Le aberranti contraddizioni dei "comunisti" deviati

Un grande dirigente rivoluzionario dell'inizio del secolo scorso, oggi criminalizzato, sostenne che un partito comunista deve essere non autonomo (ciò che rimanda a qualche principio generale o cornice condivisa con altri), bensì indipendente. La verità di questo assioma si verifica oggi in modo pieno, quando coloro che, pur volendosi chiamare ancora “comunisti”, partecipano della criminalizzazione di quel dirigente e si fanno portatori di teorie del tutto contrastanti con fondamentali principii del marxismo (come, ad esempio, elevando la non violenza a dogma) - finiscono nel campo avverso, e cioè nell'imperialismo. Anche se questo nascondono, non parlando più di imperialismo e implicitamente negandone la categoria.

Ciò viene messo allo scoperto da alcuni punti del programma elettorale dell'Unione, che non si intende qui analizzare compiutamente per la parte di politica estera (qualche piccola acquisizione positiva, ma diversi svarioni e soluzioni ambigue o dubbie). Si vuole invece esaminare anzitutto un punto, quello dell'Iraq. “Consideriamo la guerra in Iraq e l'occupazione un grave errore. Essa non ha risolto, anzi ha complicato il problema della sicurezza… La guerra, avviata in violazione della legalità internazionale…”. Dopo questa condivisibile premessa, ecco una conseguenza aberrante che ne viene tratta e che implica la condivisione e la legittimazione dei seguiti dell'aggressione-occupazione, costituente crimine internazionale di gravità estrema: sarebbe necessaria “l'internazionalizzazione della gestione della crisi irakena… da realizzarsi con la presenza di un'autorità internazionale (ONU) che superi l'attuale presenza militare e che affianchi il governo irakeno [sic! – n.d.r.] nella gestione della sicurezza, del processo di transizione democratica e della ricostruzione. Se vinceremo le elezioni, immediatamente proporremo al Parlamento italiano il conseguente rientro dei nostri soldati nei tempi tecnicamente necessari, definendone, anche in consultazione con le autorità irakene [ancora sic! – n.d.r.], al governo dopo le elezioni governative del dicembre 2005, le modalità…”. Per arrivare “a consegnare agli irakeni la piena sovranità sul loro paese”. Sovranità che dunque evidentemente oggi non vi è.

Il peggio del peggio. Con la presa in giro, attraverso giochi di parole, degli elettori e di chi ha qualche competenza e consapevolezza. Se con qualcuno è inevitabile parlare, per l'immediato ritiro delle truppe italiane, non può trattarsi che degli occupanti, al cui fianco sono state poste le truppe italiane, e cioè degli anglo-americani, di cui sul piano diplomatico il nostro paese è alleato. Ovviamente non per chiedere permessi, ma per annunciare il ritiro da quella che finalmente in questo modo verrebbe riconosciuta come partecipazione al crimine internazionale. Questo anzitutto perché è massima generale che si tratta con il padrone e non con il servo. Più specificamente, perché trattare con le c.d. “autorità irakene”, anche dopo le c.d. elezioni del dicembre 2005, vuol dire trattare con un governo quisling (lo fa tralucere il programma stesso dell'Unione, quando parla giustamente di occupazione e quando riconosce che non vi è “piena sovranità”). Il riferirsi al governo quisling (si scelga a piacere Vichy o Salò, e non si obietti che qui ci sono state elezioni…) distrugge tutte le apparenti buone intenzioni. Si entra completamente nel gioco degli aggressori-occupanti, che appunto stanno portando avanti nella logica imperialistica la mistificazione di un Iraq “indipendente e sovrano”, ma da loro conformato. E naturalmente si delegittima la Resistenza irakena, che nel suo nucleo fondamentale costituisce, in quanto preparata prima dell'aggressione, continuazione della guerra di difesa dell'Iraq aggredito e comunque espressione del diritto di autodeterminazione, assolutamente cogente sul piano internazionale. Questa posizione dell'Unione appare dunque gravissima e del tutto vano è il richiamo all'ONU, che dovrebbe intervenire, naturalmente sempre contro la Resistenza irakena. Non esito ad affermare che si tratta di una mostruosità giuridica e politica, portata avanti in spirito di rinnovato colonialismo nel quadro dell'aggressione imperialistica ai paesi del cosiddetto Terzo Mondo: non dimentichiamoci che l'ONU, e gli irakeni ne sono ben consapevoli, da un certo punto in poi ha avallato le posizioni degli aggressori.

Queste vere e proprie farneticazioni sono state purtroppo sottoscritte anche da Rifondazione Comunista. Un partito che si asserisce “comunista”, ma che nel suo filone principale ha abbandonato completamente ogni essenziale principio comunista. E, per ricollegarsi all'inizio di questo discorso, quello dell'indipendenza. Rifondazione Comunista ha sposato le fondamentali posizioni dell'imperialismo, alle quali oppone semplicemente un contrasto sulle modalità.

La polemica di Bertinotti con Marco Ferrando (un compagno trotzkista, da cui molto mi divide) è rivelatrice. Ferrando sostiene che l'attacco agli italiani a Nassirya è stato un legittimo atto di resistenza irakeno. Bertinotti, scordandosi che si tratta di truppe di occupazione che egli stesso dice doversi ritirare, strepita facendo la solita voluta confusione tra Resistenza e terrorismo. E allora Pietro Micca sarebbe un terrorista e terroristico sarebbe l'attentato di Via Rasella! Mi tocca trincerarmi, a fronte di Bertinotti, dietro Giulio Andreotti che il 6 febbraio scorso nella mia Facoltà a Teramo ha decisamente sostenuto che gli atti di una guerra di liberazione sono in principio distinti dal terrorismo, rievocando il Fronte di liberazione algerino. Fausto Bertinotti, non sapendo come districarsi, rimette in gioco le sue escogitazioni sulla non violenza: “E' del tutto evidente che c'è un diritto alla resistenza contro gli occupanti, ciò detto la nostra scelta non violenta ci consente di guardare alle diverse forme di resistenza partendo da due elementi. Primo noi alziamo un muro nei confronti del terrorismo… Vanno privilegiate alcune forme di resistenza: le donne che in Iraq sfilavano per la liberazione di Giuliana Sgrena. E anche il voto è stato una forma di resistenza. Se invece si enfatizza l'elemento armato, facendolo diventare il punto più alto della resistenza, si fa un discorso che è radicalmente incompatibile con la linea politica del nostro partito” (dal “Corriere della Sera” del 14 febbraio 2006). Ecco dove si arriva quando si nega l'esperienza rivoluzionaria del secolo scorso e la figura di Stalin. A sostenere posizioni anzitutto semplicemente assurde e direi casuali, poi ad inserirsi nel gioco dell'imperialismo (il richiamo al voto degli irakeni), quindi a predicare la smobilitazione degli oppressi: ve lo immaginate che impressione farebbero agli anglo-americani (che usano bombe da 900 Kg., armi al fosforo e stanno predisponendo basi gigantesche) gli irakeni resistenti con digiuni, novene, prediche e simili. Se non vi fosse la Resistenza armata in Iraq, la conquista di questo paese da parte dell'imperialismo sarebbe completa e la svendita delle risorse naturali definitiva, mentre l'imperialismo avrebbe passo libero per altre aggressioni. Ma se Fausto Bertinotti è contro la violenza in modo assoluto (ed astratto), come fa a sottoscrivere un patto elettorale in cui si procede dalla indiscutibile alleanza con gli Stati Uniti, che sono i maggiori portatori della violenza in tutto il pianeta? Si tratta proprio di contraddizioni abnormi, che rivelano su quale falsa strada si stia marciando.

Altro elemento di durissima polemica contro Marco Ferrando, e anche questo espresso nel patto elettorale dell'Unione, è la questione della soluzione del conflitto palestinese-israeliano sulla base del principio “due popoli, due Stati”. Sappiamo che questa è la soluzione ormai diventata senso comune, accettata anche dalla autorità palestinese oggi sconfitta elettoralmente per la vittoria di Hamas. Ma è incredibile che tale soluzione sia trattata alla stregua di un dogma: la possibilità di studiare sul piano giuridico e su quello politico altre formule, ad es. quella dello Stato binazionale, non può essere considerata blasfema se non da chi si è reso subalterno al gioco dell'imperialismo.

Marco Ferrando ha posto dei problemi seri, che vanno considerati seriamente e non sulla base di dogmatici tabù imposti da esigenze elettorali che mai dovrebbero impedire la libera discussione e il libero esame.

Aldo Bernardini

14 febbraio 2006


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