La rinuncia di Fidel

Fonte: achtungbanditen.splinder.com

Alla notizia delle dimissioni di Fidel, il nostro ministro degli esteri Massimo D'Alema ha dichiarato di sperare ora in un rilascio dei prigionieri politici detenuti nell'isola. Perché no, visto che il dittatore si è fatto da parte... ? Dato che non ricordo recenti dichiarazioni del Nostro né sulla pratica del waterboarding praticata dalla CIA e difesa da Bush, né, per restare a Cuba, sull'abominio del campo di concentramento di Guntanamo, supporrei che l'energia posta ad invocare una transizione democratica nella Cuba del dopo Fidel, non troverà un equivalente nell'invito ad una transizione democratica negli USA del dopo Bush. E' comunque facile prevedere che, al di là di D'Alema, l'intera gusaneria internazionale rinnoverà le pressioni su Cuba a fini destabilizzanti attaccandosi al tema dei cosiddetti prigionieri di coscienza, che altri chiamano il mercenariato di USAID, del National Endowment for Democracy, o del Dipartimento di Stato. Beh, al momento opportuno risponderemo. Oggi voglio lasciare la parola ad un amico di Fidel, il brasiliano Frei Betto. Traduco dallo spagnolo

Gianluca Bifolchi                

La rinuncia di Fidel

Frei Betto

Fonte Alai (America Latina en Movimiento)
19 Febbraio 2008


Fidel Castro, 81 anni, ha rinunciato alle sue funzioni di presidente del Consiglio di Stato di Cuba e di Comandante in capo della Revolución. Impegnato nelle cure, preferisce mantenersi fuori dalle attività di governo e partecipare al dibattito politico - che lo ha sempre affascinato - attraverso i suoi articoli sui media. Rimane, tuttavia, come membro dell'ufficio politico del Partito Comunista di Cuba.

Domenica prossima, 24 Febbraio, Raúl Castro, 77 anni, sarà eletto dai nuovi deputati dell'Assemblea Nazionale ad occuparsi delle funzioni di Presidente di Cuba.

E' la seconda volta che Fidel rinuncia al potere. La prima fu nel 1959, sette mesi dopo la vittaria delle Revolución. Eletto primo ministro, si scontrò contro il presidente Manuel Urrutia, che considerò molto radicali le leggi rivoluzionarie, come quella della riforma agraria, promulgate dal consiglio dei ministri. Per evitare un colpo di stato, il leader cubano preferì rinunciare. Il popolo uscì nelle strade per appoggiarlo. Pressato dalle manifestazioni, Urrutia non ebbe altra alternativa che lasciare il potere. La presidenza fu occupata da Oswaldo Dorticós, e Fidel tornò alle funzioni di Primo Ministro.

Sono stato a Cuba, nel gennaio di quest'anno, per partecipare all'Incontro Internazionale sull'Equilibrio del Mondo, in occasione del 155esimo anniversario della nascita di José Martí, figura paradigmatica del paese. Sono tornato a metà febbraio per un'altra riunione internazionale, il Congreso Universiade 2008, al quale hanno preso parte diversi rettori di università brasiliane.

In tutte e due le occasioni ho incontrato Raúl castro ed altri ministri cubani. Ho incontrato anche la direzionedella FEU (Federación Estudiantil Universitaria); con studenti dell'università di Scienze Informatiche; con professori a livello di base e medio; e con educatori popolari.

Si sbaglia chi crede che la rinunca di Fidel significhi l'inizio della fine del socialismo a Cuba. Non c'è nessun sintomo che settori significativi della società cubana aspirino ad un ritorno al capitalismo. Neanche i vescovi della Chiesa Cattolica. Con l'eccezione di alcuni a cui non importerebbe se il futuro di Cuba assomigliasse al presente dell'Honduras, Guatemala o Nicaragua. Inoltre, nessuno di quelli che sono usciti dal paese ha continuato ad occuparsi di difesa dei diritti umani, appena si è scavato una nicchia nel mondo incantato del consumismo.

Cuba non è refrattaria ai cambiamenti. Lo stesso Raúl Castro innescò un processo interno di critiche alla Rivoluzione attraverso le organizzazioni di massa e dei settori professionali. Il governo ha analizzato più di un milione di suggerimenti. I Cubani sanno che le difficoltà sono enormi, dato che vivono in un'isola di valenza quadrupla: geografica; unica nazione socialista dell'Occidente; priva dell'appoggio che le dava l'Unione Sovietica; sotto blocco USA da più di 40 anni.

Nonostante tutto il paese meritò gli elogi di Giovanni Paolo II in occasione della sua visita del 1998. Nell'IDH [Indice di Sviluppo Umano - ndt] dell'ONU il Brasile si rallegrò di essere al settantesimo posto. I primi settanta paesi sono considerati i migliori dal punto di vista della qualità della vita. Cuba, dove non si paga per il diritto universale alla salute e all'istruzione, figura al cinquantunesimo posto.

Il paese presenta un tasso di alfabetizzazione del 99,8%; conta su 70.594 medici per una popolazione di 11,2 milioni di persone (1 medico ogni 160 abitanti); un indice di mortalità infantile di 5,3 ogni mille nati vivi (negli Usa sono 7, e in Brasile 27); 800.000 laureati in 67 università, nelle quali entrano ogni anni 606.000 studenti.

Oggi Cuba mantiene medici e professori che lavorano in più di 100 paesi, compreso il Brasile, e promuove in tutta l'America latina l'Operación Milagro, per fornire cure gratuite a chi ha malattie agli occhi, e la campagna di alfabetizzazione Yo sí puedo, con risultati che hanno convinto il presidente Lula ad adottare il metodo in Brasile.

Sì, ci saranno cambiamenti a Cuba, quando cesserà il blocco degli USA; quando saranno liberati i cinque Cubani presi ingiustamente in Florida per lottare contro il terrorismo; e sì, la base navale di Guantanamo, utilizzata ora come carcere clandestino - simbolo mondiale della mancanza di rispetto per i diritti umani e civili - per presunti terroristi verrà smantellata.

Noi speriamo tuttavia che Cuba lasci all'entrata dell'Avana due cartelli che fanno vergognare noi latinoamericani, che viviamo in isole di opulenza circondate da ogni lato dalla miseria: "Ogni anno 80.000 bambini muoiono vittime di infermità evitabili, nessun di loro e cubano". "Questa notte 200 milioni di bambini dormiranno per le strade del mondo. Nessuno di loro è cubano".

[Traduzione dal portoghese allo spagnolo di J. L. Burguet.]


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