Caso Battisti: la storia censurata

Alessandro Cisilin

Fonte: Galatea European Magazine, febbraio, da Megachip
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20 gennaio 2011


Il presidente Napolitano ha protestato per l'incapacità della classe politica nazionale di “far comprendere anche ai paesi amici il senso di quel che abbiamo vissuto” negli anni di piombo. Il lamento presuppone che l'omologo brasiliano Lula abbia voluto fondare una decisione così delicata e contestata da Roma sull'estradizione di Cesare Battisti sulla base di inproficue chiacchierate col governo italiano, anziché sui documenti storici e giudiziari. Non è del resto chiaro quale autorità della penisola potesse informarlo sulle pulsioni rivoluzionarie, la legislazione d'emergenza, le migliaia di attentati e di condanne, gli errori giudiziari, le stragi senza colpevoli eccetto l'acclarato ruolo di vari servizi segreti.

Che l'Italia “non abbia fatto i conti con il proprio passato” è un amaro truismo che espone il paese a una perenne fragilità democratica. Ci sarebbe la categoria dei giornalisti, che però sotto le Alpi sembra anche stavolta abdicare al proprio ruolo, delegando il racconto ai soli pm e lanciando verbosi strali contro i vertici brasiliani, la dottrina Mitterrand e le migliaia di intellettuali di tutto il mondo schieratisi per l'asilo.

Mai un approfondimento, un'analisi di contesto, una verifica delle eventuali incongruenze. Mai, neppure, un banale resoconto dei fatti, perfino di quelli attribuiti all'ex militante dei Proletari Armati per il Comunismo.

Un “criminale comune”, l'ha definito il procuratore di Milano Spataro per sottrarlo alla categoria rivoltosa amnistiata di fatto prima da Parigi e poi da Brasilia, smentito però dalle stesse sentenze che lo condannarono a “sovversione e partecipazione a banda armata”. Gli fu comminato l'ergastolo, accusato tra l'altro di quattro omicidi, tutti negati da Battisti, due dei quali perpetrati simultaneamente in due città diverse.

Si racconta giustamente il perdurante dolore del figlio di una delle due vittime, il gioielliere Torregiani, omettendo peraltro di precisare che, a costringerlo tuttora alla sedia a rotelle, fu un colpo partito dal padre, nonché il fatto che entrambe furono “giustiziate” per aver ucciso in precedenza altrettanti rapinatori.

Si incensa la risposta “democratica al terrorismo”, senza neppure un cenno (e men che meno una riflessione) alla catena di leggi speciali, pressoché desuete nell'Europa occidentale e di dubbia costituzionalità, varate in aggiunta a quelle promulgate dal fascismo, tuttora largamente in vigore. Dal reato di “concorso morale” all'“adesione psichica”; dalla legge del '74, che estendeva la carcerazione preventiva a otto anni, alla legge Reale del '75, che tra l'altro ha permesso alla polizia di sparare nei generici casi di “necessità operativa”; dalle “carceri speciali” del '77 al decreto Moro dell'anno successivo che introdusse anche il fermo di polizia (senza l'autorizzazione del giudice) di 24 ore, prorogato a quattro giorni nel '79 da Cossiga, fino alla legge sui pentiti dell'85, che assegna valore di prova alle dichiarazioni da loro rilasciate in cambio di copiosi sconti di pena.

Siffatte “prove”, ritenute dalla magistratura francese nel caso Battisti “degne di una giustizia militare”, hanno stabilito la cervellotica verità di un militante di second'ordine, e al contempo responsabile di tutte le malefatte del gruppo. E sono maturate al seguito di documentate torture durante gli interrogatori, in un paese che, tra l'altro, non ha ancora acquisito nel proprio ordinamento tutte le convenzioni Onu in materia.

Né si racconta che si trattò di un'autentica rivolta, che coinvolse in ordine sparso centinaia di migliaia di militanti. Una rivolta che forse fa ancora paura perché esplosa contro ineguaglianze poi aggravate.

Una rivolta densa di crimini, accompagnata da una repressione senza precedenti nel dopoguerra. 20mila inquisiti, 6mila incarcerati, 50mila anni di reclusione. Cifre ben superiori a quelle che avevano inchiodato i fascisti. Cifre che alimentano tuttora quel sovraffollamento carcerario che indigna la comunità internazionale, e che da decenni inducono i paesi di ogni continente a negare a Roma l'estradizione di altri 75 ex militanti.

Su tutto questo in Italia non si ragiona e non si dibatte. Peggio ancora, non si può dire.

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