Una modesta proposta costituzionale

Aldo Bernardini
26 febbraio 2007


Per l’art. 67 della nostra Costituzione ciascun parlamentare rappresenta la Nazione e non ha vincolo di mandato. Siamo all’opposto del leninismo, ma tant’è e naturalmente nell’attuale situazione italiana è giusto così.

Meglio, sarebbe giusto. Infatti mal ne è incolto ai senatori Rossi e Turigliatto per non aver votato la mozione di sostegno alla politica estera di Prodi-D’Alema. Nel caso di Turigliatto, si è fatto valere il vincolo di partito, PRC; in quello di Rossi, uscito da tempo dal PdCI, il vincolo di coalizione. E’ del tutto evidente che questi vincoli, di natura politica e non certo giuridica, possono valere per la normalità dei casi: ma quando la decisione risultasse anticostituzionale, contraria ad elementi fondamentali dello stesso programma elettorale di coalizione, per non dire a quelli di partiti che, chi scrive ritiene abusivamente, si decorano con l’appellativo di “comunisti”, nonché alle evidenti richieste della parte più motivata della base elettorale, dovrebbe riacquistare valore l’art. 67 senza suscitare scandalo.

Ma allora, per rimediare alla situazione, perché non pensare a una modifica costituzionale, che attribuisca il voto ai capigruppo parlamentari?, un voto naturalmente ponderato rispetto al numero dei componenti di ciascun gruppo. Certo, resterebbero alcuni inconvenienti: verrebbe eliminato il problema delle assenze; che fare poi con il gruppo misto? Ma si tratterebbe comunque di una soluzione semplificatrice che eviterebbe tanti drammi. Tanto, già il maggioritario aveva compresso la (nominale) democrazia parlamentare, tanto vale andare più avanti…

Ma come metterla con il diktat prodiano e il suo decalogo? Principi inviolabili per i componenti del governo, in caso di dubbio o contrasto da risolversi sulla base della volontà del premier, e certo da imporsi anche ai parlamentari dei partiti della coalizione. Potrebbe estendersi la proposta suindicata sino a far votare, nelle due Camere, il solo Romano Prodi? Forse parrebbe un tantino esagerato. Ma questo è lo stato della nostra “democrazia”.

Nel frattempo, occorre constatare che prosegue la linea dei giochi di parole e degli imbrogli. A chi lamenta, ad esempio, l’esclusione dal decalogo prodiano dei cosiddetti “dico” (una tematica che certo non ci riscalda), viene risposto che il governo ha già risolto il problema con la sua proposta e che il gioco quindi è nelle mani del Parlamento. Ma allora, il decalogo vale per i parlamentari o no? Il giochino è probabilmente che esso deve valere per i punti espressi nel decalogo, non per quelli assenti.

Libertà di coscienza dunque per Mastella e il nuovo acquisto Follini, ma non certo per Rossi e Turigliatto e per quanti altri potessero, finalmente, ripensarci e decidere autonomamente in Parlamento (una bella, ma certo infondata illusione…).

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