L'ora dello sciacallo

Michele Basso

9 novembre 2008
Fonte: sottolebandieredelmarxismo


Ogni tanto, il velo propagandistico con cui i governi e i media di regime cercano di nasconderci la verità si squarcia, e alcuni fatti, e persino singole frasi sfuggite ad un uomo politico, possono farci comprendere molte cose.

I fatti di cui parliamo sono noti: l’Islanda aveva uno dei redditi più alti del mondo (54.858 dollari pro capite), un elevato livello di scolarizzazione e un tenore di vita notevole. Però ogni islandese in media aveva un debito di 30.000 sterline verso le banche, perché il credito era utilizzato per comprarsi la casa,  pagarsi gli studi universitari, acquistare l’auto.

L’impatto  della crisi finanziaria  internazionale è stato terribile: le tre maggiori banche islandesi sono crollate. Per anni dall’Inghilterra e dall’Olanda c’era stato un flusso di denaro verso conti on line Icesave, che offrivano alti tassi d’interesse. Il Fondo Monetario Internazionale rifiuta i crediti, se prima l’Islanda non paga i debiti all’Inghilterra. Il governo sta trattando con la Russia un prestito di 4 miliardi di euro, ma certo dovrà fare concessioni sul piano politico e forse militare.

Su due cose in particolare è necessario riflettere: 1) l’Inghilterra ha utilizzato la legge antiterrorismo per congelare  i fondi di queste banche nel Regno Unito.  Qui si rivela il vero carattere di questa legge. Si tratta di una misura di guerra, creata  in apparenza contro Al Qaeda, ma in realtà pronta ad essere rivolta contro chiunque. 2) Petur Bloendal, parlamentare islandese,  ha detto che le richieste della Gran Bretagna e dell’Olanda “ripartite  tra gli Islandesi, ammontano ad una somma pro capite equivalente a tre o quattro volte le riparazioni imposte  alla Germania dopo la prima guerra mondiale” (Haukur Már Helgason, “Uno   scoglio sepolto dai debiti”). Nell’uno e nell’altro caso il riferimento alla guerra non è casuale. In realtà non c’è una differenza di fondo tra una  situazione bellica e una crisi economica. In politica interna e in quella estera ci sono moltissime analogie: in entrambi i casi c’è la militarizzazione della società, per impedire lo sviluppo della lotta di classe. Ci sono misure economiche coattive, naturalmente  a tutto danno dei lavoratori, una crescente riduzione dei consumi essenziali, e l’estensione del capitalismo di stato (nel senso peggiore del termine). Nazionalizzazioni fatte ad esclusivo uso e consumo degli industriali e  dei banchieri, in concorso con sfacciate operazioni finanziarie.  Ci sono forme di protezionismo, dapprima mascherate da controlli igienici o di qualità, poi sempre più palesi. E  un interventismo molto accentuato, economico, ma spesso anche militare, nella vita politica di altri paesi.

Non c’è neppure una differenza di fondo tra l’economia privata e la politica economica degli stati. La concorrenza tra le imprese è una guerra fatta con altri mezzi, e il monopolio ha forti somiglianze col dominio politico o militare di uno stato sugli altri. Nel settore privato, l’ufficiale giudiziario che fa il pignoramento è più temuto della prigione; durante una crisi, i paesi indebitati subiscono  misure che ricordano il pignoramento – il congelamento dei fondi in Inghilterra delle banche islandesi ne è un esempio - subiscono pressioni, ricatti e minacce, sono costretti a vendere le loro migliori imprese, un popolo intero è venduto all’asta al migliore offerente, che detta le linee della politica economica, impone i sacrifici, e, qualche volte, ricorre alla forza organizzando un “golpe”  cruento o morbido.

Accade nei rapporti tra gli stati qualcosa di molto simile di ciò che succede tra grandi e piccole imprese. Durante i periodi di boom anche i piccoli capitali possono partecipare al banchetto, il piccolo e il medio imprenditore  pensa di avere raggiunto una piena autonomia. Ai primi accenni di crisi, avviene la mietitura, e i piccoli capitali devono svendere, prodotti e spesso  macchinari e addirittura l’impresa.  Tra gli stati, quelli piccoli o deboli pensano di poter sviluppare liberamente  la propria economia, e non sanno di lavorare per l’imperialismo, che li deruberà di tutti i frutti.

Questa è l’ora degli sciacalli, che approfittano della crisi altrui per impadronirsi di imprese, proprietà terriere, e pretendono pure di essere considerati salvatori.

L’Islanda, un  piccolo paese di circa 320.000 abitanti è la cartina di tornasole che permette di comprendere le “soluzioni”  che la finanza internazionale riserva ai paesi in crisi profonda. Sulla stessa via si trova l’Ucraina, che non riesce neppure a costruire gli alberghi per i Campionati europei di calcio del 2012 perché le banche non concedono prestiti.  La tanto strombazzata rivoluzione arancione, l’ubriacatura per il “libero mercato”, hanno condotto il paese alla catastrofe. Può darsi che l’occidente, esclusivamente per antagonismo contro la Russia, conceda finanziamenti, ma questo potrà avvenire solo sottoponendo i lavoratori ucraini a condizioni di lavoro ancora peggiori di quelle presenti.

Anche l’Ungheria, troppo dipendente da capitali esteri, corre il rischio di seguire la via dell’Islanda. In condizioni analoghe si trovano la maggior parte degli stati dell’Europa orientale, in particolare gli stati baltici: “…un crescente numero di Paesi rischia di seguire Ungheria e Islanda tra le braccia del FMI. Secondo un allarme lanciato ieri dallo [stesso] Fondo Monetario Internazionale, i più esposti [sembrerebbero] Estonia, Lettonia e Lituania…   Credo che la minaccia al sistema finanziario del Baltico sia molto realistica, così come quella a Bulgaria e Romania. Occorre necessario agire, e rapidamente. Lettonia e Estonia attraversano un periodo di recessione, e la Lituania, che pure è in leggera crescita, vi si sta avvicinando. In pratica, è difficile prevedere un incremento della domanda interna nell'immediato futuro, il che significherà fare più affidamento sulle esportazioni. Con gli alti livelli di inflazione attuali, è improbabile immaginare che possano recuperare in competitività adesso che la loro valuta è fissata all'euro. […] Sarà meglio farla finita, per il momento, e approfittare della protezione offerta dal FMI …  ”  ( dichiarazioni di Edward Hugh riportate in The Global Voices “La crisi finanziaria in Europa centro-orientale” 2008-10-24).   In altre parole, occorre rivolgersi all’usuraio.

Le imprese dei paesi imperialisti esportano i capitali in paesi dove trovano livelli salariali più bassi, una legislazione più permissiva – è il caso di molti paesi dell’Europa orientale -  e nello stesso tempo ricattano la classe operaia della metropoli con la concorrenza dei paesi emergenti, ma, quando la crisi avanza, pensano solo a salvare i loro capitali, lasciando che lo stato locale provveda a trattare la questione sociale con i soliti mezzi: tagli, disoccupazione, sussidi da fame, e, soprattutto, misure poliziesche.

Si rivela sempre più una menzogna la propaganda della “cooperazione internazionale”. Quello della borghesia è un falso internazionalismo, Come “ogni capitalista ne colpisce a morte molti altri, per suo conto” , lo stesso accade per gli stati. Sono sempre pronti a intervenire, anche militarmente, “in aiuto” di altri stati, quando si tratta di reprimere i lavoratori salariati e le classi sfruttate.  Non appena, però, un concorrente è debole per gli eccessivi debiti, c'è un vero assalto alla proprietà, fior di imprese sono costrette a svendere per quattro soldi. L'imperialismo è un'economia di rapina. Nella guerra, si distrugge l'economia (e le persone) con le bombe, nella crisi gli stessi risultati sono ottenuti strangolando un paese con i debiti. Non esiste la “mano invisibile del mercato”, esistono le mano visibilissime dell'usuraio, si chiami Banca Mondiale o FMI, o della forza militare al loro servizio.

Nell'imperialismo  c'è un continuo cambiamento dei rapporti di forza tra stati – l'eguaglianza fra le nazioni, finché  c’è il capitalismo, è un'illusione – un paese dominante può perdere buona parte del suo potere.  Qualche anno fa ben pochi potevano dire di no agli Stati Uniti, ora, nonostante la straripante potenza militare, le risposte negative non sono poche. Dallo scorso anno  “è la Cina, e non la Federal Reserve, a controllare i tassi di interesse Usa tramite la sua decisione di acquistare, detenere o abbandonare le obbligazioni del Tesoro Usa.” Il segretario al Tesoro Usa Henry Paulson, nell’agosto 2007, si era recato a Pechino, per ordinare di rivalutare lo yuan cinese. Tramite un alto funzionario del Centro Ricerca e Sviluppo,  il governo cinese ha fatto sapere “che la stabilità finanziaria Usa era troppo dipendente dal finanziamento cinese del deficit statunitense perché gli Usa potessero dare ordini alla Cina. Un funzionario della Accademia delle Scienza Sociali cinese ha fatto notare che lo stato delle riserve di valuta del dollaro Usa sono dipendenti dalla buona volontà della Cina come creditore Usa”. “…il Tesoro non ha valute straniere con cui riscattare il suo debito. Il modo in cui il Tesoro paga le obbligazioni in scadenza è tramite la vendita di nuove obbligazioni, una vendita che diverrebbe difficile in un mercato in caduta e abbandonato dal maggior compratore”. I  tassi di interesse Usa  non sono indipendenti dall'acquisto e dalla detenzione da parte della Cina delle obbligazioni del Tesoro. “La Cina non ha deficit commerciali con l'estero e non ha bisogno di riserve in altre valute con cui pagare i suoi debiti. Infatti, se la Cina avesse dei creditori, i creditori sarebbero contenti di essere pagati in yuan dal momento che tale valuta viene considerata sottovalutata.” (Paul Craig Roberts, “L’opzione “nucleare” della Cina: scaricare il dollaro”.

Se persino Washington, non molto tempo fa onnipotente, ha perduto il controllo della situazione, a maggior ragione le difficoltà saranno crescenti per l’Italia. Se Berlusconi cerca di abituare l’opinione pubblica ad accettare la presenza dell’esercito nelle zone calde delle città, non è per risolvere i problemi della spazzatura o della criminalità, ma per abituarla allo stato d’assedio dei periodi di grandi lotte sociali, e lo stesso significato hanno le esternazioni del “grande vecchio” Cossiga, che troppi considerano deliranti, frutto dell’arteriosclerosi. Si è preso anche qualche denuncia, ma è assai improbabile che un giudice incarceri un “presidente emerito” ultraottantenne.

Durante la crisi, c’è una forte mobilità sociale, nella stragrande maggioranza verso il basso, ampi settori del ceto medio cadono nel proletariato, vasti settori di proletari cadono del pauperismo. Marx ne aveva già spiegato i motivi oltre 140 anni fa, alla faccia di tutti gli economisti, con Nobel o senza Nobel, che negavano che ci potesse essere un nuovo 1929.

I lavoratori sanno di essere le vittime designate, e, se vogliono impedire  che il risanamento del capitalismo si verifichi sulla loro pelle, devono dare un calcio a tutti i revisionismi, a tutti i riformismi, e ricostruire una struttura politica e organizzativa, su base nazionale e internazionale, che li guidi nella lotta contro il capitale.

Articoli utilizzati:


Haukur Már Helgason, “Uno   scoglio sepolto dai debiti”. In ComeDonChisciotte, Nov. 02, 2008   Fonte: ilmanifesto. 1.11.08.

“Le condizioni di Versailles imposte all’Islanda”, ComeDonChisciotte, Ott 26, 2008,  Fonte: movisol,   25.10.08.

Pueblounido "Blog Archive" SOLDI RUSSI PER REYKJAVIK…. L’AMERICA ARRETRA E PERDE UN AVAMPOSTO.

“L'Ucraina in difficoltà, a rischio i campionati europei di calcio”,  il manifesto  01 Novembre 2008.

“L’Ungheria come l’Islanda, chiede aiuto al fondo internazionale monetario per far fronte alle difficoltà del sistema bancario nazionale - Finanza LiveLeonardo.it.

L’opzione “nucleare” della Cina: scaricare il dollaro. di Paul Craig Roberts http://geopolitics.splinder.com/


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