatto sapere di «seguire con attenzione» gli eventi in Libano, di essere «molto preoccupata» e di continuare a sostenere il governo Siniora.


Beirut, governo sotto assedio

Migliaia di dimostranti bloccano da venerdì il palazzo del premier «degli Usa e del malaffare»

Stefano Chiarini

Il Manifesto, 4 dicembre 2006


Una grande tendopoli con alcune migliaia di dimostranti dell'opposizione libanese occupa da 48 ore la centralissima e immensa piazza dei martiri e quella, attigua, di Riad el Solh che sorge alla base di una collinetta dominata dal grande palazzo ottomano del «Serraglio» sede del governo filo-Usa di Fouad Siniora. I dimostranti bloccano ormai tutti gli accessi al palazzo tranne uno, guardato a vista da centinaia di soldati e decine di blindati. Le decine e decine di grandi tende nelle quali hanno passato la notte i militanti sciiti degli Hezbollah, quelli cristiano-maroniti del Movimento patriottico libero del generale Aoun (con tanto di frate che portava in una mano la croce e nell'altra il corano), esponenti sunniti di Sidone, giovani progressisti e comunisti, in un inedito melting pot interconfessionale, sono state issate venerdì notte al calar della sera ma l'affluenza ai picchetti notturni è stata così massiccia - almeno 5.000 persone - che la gran parte ha passato la notte sui materassini. Senza però rinunciare ad una buona fumata con il narghile portato da casa insieme al thermos con il tè.

Una perfetta organizzazione facente capo ad un coordinamento insediatosi oltre tre mesi fa tra le forze principali della protesta (Hezbollah e il Movimento di Aoun) ha fornito una logistica perfetta portando sulla «piazza dei martiri», un'enorme spiazzo tra la città e il porto dove sorge il mausoleo di Rafiq Hariri - l'ex premier ucciso in un attentato nel febbraio del 2005 - tende, autobotti, bagni chimici, pasti caldi e provvedendo ad un inflessibile servizio d'ordine incaricato sia di cancellare qualsiasi bandiera o slogan di partito o confessionale, sia di evitare attentati, perquisendo ogni singolo partecipante, sia di tenere a freno i più giovani ed esasperati dimostranti - in migliaia hanno perso la casa durante la guerra di agosto e sono ormai senza lavoro - affinché non cadano nelle provocazioni delle nuove Forze di sicurezza interna (Isf) fedeli al premier sunnita, Fouad Siniora, addestrate ed armate di tutto punto dalla Fbi e dai consiglieri Usa. Le stesse che lo scorso ottobre aprirono il fuoco alla periferia sud di Beirut contro alcune centinaia di abusivi uccidendo due ragazzi. Di fronte ad una forte presenza sciita tra le fila dell'esercito libanese e di ufficiali cristiano maroniti «patriottici» fedeli al presidente Lahoud o al loro antico comandante, il generale Michel Aoun, tra gli alti gradi, da oltre un anno i paesi occidentali, Usa e Francia in particolare, hanno investito massicciamente in questa nuova forza di sicurezza «sunnita» di oltre 24.000 uomini dotati di armi sofisticatissime. Con il rischio, ulteriormente aumentato dal riarmo di tutte le milizie del paese, a cominciare da quelle dell'ultradestra falangista di Geagea da sempre sponsorizzata dai servizi israeliani, di far precipitare il paese in una spirale di tipo iracheno. Un elemento questo che sta li a confermare come la disgregazione confessionale dell'Iraq ieri, oggi in Libano e domani in Siria non siano affatto «un incidente» ma il vero obiettivo della politica americana in medioriente. Le nuove Forze di sicurezza Interne, con le loro divise azzurre e i loro automezzi nuovi di zecca forniti dai paesi sunniti del Golfo, hanno poi al loro interno un nucleo centrale di commandos, chiamato «Le Pantere», di circa 350 uomini e dispongono di un loro servizio segreto creato con un primo finanziamento Usa di 30 milioni di dollari.

Il fronte dell'opposizione, da parte sua, ha annunciato ieri la sua determinazione a continuare ad assediare il palazzo del governo sino a quando il premier «Siniora Ali Baba» ( in riferimento al saccheggio del paese compiuto in qualità di braccio destro dell'ex premier Rafiq Hariri) non si sarà dimesso. L'opposizione chiede un esecutivo di unità nazionale nel quale la comunità sciita, il movimento del generale Aoun e l'opposizione abbiano un terzo dei seggi in modo da essere garantiti contro ogni possibile colpo di mano del premier e soprattutto contro un nuovo mandato coloniale sul paese da parte di Usa e Francia. Fouad Siniora però, forte del sostegno incassato dagli Usa, dalla Francia, dalla Gran Bretagna, dalla Germania, dall'Italia -nonché dall'Arabia Saudita, non mostra però alcuna disponibilità a dimettersi. In tal modo però puntando solamente su uno screditato premier sunnita i paesi occidentali stanno legando la loro sorte ad un governo di minoranza contro il quale si stanno saldando le altre due comunità sottorappresentate a livello istituzionale -quella cristiana e, soprattutto, quella sciita - e tutti quei settori sunniti «nazionali» contrari alla svendita del paese al nuovo asse americano-francese. Quindi stanno puntando ancora una volta sul caos. Secondo voci non confermate l'opposizione avrebbe dato tempo a Siniora fino a questa sera prima di estendere la protesta in vista di una campagna di «disobbedienza civile» che bloccherà l'intero paese. Durissima la risposta a questo annuncio da parte del sottosegretario di stato Usa, Nicolas Burns, secondo il quale, in caso di crisi di governo, verrà annullata la Conferenza dei paesi donatori in programma a gennaio a Parigi.


Libano, sangue sulla protesta. Incontro tra Nasrallah e Gemayel

Quinto giorno d'assedio al palazzo del governo. Domenica comizio dei leader cristiani, drusi e del Pc. Dimostrante di Amal ucciso dalle milizie di Hariri

Stefano Chiarini

Il Manifesto, 5 dicembre 2006


Le proteste di piazza organizzate dal fronte dell'opposizione contro il «governo Usa» del premier Fouad Siniora, che da cinque giorni bloccano l'intero centro della città, si inaspriranno nelle prossime ore per sfociare in una generale «disobbedienza civile» che dovrebbe bloccare ad oltranza l'intero paese. L'opposizione chiede le dimissioni del premier e la nascita di un nuovo governo di unità nazionale incaricato di cambiare la legge elettorale e di indire nuove elezioni. La protesta, iniziata con le clamorose dimissioni di cinque ministri sciiti e di uno greco-ortodosso, è organizzata dai partiti sciiti di Hezbollah e Amal, dal Movimento Patriottico Libero dell'ex generale cristiano maronita Michel Aoun, da gruppi dissidenti sunniti e drusi, oltre che dal partito del popolo e da vari movimenti di ispirazione comunista. Secondo l'opposizione il governo Siniora, privo dei rappresentanti della principale comunità politico-religiosa del paese, quella sciita, sulla base degli accordi di Taif che misero fine alla guerra civile, sarebbe ormai incostituzionale e dovrebbe quindi dimettersi.

La tensione continua a salire in una Beirut spettrale e vuota, presidiata da oltre 20.000 soldati, ed in particolare nella grande tendopoli della protesta sorta nella piazza Riad el Solh, alle pendici della collinetta di al Qantari dove sorge il palazzo del governo, il Grande Serraglio, austero complesso ottomano, e nella vicina piazza dei martiri. Ad aggravare la situazione, domenica sera, vi è stata la prima vittima delle milizie filogovernative: si tratta di un giovane simpatizzante di Amal colpito con una fucilata alle spalle mentre stava tornando a casa con alcuni suoi amici nel quartiere di Qasqas, nella periferia sud, una delle roccaforti della Hariri Inc a pochi passi da Chatila e dai quartieri a maggioranza sciita. Ad ucciderlo sarebbe stato un certo Tareq Dana, membro del movimento del Futuro fondato da Rafiq Hariri. Fuoco sui dimostranti, con due feriti leggeri, anche nel quartiere di Tareq Jadidah. Le milizie sunnite create negli ultimi quindici mesi dai partiti di governo e le nuove Forze di Sicurezza del ministero degli interni (Isf) organizzate - come ha sostenuto l'ex titolare del dicastero Ahmed Fatfat - per «contrastare gli Hezbollah», con il sostegno dell'Fbi , sembrano sul punto di sfuggire di mano ai loro stessi apprendisti stregoni e in almeno due occasioni avrebbero aperto il fuoco contro i dimostranti. Assai preoccupante anche la distribuzione di armi iniziata nei giorni scorsi ad opera delle milizie druse di Walid Jumblatt. Lontana da queste oscure nubi, la protesta nel centro di Beirut per tutta la giornata di domenica ha comunque avuto un carattere festoso, familiare, con almeno 200.000 persone, in maggioranza cristiano-maroniti venute da tutto il paese a bordo di ogni mezzo possibile, per ascoltare l'ex ministro Suleyman Franjieh e, successivamente, il leader druso Talal Arslan, avversario di Jumblatt, e Khaled Haddade, segretario del Partito comunista libanese. Trincerato nel Gran Serraglio con i suoi ministri e protetto da una trentina di mezzi corazzati - ma soprattutto sostenuto in questa sua intransigenza da Washington, Parigi, e Riyadh - il premier Siniora sembra però deciso a non accettare qualsiasi compromesso e ha anzi rivolto un proclama all'esercito invitandolo ad «adottare le misure più severe per mantenere la legge e l'ordine».

Ieri mattina, per tentare una mediazione in extremis è giunto a Beirut il segretario della lega araba, Amr Moussa mentre qualche esile speranza è venuta, domenica notte, da un misterioso incontro tra il segretario generale degli Hezbollah, Sayyed Hassan Nasrallah e il leader falangista Amin Gemayel.


Libano «presto fuori controllo»

Stefano Chiarini

Il Manifesto, 6 dicembre 2006


Una grande folla, convenuta al «cimitero dei martiri» nella periferia sud di Beirut, ha dato ieri l'ultimo saluto al ventenne Ahmed Mahmoud, simpatizzante del movimento sciita Amal, ucciso mentre stava tornando a casa nel quartiere di Qasqas da alcuni miliziani del Movimento del Futuro di Hariri originari dello stesso quartiere. Il ragazzo era stato colpito a morte da una fucilata domenica sera e la sua salma è stata vegliata per tutta la giornata di lunedì nella centrale piazza Riad el Solh dove da sei giorni i dimostranti dell'opposizione assediano il palazzo del governo, il Gran Serraglio sull'adiacente collina di al Qantari. Il Fronte dell'opposizione (i partiti sciiti Hezbollah e Amal, il Movimento patriottico libero del generale cristiano Michel Aoun, i drusi dissidenti di Arslan, il maronita Suleiman Franjieh, i nasseriani di Sidone, il fronte facente capo al sunnita Karame a Tripoli, il Partito del popolo e, su posizione autonome, il Pc) chiede le dimissioni del «governo Usa» e un esecutivo di unità nazionale nel quale tutte le comunità politico-confessionali abbiano eguale peso e nel quale l'opposizione abbia la possibilità di esercitare un diritto di veto sui tentativi americani e francesi di assumere il controllo del paese per usarlo per destabilizzare la Siria e «normalizzare i confini con Israele» senza alcun ritiro dai territori occupati palestinesi, libanesi e siriani.

Il governo Siniora (il Movimento del futuro della Hariri Inc., l'ultradestra falangista di Geagea e di Gemayel, il leader druso Jumblatt), entrato in crisi con le dimissioni di tutti e cinque i ministri sciiti e quelle di un greco ortodosso, non sembra però disposto a dimettersi e, al contrario, sta giocando senza scrupoli la carta confessionale mobilitando in sua difesa da una parte i settori più disgregati della piazza sunnita-islamista con l'aiuto di diversi predicatori di chiare simpatie jihadiste, e dall'altra le nuove Forze di sicurezza del ministero degli interni (quasi esclusivamente sunnite) messe in piedi, diciassette mesi fa, con l'aiuto del governo americano e dell'Fbi. La stessa politica portata avanti dagli Usa in Iraq - con le milizie del ministero degli interni, in quel caso sciite) con i risultati che tutti sappiamo. Ed è incredibile che i paesi europei continuino a sostenere un governo come quello Siniora il cui unico obiettivo sembra quello di una destabilizzazione confessionale del paese. Per il momento gli incidenti di natura settaria sono stati complessivamente assai pochi ma il rischio di uno scontro, anche se politico e non confessionale, cresce di giorno in giorno. Di qui l'allarme del capo di stato maggiore dell'esercito, generale Michel Suleiman, che in una lettera al premier Fouad Siniora ha ricordato come «l'assenza di soluzioni politiche, sommata al ripetersi di incidenti di sicurezza, soprattutto quelli con sfumature settarie, riduce la capacità dell'esercito e ne indebolisce la neutralità». E questa debolezza - ha ammonito Suleiman- rischia di «rendere incapace l'esercito di mantenere il controllo della situazione». Per riallacciare in extremis la trama del negoziato continuano intanto i contatti tra il leader Hezbollah, Hassan Nasrallah, e quello falangista Amin Gemayel, che sembra più disposto del premier Fouad Siniora a trovare una via di uscita che eviti la disgregazione del paese.


Libano, Unifil in allerta «Minacce da al Qaeda»

Eccezionali misure di sicurezza per la possibilità di imminenti attacchi. Al Qaida approfitta della spaccatura del paese e delle complicità interne e internazioinali

Stefano Chiarini

Il Manifesto, 7 dicembre 2006


La gravissima crisi politica libanese - con il governo Siniora che ancora ieri ha rifiutato una nuova proposta di mediazione venuta da alcuni esponenti religiosi sunniti e con l'opposizione che ha invitato la popolazione a scendere di nuovo in piazza, in modo massiccio, la prossima domenica in una nuova prova di forza - potrebbe vedere presto salire tragicamente alla ribalta un nuovo/vecchio protagonista: la galassia che fa riferimento ad al Qaida decisa a trasformare il paese in un nuovo Iraq. Una minaccia questa tutt'altro che teorica, forse sottovalutata dal governo Siniora - ma anche dagli Usa - tentati entrambi dall'idea di usare, come già in Afghanistan, i gruppi salafiti per spostare il conflitto sul piano confessionale, per contrastare gli Hezbollah sciiti, i cristiani e i movimenti progressisti anti-governativi e, soprattutto, per destabilizzare la Siria.

I segnali preoccupanti a tale riguardo sono numerosi. Le forze dell'Unifil sarebbe state poste ieri in stato di allerta dopo che i comandi avevano ricevuto minacce di «possibili attacchi contro i militari dispiegati nel sud del Libano» da parte di gruppi terroristici legati ad al Qaeda. Minacce prese molto sul serio in quanto si sono aggiunte ad altri preoccupanti elementi che ne confermavano la validità. Già lo scorso 27 ottobre, l'ufficio dell'Olp a Beirut aveva reso noto che circa 200 militanti palestinesi e arabi jihadisti sarebbero arrivati recentemente nel nord del Libano, in particolare nel campo di Nahr el Bared a Tripoli e avrebbero dato vita ad un nuovo misterioso gruppo definitosi «Fatah-al Islam» guidato da un certo Shaker Issa, già militante di «Fatah Intifada». Il giorno prima il 28 novembre un alto esponente del gruppo salafita «Tawhid wal Jihad», Omar Abdullah, è stato ucciso dalla sicurezza siriana mentre tentava di entrare in Libano con una decina di passaporti falsi. Il giorno dopo, il 29 novembre, a Sidone, nel quartiere di Tameer, tra il campo palestinese di Ain el Helwe, controllato dall'Olp e la periferia della città sotto la supervisione dell'esercito e delle forze laiche-nasseriane, vi sarebbe stata una riunione della leadership del gruppo salafita «Jund al Sham» nella quale si sarebbe discusso della possibilità di stabilire un'intesa con la nuova organizzazione sorta a Tripoli e con altri movimenti affini sparsi per il paese. Dal campo di Ain el Helwe sono andati a combattere in Iraq e vi hanno perso la vita almeno una cinquantina di combattenti ma, come ci confermava lo scorso giugno «Abu Yaha», un esponente del gruppo «Esbat al Ansar» il flusso di volontari verso l'Iraq si sarebbe fermato da qualche mese, sia per la situazione interna irachena, sia perché «altri paesi sono minacciati dai crociati, anche il nostro, e avremo bisogno di loro».

La galassia jihadista in Libano si è andata rafforzando negli ulti anni grazie ad un pregiudizio pro-sunnita, pro-saudita e anti-siriano del Movimento del futuro di Rafiq Hariri. Basti pensare che il nuovo Mufti dell'Akkar ha due giorni fa paragonato la grande manifestazione dell'Opposizione a Beirut alle proteste dei pagani contro il profeta Mohammed alla Mecca. Eppure un misterioso gruppo chiamatosi «Jund al Sham» aveva rivendicato proprio l'attentato suicida con il quale nel febbraio del 2005 venne ucciso l'ex premier Rafiq Hariri. Una rivendicazione liquidata forse troppo in fretta. Così come i legami tra il presunto attentatore suicida, autore della rivendicazione dell'uccisione di Rafiq Hariri fatta arrivare ad al Jazeera, un certo abu Adas, e la cellula sospettata nel settembre del 2004 di aver pianificato un attentato all'ambasciata italiana di Beirut. Attentato che invece, secondo alcune fonti dei servizi libanese, avrebbe anche potuto avere come obiettivo lo stesso Rafiq Hariri solito a ricevere i suoi «clientes» al bar di fronte al parlamento proprio sotto la nostra rappresentanza diplomatica.

Le due cellule Jihadiste sarebbero inoltre legate ai tredici presunti membri di al Qaida arrestati lo scorso febbraio e delle cui «confessioni» nessuno ha più saputo nulla. In questo mondo oscuro colpisce inoltre il fatto che un importante membro della rete di killer del Mossad scoperta a Sidone lo scorso giugno (autori di numerosi omicidi eccellenti), Hussein Khattab, è risultato essere il fratello dello sheik Jamal Khattab uno dei presunti reclutatori di attentatori suicidi da inviare in Iraq a combattere con Abu Musab al Zarqawi. In realtà, senza alcuna dietrologia, il dato comune a tutto questo ambiente jihadista - che in tal senso oggettivamente finisce per porsi gli stessi obiettivi di Israele, degli Usa e dell'Arabia saudita - è l'odio per gli sciiti ed in particolare per il movimento Hezbollah. Non a caso l'ultimo messaggio video di al Zarqawi del giugno del 2006, prima di essere ucciso, aveva come obiettivo proprio la resistenza islamica libanese della quale chiedeva - evidentemente in buona compagnia - il disarmo o la distruzione.


Libano, mediazione sul precipizio

Domenica in un milione e mezzo contro il «governo filo-Usa». L'opposizione: pronti a bloccare il paese

Stefano Chiarini

Il Manifesto, 12 dicembre 2006


A poche ore dalla più grande manifestazione mai svoltasi in Libano, con oltre un milione e mezzo di persone (il 40% della popolazione) arrivate domenica da ogni parte del paese per occupare pacificamente il centro di Beirut e chiedere le dimissioni del governo Siniora e un esecutivo di «Unità nazionale», il braccio di ferro tra il premier filo-Usa Faouad Siniora e l'opposizione «nazionale» si sta avvicinando al punto di rottura, così come la stessa «Repubblica dei Cedri», mentre è in corso una frenetica trattativa, all'undicesima ora, ad opera della Lega Araba. La mobilitazione contro il governo Siniora da parte dell'opposizione (iniziata con le dimissioni dei cinque ministri sciiti e di uno greco ortodosso) è giunta all'undicesimo giorno e ha completamente paralizzato il centro della città, la piazza dei martiri e quella di Riad el Solh - già teatro delle grandi mobilitazioni all'indomani dell'uccisione di Hariri (febbraio 2005) per chiedere le dimissioni del governo Karame - nelle cui vicinanze, sulla collina di Qantari, si trova il palazzo del governo, il Grande Serraglio, austero palazzo ottomano della metà dell'ottocento, dove ormai vivono assediati i ministri del governo Siniora. L'opposizione, composta dai due partiti sciiti, Hezbollah e Amal, dal «Movimento Patriottico Libero» del generale cristiano-maronita Michel Aoun, da altri movimenti sunniti, drusi e progressisti e, con una sua piattaforma, dal Partito Comunista Libanese, ha posto come condizione per porre termine alla protesta la formazione di un governo nel quale la minoranza abbia un terzo dei seggi. Un diritto di veto necessario per poter bloccare il tentativo di Usa e Francia di imporre al paese una sorta di mandato coloniale finalizzato ad una normalizzazione dei rapporti con Israele senza alcun ritiro dai territori occupati, palestinesi, libanesi e siriani. In caso di rifiuto da parte della maggioranza (la Hariri inc., le destre falangiste e il capo feudale dei drusi, Walid Jumblatt) l'opposizione chiede la convocazione di elezioni anticipate. Su questa base, nonostante l'incoraggiamento dato ieri dalla Siria alla mediazione della Lega Araba e una «buona disposizione» da parte del leader Hezbollah, Hassan Nasrallah, verso quest'ultimo tentativo di negoziato, la partita si concluderà difficilmente con un compromesso. Per questo il sudanese Mustafa Osman Ismail, inviato speciale in Libano della Lega Araba per preparare l'arrivo, oggi, del segretario generale dell'Organizzazione, Amr Mussa, si è detto ieri «preoccupato» anche se «possibilista». In attesa di una svolta, l'assedio al palazzo del governo continua con migliaia di persone che ormai, a turno, bivaccano sulle due piazze del centro degli affari, e trascorrono la notte dentro tende da campo assistite 24 ore su 24 dai militanti degli Hezbollah e dai cristiani di Aoun. A simboleggiare questa nuova, inedita e straordinaria unità, su alcune tende sono state issati dei poster con la mezzaluna e una croce. Su altri invece troviamo i volti dei due leader della protesta, il generale Aoun e il leader Hezbollah, Hassan Nasrallah. La piazza è ricoperta di bandiere libanesi. Vietati i simboli di partito, se non per le bandane gialle dei giovani Hezbollah o quelle arancione dei seguaci di Aoun. Una grande esperienza di unità interconfessionale alla quale - ha differenza della presunta rivoluzione dei cedri del 2005 - questa volta stanno partecipando anche gli sciiti e gli abitanti dei sobborghi di Beirut e dei villaggi distrutti durante la guerra di luglio. In caso di fallimento della mediazione della Lega araba l'opposizione ha annunciato domenica in piazza un ulteriore inasprimento della protesta con una campagna di disobbedienza civile, il blocco dei ministeri e in ultimo di porti e aeroporti. Il generale Michel Aoun, tutto vestito di arancione, ha tenuto domenica un discorso durissimo, teletrasmesso, nel quale ha annunciato la sua intenzione di dar vita, in caso di rottura, ad un governo alternativo a quello «illegittimo» (a causa della mancanza di qualsiasi rappresentante sciita). L'esponente dell'opposizione ha poi aggiunto «La prossima volta che ci raduneremo, la nostra gente sarà libera di muoversi e il Gran Serraglio non sarà più protetto. Abbiamo visto cosa è successo in Serbia e in Ucraina, dove hanno occupato il Parlamento e il governo e hanno fatto cadere l'esecutivo». Gli ha fatto eco il numero due degli Hezbollah Naim Qassem, il quale - intervenendo in piazza - ha tuonato rivolto al vicino palazzo del governo: «Oh voi, ladri del Libano, aprite gli occhi, aprite le orecchie, ascoltate le grida del vostro popolo, che dal primo dicembre è in piazza per chiedere la fine della tutela americana e israeliana sul Libano. Guai a voi, che avete venduto il Libano agli Stati Uniti e lo state portando alla distruzione». Poche ore prima il segretario Hezbollah, Hassan Nasrallah, aveva accusato il premier Siniora di aver boicottato la resistenza durante la guerra con Israele.

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