Aspettando il peggio

Marino Badiale
Massimo Bontempelli

Genova, Pisa, estate 2009



I. Una crisi per scherzo?

“Strana guerra” o “guerra per scherzo” (drole de guerre) è l'espressione con la quale l'opinione pubblica francese alludeva alla guerra in corso con la Germania nazista, nel periodo dal settembre 1939 al maggio 1940. Si tratta, come è noto, di un periodo in cui la guerra, formalmente dichiarata fra Germania da una parte e Francia e Inghilterra dall'altra, non viene in pratica combattuta sul fronte franco-tedesco. C'era una guerra ma non c'erano combattimenti, non c'erano né morti né distruzioni. Per qualche mese i francesi poterono illudersi che la drole de guerre avrebbe risparmiato loro le grandi sofferenze della Prima Guerra Mondiale. E' noto che queste illusioni vennero spazzate via dalla grande offensiva tedesca iniziata il 10 maggio 1940, che portò in breve tempo al crollo della Francia, all'occupazione di Parigi e di larga parte del territorio nazionale, al regime di Vichy e a tutto quello che seguirà.
In questi mesi l'opinione pubblica italiana sembra vivere un'illusione simile. La grande crisi economica mondiale, che è iniziata nel 2007 negli Stati Uniti con la crisi dei mutui subprime, e che è arrivata, nell'autunno del 2008, quasi a distruggere il sistema finanziario internazionale, non è ancora arrivata a incidere sulla vita quotidiana della maggioranza degli italiani, i quali guardano con l'indifferenza di un egoismo ormai generalizzato la minoranza che già ne soffre crudelmente. Alla maggioranza degli italiani la crisi sembra per il momento una “drole de crise”, una strana crisi, una crisi per scherzo.

Siamo convinti che presto dovremo svegliarci da questa illusione. L'attuale crisi è qualcosa di molto serio. Si tratta della fine del ciclo trentennale del capitalismo definito “neoliberista” e “globalizzato”, nato alla fine degli anni Settanta dalla crisi della fase precedente, quella del capitalismo “keynesiano” e “socialdemocratico”. Senza pretendere di sviluppare in questa sede un'analisi approfondita, occorre spendere qualche parola sugli aspetti fondamentali di tale crisi. Il ciclo trentennale (dalla fine degli anni Quaranta alla fine degli anni Settanta) del capitalismo “keynesiano-fordista” si basava sullo sviluppo della produzione di beni di consumo di massa, che aveva bisogno di un aumento effettivo del reddito dei ceti subalterni per creare una domanda solvibile di tali beni. E' questa la base del grande compromesso “socialdemocratico” e riformista che ha caratterizzato tale periodo, compromesso per il quale i ceti subalterni rinunciavano ad ogni velleità di superamento rivoluzionario del capitalismo e godevano in cambio di un accrescimento effettivo del proprio livello di vita (aumento del salario reale, diminuzione dell'orario di lavoro, forme svariate di salario indiretto). Tale compromesso entra in crisi con la saturazione dei mercati dei beni di consumo di massa. La crescita dei redditi e dei diritti dei ceti subalterni non è allora più compatibile, come era stato nei trent'anni precedenti, con lo sviluppo capitalistico, e diventa anzi un pericolo per i profitti. La crisi che ne risulta durerà in sostanza per tutti gli anni Settanta, e verrà risolta con il passaggio alla nuova fase “neoliberista” e “globalizzata” del capitalismo. In questa fase l'accumulazione di plusvalore e lo sviluppo capitalistico vengono cercati da una parte, sul lato dei ricavi, dalla vendita di prodotti sempre meno utili, sempre più sofisticati e sempre più bisognosi di un potente sostegno pubblicitario, dall'altra, su lato dei costi, con una progressiva riduzione dei redditi e dei diritti dei lavoratori. In questo modo i margini di profitto vengono ristabiliti, lo sviluppo capitalistico può ripartire, ma a prezzo di una grande crescita delle disuguaglianze sociali, che fa storicamente riemergere uno dei problemi strutturali del modo di produzione capitalistico, quello dell'insufficienza della domanda solvibile per la propria produzione. Sta qui la radice degli sviluppi che hanno portato all'attuale crisi. La risposta alla potenziale crisi della domanda è consistita infatti nello sviluppo del credito, cioè in sostanza nell'indebitamento di massa. E poiché anche questo si è rivelato insufficiente, il capitale, non riuscendo più a valorizzarsi nella produzione, si è riversato nella finanza, il cui sviluppo abnorme è stato il punto di partenza dell'attuale crisi.
Non ci dilunghiamo sui meccanismi di scatenamento della crisi perché sono stati ampiamenti descritti nella pubblicistica. Il punto che vogliamo mettere in evidenza è che, se quanto abbiamo fin qui detto è corretto, l'attuale crisi appare espressione di limiti strutturali dell'attuale forma di organizzazione del capitalismo. D'altra parte, un ritorno alla forma organizzativa precedente, cioè al capitalismo “keynesiano-fordista”, ci sembra difficile. Tale modello di sviluppo si basava su una crescita indefinita dei consumi di massa che non è compatibile con i limiti delle risorse disponibili. E non ci riferiamo qui ai problemi di esaurimento fisico delle risorse, messi in luce da tanta letteratura ecologica. Questi ultimi sono problemi reali, che dovrebbero necessariamente essere al centro della riflessione di una politica attenta al bene comune, ma nel breve periodo non appaiono pressanti: non c'è ancora il problema di una fine rapidissima del petrolio, per esempio. Il problema è che le risorse disponibili sono di sempre più difficile e costosa estrazione, perché ovviamente i giacimenti più economici sono quelli che vengono sfruttati ed esauriti prima. La riproposizione del modello di sviluppo “keynesiano-fordista”, basato su consumi di massa estesi a tutti i paesi industrializzati, si scontrerebbe oggi con il problema economico della lievitazione dei costi delle risorse, prima che con quello ecologico del loro esaurimento fisico.
Non intendiamo dire con questo che siamo di fronte alla “crisi finale” del capitalismo. La storia reale è sempre creativa e imprevedibile, ed è questo che rende la futurologia un'attività poco interessante. E' però chiaro che, qualsiasi sia l'esito finale di questa crisi, il passaggio comporterà drammi storici di grande ampiezza. [1] La storia del Novecento è lì a ricordarci, con due guerre mondiali, quali sono i costi umani di grandi passaggi storici nei tempi moderni. Saranno come al solito i ceti subalterni a pagare il prezzo maggiore di queste dinamiche.
L'altro aspetto del mondo contemporaneo foriero di drammi storici di grande ampiezza è quello legato al lento declino dell'egemonia statunitense e al contemporaneo sorgere di potenze che potrebbero, in prospettiva, competere con essa. Il relativo declino economico degli Stati Uniti, il loro passaggio dal ruolo di paese esportatore e creditore a quello di paese importatore e debitore, è uno dei punti cruciali per capire il mondo attuale. Tale passaggio è legato al ruolo, che gli USA hanno assunto, di “compratore in ultima istanza”, di grande mercato per le merci prodotte in tutto il mondo, e in particolare in Cina. Il fatto che gli USA si siano assunti questo ruolo rappresenta, come è evidente, un tentativo di rimuovere la contraddizione rappresentata dalla carenza di domanda nel capitalismo attuale. Questo ruolo nel breve periodo rafforza gli Stati Uniti ma nel medio e lungo periodo li indebolisce. Nel breve periodo li rafforza perché, data la natura del capitalismo contemporaneo, non è facile trovare chi sostituisca gli USA nel ruolo di “compratore in ultima istanza”. Sta qui, a nostro avviso, uno dei motivi del profondo servilismo che i dirigenti europei hanno manifestato in questi anni nei confronti degli USA. Inoltre la posizione di “compratori in ultima istanza” degli USA rafforza il ruolo del dollaro come valuta internazionale, e questo rende più difficile la sfida all'egemonia statunitense. Si è visto in questi mesi come le grandi riserve di dollari accumulate dalla Cina, dovute proprio al ruolo di grande mercato degli USA, rappresentino un vincolo serio per la possibilità di una politica cinese di contrapposizione agli USA: la Cina non può permettersi una caduta di valore del dollaro perché questo farebbe cadere il valore delle sue riserve in dollari.
D'altra parte è chiaro che sul medio e lungo periodo non si può pretendere l'egemonia mondiale in una situazione di indebitamento cronico. La strategia seguita dagli Stati Uniti nella seconda parte della presidenza Clinton, con le due presidenze Bush e con l'attuale presidenza Obama diviene allora chiara: si tratta di sfruttare i vantaggi momentanei di cui attualmente godono gli USA (supremazia militare, ruolo internazionale del dollaro) per acquisire vantaggi strategici che rendano più difficile una sfida seria alla loro egemonia. Uno degli aspetti cruciali di questi vantaggi strategici è il controllo delle risorse energetiche. La politica di Bush, incentrata sul Medio Oriente, e quella di Obama, che guarda piuttosto all'Asia centrale, sono due diverse declinazioni della stessa strategia.
L'essenza della politica statunitense attuale è il controllo egemonico sulle aree strategiche del mondo, in particolare sulle risorse energetiche, come risposta al proprio relativo declino economico. Si tratta di una strategia che non ha nulla da offrire ai popoli che vengono da essa dominati, e che si può realizzare solo attraverso la violenza. L'attuale politica statunitense porta quindi inevitabilmente a guerre e violenze planetarie, e rappresenta oggi il maggior pericolo per il genere umano.


II. L'Italia dentro allo scenario

Per tornare all'Italia, siamo convinti che la crisi, di cui finora hanno crudelmente sofferto molti precari e alcuni settori di operai e piccoli produttori, si farà più generale e devastante. Alla ripresa autunnale ci ritroveremo di fronte alla chiusura di moltissime attività che finora hanno saputo resistere, pur tra difficoltà, e quindi ad un aumento drammatico della disoccupazione. Del resto, l'economia italiana era in affanno già da parecchio tempo, come rilevato da molti studiosi e osservatori. [2] La crisi economica internazionale ha trasformato lo stato di stagnazione della nostra economia in stato di recessione. E, nonostante le voci di rassicurazione da parte di qualche potente, non c'è da sperare nel breve periodo in una ripresa dell'economia internazionale che possa fungere da volano.
Con questo non intendiamo delineare scenari catastrofici, di bancarotta del paese. Lo scenario più verosimile è quello di una lunga stagnazione economica nella quale aumentino povertà e insicurezza, e diminuiscano il livello dei servizi e la qualità della vita per i ceti medi e per i ceti popolari. Se ora ci chiediamo se vi sia qualche forza politica nazionale all'altezza dei problemi così individuati, la risposta non può che essere totalmente negativa. Per quanto riguarda la crisi economica il centrodestra attualmente al governo non sta in sostanza facendo nulla di significativo, mentre il centrosinistra non mostra di avere idee-forza diverse da quelle del centrodestra.
Non intendiamo spendere qui molte parole sulla sinistra, “moderata” o “radicale”. Ne abbiamo già parlato in vari articoli e libri. [3] Basti dire che giudichiamo la sinistra “moderata” completamente interna, nelle sue azioni e nei suoi slogan, all'attuale organizzazione economica e sociale. La sinistra cosiddetta “radicale” mescola slogan anticapitalistici con una politica effettiva tutta interna al sistema dei partiti, dimostrandosi sempre pronta ad abdicare a tutti i suoi principi se la sinistra “moderata” la include nel governo (come la vicenda dell'ultimo governo Prodi ha definitivamente chiarito a chiunque non sia prevenuto). In questo modo la sinistra “radicale” non fa che incanalare un possibile dissenso antisistemico verso il supporto al sistema dei partiti. La scomparsa progressiva della sinistra “radicale” ci sembra quindi un processo positivo, il superamento di un'ipocrisia, e speriamo che proceda velocemente.
In questo momento ci sembra più interessante spendere qualche parola sulla destra, per l'ovvio motivo che la destra è al governo e sembra godere di un certo consenso, probabilmente non maggioritario nel paese ma sicuramente maggiore di quello della sinistra. La portata di questo consenso, e l'evidente crisi delle opposizioni (con l'unica eccezione dell'Italia dei Valori) potrebbe far pensare alla nascita di quel “regime berlusconiano” che è stato indicato come un pericolo concreto fin dall'ingresso in politica di Berlusconi. Poiché si tratta di un'idea abbastanza diffusa, ci sembra valga la pena di discuterla.


Quale regime

La tesi che intendiamo discutere è quella secondo la quale l'attuale consenso a Berlusconi configurerebbe una situazione nella quale il centrodestra rimane stabilmente al potere mentre il centrosinistra rimane confinato all'opposizione, e questo per un tempo sufficientemente lungo e con effetti così marcati da poter parlare appunto di “regime”. E' pure diffusa, a sinistra, l'idea che l'eventuale regime berlusconiano possa avere carattere fascisti, ma si tratta di un tesi priva di riscontri reali, basata su una idea piuttosto nebulosa di cosa sia stato il fascismo, e non ci sembra quindi che valga la pena discuterne. Invece la tesi che ci si stia avvicinando a un “regime berlusconiano”, nel senso di lunga permanenza al potere del centrodestra, in un contesto in cui la conservazione degli istituti della democrazia formale coesista con il consolidamento di forme liberticide di potere, e con la creazione di un blocco sociale che ne rappresenti la base, sembra più realistica e vale quindi la pena di discuterla.
L'obiezione fondamentale a questa tesi è che essa appare in contrasto con un evidente dato di realtà. Infatti, se il regime, anche solo in formazione, coincidesse con il centrodestra, allora il centrosinistra dovrebbe rappresentare l'anti-regime. E, in questo caso, quando il centrosinistra arrivi al potere, dovrebbe sconfessare completamente l'azione del centrodestra, e abrogarne la legislazione. E' evidente a tutti che le cose non stanno così, e che vi è una totale continuità fra l'azione, legislativa e governativa, del centrosinistra e quella del centrodestra. Questo del resto vale non solo in Italia ma in tutti i paesi occidentali. Tutti i governi e tutte le forze politiche significative nei paesi occidentali sono completamente subalterne ai vincoli e alle compatibilità del capitalismo globalizzato e dell'impero statunitense. Per tornare all'Italia, ciò significa che, se di regime si deve parlare, si tratta di un regime che coinvolge il centrosinistra tanto quanto il centrodestra. Si tratta cioè del regime di un ceto politico totalmente asservito al modello economico dominante e alle mire geostrategiche statunitensi. Tale asservimento è condizione necessaria per poter svolgere l'unica attività alla quale questo ceto politico sia interessato, cioè la cura dei propri privilegi. Tale ceto politico è stato caratterizzato come Casta. Si tratta di una denominazione impropria, che però usiamo sia perché è entrata nell'uso, ed è una evidente opportunità quella di evitare creazioni individuali di vocaboli contro un uso generalizzato, sia perché è utile per indicare la sostanziale omogeneità degli attuali partiti.
Se guardiamo alla superficie della politica, a quello che ci viene raccontato dai media, l'immagine che ne ricaviamo è di una totale e radicale conflittualità fra le opposte fazioni politiche: polemiche, contrapposizioni, dichiarazioni e controdichiarazioni. Questa conflittualità gridata e amplificata dai media colpisce molti osservatori, che per spiegarla producono elaborate riflessioni sul fatto che in Italia non si sarebbe mai superata la guerra civile del '43-'45. Si tratta di spiegazioni radicalmente sbagliate, per il banale motivo che esse accettano come un dato reale ciò che realmente è solo un'apparenza. Anche le apparenze vanno spiegate, certo, ma appunto in quanto apparenze. Come abbiamo sopra ricordato, la realtà è che in Italia (come in tutti i paesi occidentali) non esiste nessuna sostanziale differenza fra forze politiche governative di destra e di sinistra nelle scelte economiche e sociali, nella sudditanza alle strategie imperiali statunitensi, nell'adesione a un modello di sviluppo che genera distruzione dell'ambiente, aggressioni imperialistiche, sconquassi economico-finanziari, disgregazione sociale e culturale. Nessuno può mostrare qualche cambiamento decisivo ed essenziale al passaggio da un governo di centrodestra a un governo di centrosinistra, o viceversa. [4] Al di sopra di questo fondo omogeneo, destra e sinistra giocano il loro gioco mediatico di contrapposizioni aspre e dure. Queste contrapposizioni non sono pure menzogne: esiste certamente una differenza fra destra e sinistra su alcuni temi, in particolare quelli legati ai diritti individuali. In estrema sintesi, la sinistra tende ad essere su questi temi più permissiva, la destra più restrittiva. Ma queste differenze non toccano in nessun modo la sostanza delle scelte economiche e geopolitiche dei governi, e vengono smodatamente esagerate appunto per nascondere la sostanziale indistinguibilità di destra e sinistra. Questa immagine di scontro è una apparenza, ma si tratta di una apparenza necessaria per il funzionamento del regime. In una società atomizzata e frammentata un regime unitario sul piano ideologico coalizzerebbe tutti gli scontenti, mentre lo spettacolo mediatico della contrapposizione rappresenta una valvola di sfogo del malessere diffuso.
Quali sono gli effetti del regime della Casta? In questi ultimi dieci o quindici anni è continuata la perdita di diritti e redditi da parte dei ceti subalterni, che è inevitabile all'interno dell'attuale modello economico, i servizi sociali sono peggiorati ed è stata avviata la distruzione di alcuni dei fondamenti della comunità nazionale (scuola, università, sistema giudiziario).
In un momento in cui la crisi economica minaccia un ulteriore, drammatico peggioramento della situazione, è evidente che la Casta non ha né la capacità né l'interesse di prospettare una difesa dei ceti subalterni.Totalmente succube della dinamica sistemica che ha portato alla crisi, del tutto inabile al pensiero, esclusivamente dedita alla difesa dei propri interessi e dei propri privilegi, la Casta non potrà che barcamenarsi cercando unicamente la propria autoconservazione. Questa situazione si prospetta quindi drammatica per il popolo di questo paese. In questo momento la Casta è, sul piano politico, il principale nemico dei ceti subalterni. Liberarsi dalla Casta è dunque il primo fondamentale passo da compiere e l'obbiettivo politico di base per chi voglia difendere gli interessi di tali ceti subalterni. [5]


Il centrodestra: punti di forza e punti di debolezza

Abbiamo detto che ci interessa qui gettare qualche sguardo sul centrodestra, in particolare a proposito del (relativo) maggiore consenso e forza di cui esso sembra oggi godere rispetto al centrosinistra. Questo dato di fatto presenta aspetti che vanno spiegati. Ci sono infatti almeno due elementi che in passato hanno sempre eroso consensi ai governi, e che sorprendentemente non tolgono consensi all'attuale centrodestra italiano.
In primo luogo il centrodestra si trova al governo in un momento di crisi, e in una fase di crisi economica ci si aspetta che le forze politiche di opposizione siano favorite rispetto a quelle governative. Questo apparente paradosso è stato chiarito da molti commentatori: la sinistra si è fatta da molto tempo portatrice delle stesse politiche economiche della destra, e non rappresenta quindi un'alternativa credibile neppure nei momenti di crisi economica.
In secondo luogo è da tempo chiaro a tutti gli osservatori imparziali che Berlusconi, e in generale il centrodestra, non sono amati dai ceti dominanti italiani (finanziari ed economici, con i loro collegamenti negli apparati statali) che preferirebbero a Berlusconi un politico più professionale e meno populista. L'ultimo esempio di questa disaffezione ci sembra rappresentato dalla recente campagna di stampa scandalistica creata su alcuni episodi che hanno avuto protagonista Berlusconi, episodi certamente rivelatori della vacuità dell'uomo ma per il resto insignificanti. Secondo le ricostruzioni giornalistiche, sembra infatti che alla residenza privata del Presidente del Consiglio avessero libero accesso prostitute armate di registratori. Ora, è chiaro che una cosa del genere mostra una sconcertante trascuratezza da parte degli organismi di sicurezza dello Stato, ed è allora naturale chiedersi se si tratti di trascuratezza o di qualcosa di diverso. Non intendiamo seguire Berlusconi nelle sue accuse di complotti: le prostitute in casa propria se le è portate lui, e la spazzatura che gli viene lanciata contro è quella nella quale lui si è rotolato. Non ci sembra però del tutto irragionevole il sospetto che si sia preferito lasciar proseguire l'andazzo, allentando le misure di sicurezza, anche perché a qualche settore dei poteri statali non dispiaceva l'idea che scoppiasse il tipo di scandalo che è poi in effetti scoppiato.
Come mai, nonostante questi elementi a sfavore, il centrodestra appare in questa fase nettamente più forte del centrosinistra? Ci sono a nostro avviso vari elementi di spiegazione.
In primo luogo, il centrodestra appare per il momento meglio capace di esprimere alcune esigenze comuni a tutta la Casta e a tutti i ceti dominanti. Ci riferiamo qui all'esigenza di soppressione del controllo di legalità sull'operato dei ceti dominanti. Per ragioni sulle quali ci soffermeremo brevemente più avanti, oggi l'intera attività politica ed economica dei ceti dominanti si svolge attraversando di continuo la frontiera fra legalità e illegalità. L'azione di quella parte minoritaria della magistratura disposta a perseguire i potenti appare allora destabilizzante e deve essere impedita. Ma la sinistra non può cercare con coerenza di allentare il controllo di legalità, perché è impacciata dalla tradizione alla quale deve in qualche modo fare riferimento per tenere legato a sé il suo elettorato, mentre Berlusconi, oltre a non avere remore di questo tipo, ha un interesse pressante, immediato e diretto a bloccare l'azione della magistratura. L'azione del centrodestra nella difesa dell'illegalità dei potenti è dunque più diretta e spregiudicata. Qui si vede con chiarezza in che senso destra e sinistra coincidano nella sostanza e si differenzino negli aspetti secondari. La sinistra non fa in realtà nulla per difendere la legalità, non elimina le leggi del centrodestra quando ne ha la possibilità, non difende realmente i magistrati che vengono attaccati perché svolgono indagini scomode. [6] Questo perché l'illegalità dei potenti è oggi una esigenza sistemica alla quale la sinistra, del tutto interna al sistema, non può sottrarsi.
In secondo luogo, Berlusconi ha capito quali siano le forme di creazione del consenso nell'Italia contemporanea. La sinistra non è riuscita a elaborare nulla di diverso dalla forma-partito, ma oggi il partito non riesce più a creare consenso, se non un consenso clientelare, che è comunque insufficiente (anche per la scarsità di risorse disponibili), e con la crisi della forma-partito la sinistra si è svuotata. Berlusconi cattura il consenso di una società disgregata e atomizzata come quella contemporanea dando di sé da una parte l'immagine di un uomo ricco e fortunato che una pluridecennale pubblicità ha abituato a far ritenere, da platee di fruitori della televisione privi di autonoma consistenza umana, un esempio da invidiare, e dall'altra, nello stesso tempo, quella di un individuo comune, con tutti i suoi vizi messi in evidenza, nella quale ogni individuo comune può identificarsi.
Questi elementi di forza del centrodestra e di Berlusconi non saranno probabilmente sufficienti all'avanzare della crisi economica. La stessa disgregazione sociale, sulla quale possono efficacemente agire le tecniche di cattura “spettacolare” del consenso nelle quali Berlusconi è così abile, impedisce la formazione di uno stabile blocco sociale sul quale il centrodestra possa basarsi. Il consenso di cui gode un potente è oggi molto più volatile rispetto ad un tempo. E' ovviamente difficile fare previsioni sulle evoluzioni della politica italiana, ma ci sembra probabile che il governo Berlusconi non possa reggere all'acuirsi della crisi, e che assisteremo, entro tempi non lunghi, alla riedizione di esecutivi cosiddetti “tecnici” come quelli di Amato, Ciampi o Dini dei primi anni Novanta.


Perché non bisogna sottovalutare Berlusconi

Abbiamo detto che la Casta, omogenea quanto alla sostanza delle scelte economiche e sociali, offre una apparenza di diversità e contrapposizioni. Abbiamo anche detto che questa diversità non è del tutto illusoria: riguarda, è vero, la superficie e non la sostanza, ma esprime comunque le diverse storie e le diverse formazioni culturali dei vari componenti della Casta. Questo significa fra l'altro che ciascuna componente della Casta, pur agendo in ogni caso secondo i dettami sistemici, e quindi con effetti totalmente negativi per i ceti subalterni, ha un proprio stile e una propria via nell'ottemperare a tali dettami, e, di conseguenza, un proprio modo particolare di colpire gli interessi dei ceti subalterni e la sostanza della nazione italiana. Così, la malvagità di un D'Alema si è vista soprattutto nel suo servilismo verso le avventure belliche della NATO, servilismo che è arrivato fino a trascinare l'Italia nell'aggressione alla Jugoslavia del 1999, in violazione della Costituzione e degli interessi nazionali. La malvagità della Lega si percepisce soprattutto nelle crudeli misure contro gli immigrati, il cui unico effetto sarà il rafforzamento della condizione di clandestinità. Queste differenze non devono comunque far perdere di vista l'aspetto di sostanza, cioè il fatto che la Casta tutta intera rappresenta oggi una minaccia per i ceti subalterni e per l'integrità della nazione, e quindi tutta intera va considerata il nemico da combattere.
Se questo punto è chiaro, ci si può chiedere allora quale sia l'aspetto specifico rispetto al quale l'azione di Berlusconi è più dannosa di quella di altri componenti della Casta. Si tratta, a nostro avviso, del tema, sopra accennato, della corruzione e dell'illegalità. L'azione di Berlusconi in questo settore, fin dal suo ingresso in politica, è sempre stata tesa a rendere inefficace il controllo di legalità sui potenti, inasprendo piuttosto la repressione sui soggetti deboli (gli immigrati, per esempio).
La disarticolazione della legalità che ne risulta è catastrofica per il paese. In primo luogo, le varie dimensioni dell'illegalità italiana (criminalità organizzata, corruzione, evasione fiscale) rappresentano un immenso drenaggio di risorse. Le risorse occultate dall'evasione fiscale e appropriate dalla criminalità organizzata e dalla corruzione, sono le risorse che mancano per i servizi e la protezione di cui i cittadini avrebbero bisogno, e a cui avrebbero, secondo la Costituzione, diritto.
Ma questo non è neppure il punto principale. Ciò che è veramente catastrofico è il fatto che in una condizione di corruzione generalizzata, come è quella dell'Italia contemporanea, una vera rivolta civile diventa quasi impossibile. Perché se la corruzione è generalizzata significa che larghissime fasce di popolazione vi partecipano e si adattano ad essa, ed è allora difficilissimo sviluppare la coscienza della necessità del cambiamento. Questa fenomenologia è accentuata dalla crescita dell'insicurezza e della precarietà, indotte dal capitalismo contemporaneo. L'insicurezza e la precarietà fanno sì che una qualche piccola forma di corruzione (la raccomandazione, la possibilità di evadere certi pagamenti, la complicità passiva con le organizzazioni criminali) diventi per molti l'unico modo per mantenersi a galla. Ciò significa che larghe fasce della popolazione sono indotte a sviluppare un atteggiamento servile nei confronti dell'una o l'altra parte dei ceti dominanti. E nella storia le rivoluzioni non le fanno i servi. Quando gli oppressi sono riusciti a generare un cambiamento storico reale, questo è stato opera di gruppi sociali capaci di vera autonomia economica e culturale, e quindi in grado di percepire gli oppressori come escrescenze parassitarie, di cui si può fare a meno. Questo era l'atteggiamento della borghesia rivoluzionaria e dei contadini nei confronti della nobiltà al momento della Rivoluzione francese, più tardi degli operai nei confronti della borghesia, e dei popoli in lotta contro il colonialismo e l'imperialismo. Quando l'oppresso invece avverte l'oppressore come necessario per la propria stessa sopravvivenza, non è capace di una autentica rivoluzione ma al massimo di rivolte episodiche, “jacqueries”, assalti ai forni.
La corruzione diffusa nel nostro paese indebolisce dunque le basi sociali per una autentica lotta di liberazione contro i ceti dominanti. E' per questo che occorre combatterla, ed è da questo punto di vista, dicevamo, che l'azione di Berlusconi è particolarmente dannosa. Anche su questo punto, occorre comunque tenere in mente che il nemico fondamentale è la Casta e non soltanto Berlusconi. La Casta tutta intera è corrotta, e l'annullamento del controllo di legalità è una necessità di tutta la Casta, non solo di Berlusconi. Lo specifico di Berlusconi è il suo interesse diretto, immediato e pressante a tale annullamento.


III. Il capitalismo assoluto

I fenomeni che abbiamo fin qui descritto vanno inquadrati, per poterli comprendere, all'interno di una visione generale delle caratteristiche del sistema sociale ed economico contemporaneo. Per definire tale sistema abbiamo introdotto la nozione di “capitalismo assoluto”. Il capitalismo assoluto non rappresenta un mutamento della logica fondamentale del modo di produzione capitalistico (che rimane quella individuata da Marx), ma piuttosto un mutamento nei rapporti fra logica capitalistica e concreta formazione economico-sociale nella quale tale logica opera. Il capitalismo assoluto rappresenta la fase storica nella quale la logica capitalistica di accumulazione del plusvalore guida direttamente ogni ambito della società e non si limita a determinarlo in ultima istanza. Ogni sfera sociale viene vista allora come un'azienda dalla quale è necessario ricavare un profitto. La natura esterna e la stessa antropologia dell'essere umano vengono piegate a questa logica. In termini marxiani, la fase attuale è quella del passaggio dalla sussunzione formale alla sussunzione reale della società intera, non solo del lavoro produttivo, al capitale. Nella società liberalborghese classica le varie sfere sociali sono certo subordinate alla logica del profitto, ma viene rispettata la loro autonomia relativa, mentre nel capitalismo assoluto è la stessa logica di funzionamento di tali sfere che viene cancellata per essere sostituita dalla logica del profitto. Per spiegarci con un esempio, la scuola nella società liberalborghese classica è certamente funzionale alla riproduzione di tale società: essa deve formarne le classi dirigenti, da una parte, e dall'altra deve trasmettere ai ceti popolari i valori della classe dominante. Ma si tratta di vincoli esterni, imposti ad una struttura che continua a funzionare secondo la sua logica, la logica dell'educazione, che non è quella del profitto. Nel capitalismo assoluto si chiede invece, semplicemente, che le scuole (e le università, gli ospedali ecc.) diventino aziende profittevoli, o comunque vengano giudicate secondo i criteri elaborati per giudicare le imprese capitalistiche.
Questa visione di fondo della natura sociale ed economica dell'attuale fase permette di capire meglio alcune degli aspetti della nostra politica. Infatti, la richiesta sistemica nei confronti del ceto politico è cambiata, rispetto alla società liberalborghese classica che è durata fino a pochi decenni or sono. In quella fase, i gruppi politici avevano la funzione di rappresentare i diversi gruppi sociali i cui interessi, anche conflittuali con il capitalismo, dovevano essere ricomposti sotto l'egemonia dei ceti dirigenti borghesi e compatibilmente con i vincoli dello sviluppo capitalistico. Oggi la sussunzione reale di tutte le sfere della società al capitale ha cancellato ogni “sacca di resistenza”, ogni alterità di gruppi sociali rispetto alla logica capitalistica. In questa situazione al ceto politico non è richiesto di intervenire attivamente nella dinamica sociale per lottare contro radicate opposizioni sociali allo sviluppo capitalistico, ma piuttosto di abbandonare la società, ormai priva di anticorpi, al dominio della logica capitalistica, ed eventualmente di prevenire il possibile riformarsi isolato di ostacoli a tale dominio. E' questa la ragione profonda del carattere totalmente autoreferenziale del ceto politico contemporaneo. Si tratta di un ceto che non può pensare alla società, perché essa è abbandonata alla logica capitalistica di incessante innovazione finalizzata al profitto, e che quindi non può che pensare a se stesso e ai propri interessi e privilegi. Si capisce anche l'estremo scadimento intellettuale e morale di tale ceto. Sul piano intellettuale, i politici non hanno semplicemente nulla da fare se non apparire sui media, curare i propri interessi ed emettere vari tipi di dichiarazioni che non interessano a nessuno e vengono immediatamente dimenticate. E' abbastanza evidente che per simili attività non sono richieste grandi doti di intelligenza, cultura, capacità progettuale, ed è quindi logico che il palcoscenico della politica venga occupato da persone il cui unico titolo è un qualche tipo di notorietà.
Sul piano morale, poiché all'interno dell'attuale realtà politica non c'è nessun modo di lavorare per il bene comune, è del tutto chiaro che chi vi rimane è unicamente interessato ai privilegi di cui gode la Casta.
L'aspetto più importante della situazione umana nel capitalismo assoluto è però rappresentato dalla sussunzione dell'antropologia umana alla logica del capitale. Alcune caratteristiche umane fondamentali del nostro tempo sono il risultato dell'incessante movimento riplasmatore della realtà da parte dei meccanismi dell'economia del profitto. Questa sussunzione dell'essere umano ha vari aspetti, che non possiamo indagare estesamente qui. [8] Ci limitiamo a sottolinearne alcuni aspetti rilevanti per il nostro discorso.
In primo luogo la sussunzione al capitale e al suo incessante movimento di innovazione dissolve ogni stabile identità sociale, facendo scomparire dall'orizzonte la chimera del “Soggetto Sociale Rivoluzionario”, fino a poco tempo fa fondamento teorico della politica rivoluzionaria. Il “Soggetto Sociale Rivoluzionario” è sempre stato una chimera, nata dalla sovrapposizione confusionaria fra l'individuazione empirica di soggetti sociali capaci di impegnarsi in forme di opposizione al capitalismo e una cattiva metafisica storicistica, autodefinitasi “scienza”, che pretendeva di aver individuato la direzione della Storia. La fede in questa chimera poteva perpetuarsi appunto perché la presenza di concreti soggetti sociali non pienamente integrati nel sistema sociale capitalistico era, fino alla fase attuale, un dato di fatto. Il capitalismo assoluto ha cancellato questo dato di fatto, e la chimera non ha più nulla su cui basarsi. La realtà sociale contemporanea è quella, ben descritta da Zygmunt Bauman, della “società liquida”, priva di punti di riferimento stabili. L'atomizzazione dei rapporti sociali, oltre a rappresentare un pericolo per la tenuta del legame sociale, annulla le basi sociali della politica rivoluzionaria, per come erano state fin qui concepite.
In secondo luogo, il capitalismo assoluto uccide il discorso pubblico e la razionalità pubblica. La sostanza del problema è sintetizzata nelle due battute di una vignetta di Massimo Bucchi: “Nonno, cos'è la politica?” “Lo spazio che resta dopo aver accettato tutto”. [9] La politica è quello che resta dopo che si è accettato “tutto”, cioè il dominio totale della logica capitalistica in ogni ambito della vita sociale, e la sudditanza all'impero statunitense. Ma il discorso pubblico, la discussione tesa a far esprimere e orientare l'opinione pubblica, ha un senso se vi sono alternative reali fra le quali scegliere con razionalità. Nel momento in cui tutto è già stato deciso altrove, al di fuori della sfera pubblica, la discussione pubblica non ha più senso, e la fatica della ragione è una fatica inutile. Alla discussione pubblica razionale si sostituiscono quindi la chiacchiera, il pettegolezzo, le parole in libertà. S'intende che chiacchiera e pettegolezzo sono sempre esistiti, ma fino a qualche tempo fa esisteva accanto ad essi la sfera della discussione pubblica razionale, che è ormai sparita. Il dibattito politico contemporaneo è uno degli esempi di questo fenomeno: le parole dei politici non hanno alcun rapporto né con la realtà né con la razionalità, sono semplici affabulazioni alle quali nessuno attribuisce importanza perché si sa che non contano nulla. [10]
Potrebbe sembrare che la nostra analisi delinei una situazione senza via d'uscita: la logica del capitale si imprime su ogni aspetto della realtà, compresa la stessa antropologia umana, non c'è un soggetto sociale rivoluzionario, la stessa dimensione del dialogo pubblico è travolta dalla chiacchiera: su cosa ci si può allora basare per contrastare il sistema dominante?
Per rispondere, ripensiamo per un momento alla dimensione della chiacchiera inutile a cui oggi è ridotto il dibattito politico. Facciamo due esempi, in riferimento a due diverse aree politico-culturali, in modo da capire la sostanza del problema. Il movimento pacifista italiano ha subito un duro colpo quando il governo di centrosinistra di Prodi, che è durato dal 2006 al 2008, ha deciso la continuazione dell'impegno italiano nella guerra in Afghanistan e la realizzazione dell'ampliamento della base militare USA di Vicenza. Il movimento si è spaccato fra chi intendeva attaccare il governo Prodi per queste scelte e che invece voleva salvaguardare il rapporto con il “governo amico”. La spaccatura ha tolto ogni peso politico al movimento pacifista italiano, che da allora è sostanzialmente sparito dalla scena, almeno come movimento organizzato unitario. Questa dinamica mostra come anche nelle nicchie di militanti che si contrappongono al sistema le parole del discorso politico siano ridotte a chiacchiera. E' chiaro infatti che un movimento pacifista deve contrapporsi a tutti i governi che agiscono per la guerra, e poiché le azioni del governo Prodi su questo tema erano chiarissime, non avrebbe dovuto esserci nessuna discussione, all'interno del movimento, sulla necessità di combattere il governo Prodi. Il fatto che invece una parte rilevante del movimento fosse di avviso opposto mostra appunto l'irrilevanza della razionalità anche in questi ambiti.
Per fare un esempio nel campo opposto, è sorprendente notare come una grande parte del mondo cattolico da un lato sia perfettamente inserita nell'attuale sistema capitalistico, ne promuova la logica di sviluppo, ne sostenga l'espressione politica rappresentata dall'impero statunitense, e dall'altro critichi fortemente gli sviluppi contemporanei nel campo delle relazioni fra i sessi, della morale sessuale, della famiglia. E' del tutto ovvio che tali sviluppi sono la conseguenza della logica del capitalismo contemporaneo (e per di più sono maggiormente evidenti proprio negli Stati Uniti), eppure queste considerazioni, semplici e banali, non sembano toccare minimamente i milioni di cattolici che cercano di tenere assieme ciò che non può essere tenuto assieme.
Questi due esempi ci mostrano la disgregazione della razionalità pubblica nel mondo contemporaneo: i pacifisti che vogliono essere contro la guerra e contemporaneamente sostenere un governo che fa la guerra, i cattolici che vogliono sostenere un capitalismo che dissolve la morale tradizionale e contemporaneamente difendere la morale tradizionale, sono persone che hanno in sostanza rinunciato alla razionalità, riducendo così le loro dichiarazioni di principio a semplici chiacchiere.
Eppure queste chiacchiere non raccontano solo il vuoto e l'irrazionalità contemporanee. Oltre a far questo, esse esprimono, senza averne coscienza, l'esigenza di un discorso pubblico che non sia la semplice accettazione di ciò che è stato deciso da altri. Le persone che ripetono il proprio pacifismo o il proprio attaccamento alla morale tradizionale, mentre non fanno niente per dare un senso a tali parole, sono sullo stesso piano di coloro che continuano a prendere sul serio i dibattiti e le contrapposizioni fra destra e sinistra: sono tutte persone che si ingannano, ma il loro essere ingannati deriva dall'esigenza di credere che esista ancora uno spazio pubblico nel quale sia possibile lottare per la pace, o difendere la morale tradizionale, o decidere se sia meglio la destra o la sinistra. Si tratta cioè di fenomeni che manifestano un'esigenza profonda: è necessario credere che sia possibile un libero dibattito nel quale gli esseri umani si autodeterminano secondo coscienza e ragione. Ciò che emerge qui è in sostanza l'irriducibilità dell'essere umano, il suo non poter mai ridursi completamente a meccanismo eterodiretto.[11] L'esigenza di autonomia dell'essere umano appare invincibile perché emerge, in forme degradate, proprio nella situazione del capitalismo assoluto, che ne rappresenta la negazione.
La risposta alla domanda su quale sia il fondamento della lotta al sistema dominante è dunque questa: esiste nell'essere umano una base antropologica di valori la cui assiologicità non può mai essere annientata, per quanto siano fattualmente contraddetti, perché definiscono l'unico argine alla disgregazione della società e degli individui. L'attuale sistema sociale, in quanto li contraddice, ha perciò in essi il principio della sua contraddizione interna. Questi valori, per i quali possiamo usare nomi come Libertà, Giustizia, Solidarietà, definiscono qualcosa che possiamo chiamare “natura umana”, purché con “natura” non si intenda una realtà fisica o biologica ma una nozione filosofica. In questo senso possiamo allora dire che la contraddizione fondamentale, sulla quale basarsi per combattere il sistema dominante, è oggi quella fra capitalismo e natura umana.


IV. Assi di riferimento

E' ovvio che la contraddizione fondamentale, che abbiamo appena indicata, va articolata nella concreta situazione contemporanea. Ritorniamo quindi all'analisi di tale situazione, ricordando i punti fermi ai quali eravamo arrivati. In questa fase storica sono in incubazione drammi storici di rilievo paragonabile alle due guerre mondiali del Novecento. Se vogliamo cercare di evitare al nostro paese sofferenze e tragedie paragonabili a quelle che ci hanno colpito in quei momenti, dobbiamo assolutamente liberarci dal regime della Casta che ci governa. Questo lo può fare solo una nuova forza politica che nasca sulla contrapposizione netta a tutto il mondo politico attuale, a tutta la Casta. Un tale atteggiamento di rottura è indispensabile, ma ovviamente non è sufficiente. Una nuova forza politica deve avere alcuni principi generali, alcuni assi di riferimento che ne definiscano l'identità in positivo. Abbiamo indicato più volte quali debbano a nostro avviso essere questi assi di riferimento. [12] Ribadiamo qui rapidamente le nostre tesi.


Critica dello sviluppo

Il capitalismo come tale è mosso a livello sistemico dall'imperativo dell'accumulazione del plusvalore. Questa dinamica si traduce in una incessante spinta allo sviluppo e all'innovazione. Come abbiamo sopra ricordato, nella fase “socialdemocratica”, cioè nei trent'anni seguiti alla fine della Seconda Guerra Mondiale, il meccanismo dello sviluppo capitalistico si è mostrato compatibile, sia pure, ovviamente, in modo non automatico ma attraverso lotte e conflitti, con un generale sviluppo di civiltà e in particolare con una serie di importanti conquiste ottenute dai ceti subalterni. Negli anni Settanta del Novecento le cose cominciano a cambiare. Il meccanismo capitalistico, per mantenere accumulazione e profitti, assume la configurazione detta (impropriamente, ma conserviamo i termini per capirci) neoliberista e globalizzata, nella quale viviamo da circa trent'anni. In questa fase le conquiste socialdemocratiche ottenute dai ceti subalterni nella fase precedente non sono più compatibili col meccanismo dell'accumulazione capitalistica, e devono essere distrutte. E' questo l'unico modo per rilanciare lo sviluppo capitalistico. Tale sviluppo significa quindi, nella fase attuale, distruzione dei diritti dei lavoratori, impoverimento di fasce sempre più larghe della popolazione, asservimento di ogni istituzione pubblica ai fini del profitto privato. E inoltre distruzione sempre più spinta dell'ambiente naturale e del territorio in cui si vive. Questo stesso modello di sviluppo è oggi entrato in crisi, e l'unica alternativa visibile è il modello di sviluppo capitalistico “alla cinese”, cioè con un coinvolgimento diretto dello Stato nell'accumulazione capitalistica, che deve superare anche i limiti delle formalità giuridiche liberali e borghesi. Questo è oggi lo “sviluppo reale”. Chi vuole lo sviluppo, in questa fase storica, vuole una di queste tre forme, perché non ce ne sono altre. Ma la forma organizzativa “socialdemocratica” appartiene ad una fase storica tramontata, la forma organizzativa “neoliberista” ha portato alla crisi odierna, la forma organizzativa “cinese” promette ai lavoratori e ai ceti subalterni un futuro di supersfruttamento economico ed oppressione politica. Cosa ha in mente allora chi parla di sviluppo? Volere lo sviluppo senza rispondere a questa domanda è atteggiamento poco serio sul piano intellettuale.
Una forza politica realmente nuova ed impegnata a salvare questo paese dallo sfacelo deve perciò rifiutare lo sviluppo capitalistico, quindi lo sviluppo come tale (che oggi non può essere che capitalistico). Ciò significa mettersi nell'ottica della “decrescita”. Abbiamo già parlato della decrescita nei testi citati, e qui non vogliamo ripeterci per esteso. Ribadiamo solo un punto. Decrescita significa allargamento della produzione di beni che non siano merci, diminuendo invece la produzione di merci. Queste idee non sono indebolite ma anzi rafforzate dall'attuale crisi. Ora che lo sviluppo capitalistico mostra le proprie contraddizioni, dovrebbe apparire evidente che l'unica via per evitare un dramma sociale è passare dai consumi privati, fonte di profitto per il capitale, a consumi collettivi di pubblici servizi gratuitamente offerti. Una proposta concreta per realizzare questo passaggio è quella di massicce assunzioni di personale a tempo indeterminato da parte delle amministrazioni pubbliche per rendere efficienti e realmente disponibili a tutti una serie di servizi sociali, servizi che oggi non funzionano proprio per mancanza di personale. Occorrono più infermieri e medici per rendere effettiva l'assistenza sanitaria (oggi sempre più carente, specie in servizi come l'analisi diagnostica, le guardie mediche, il pronto soccorso), più magistrati e più impiegati e cancellieri per rimettere in sesto un apparato giudiziario disastrato (una giustizia lenta e farraginosa è un vantaggio per i potenti che possono permettersi di pagare gli avvocati), più tecnici per i servizi di difesa del territorio, di controllo e prevenzione delle nocività ambientali e delle sofisticazioni alimentari, più ispettori per il controllo e la prevenzione degli infortuni sul lavoro. L'elenco potrebbe continuare a lungo.
Questo piano di assunzioni massicce dovrebbe essere finanziato sul piano monetario riducendo alcune spese statali (fine di tutte le missioni militari all'estero, abolizione dei privilegi della Casta politica e degli enormi costi della corruzione pubbica di cui si alimenta il suo potere), eliminando l'evasione fiscale, sottoponendo ad alti prelievi fiscali le grandi concentrazioni di ricchezza finanziaria ed immobiliare, espropriando le ricchezze della criminalità organizzata, tassando pesantemente la pubblicità [13] e le transazioni finanziarie. Ma la retribuzione di questi nuovi lavoratori dovrebbe essere, in parte, non monetaria, sotto forma di servizi gratuiti che le stesse massicce assunzioni renderebbero possibili.
Essendo le assunzioni finalizzate a rendere effettivamente fruibili a tutti i servizi sociali, esse dovrebbero inoltre essere compiute contrastando severamente ogni tipo di pratica clientelare.
Una misura di questo tipo da una parte rappresenterebbe un aiuto concreto alle persone, perché servizi sociali efficienti alzano la qualità della vita, oltre a rappresentare una forma di reddito indiretto. Dall'altra rappresenterebbe un deciso attacco al problema della disoccupazione. Essa inoltre implicherebbe necessariamente l'abbandono delle grandi opere ad alta intensità di capitale (TAV, Ponte sullo stretto e simili), che hanno solo la funzione di permettere l'accumulazione del capitale, per investire piuttosto in un lavoro di manutenzione, in tutti i sensi, delle fondamentali strutture della nostra società, che oggi stanno lentamente cadendo a pezzi. In questo modo una tale proposta rappresenterebbe una base generale di collegamento per le varie realtà locali che lottano in difesa dei territori invasi dalle “grandi opere”, inutili per il popolo di questo paese e devastanti per la qualità della vita.
E' chiaro che un tale passaggio è possibile solo attraverso un profondo cambiamento culturale che consiste nel dare valore non al consumo di oggetti acquisiti sul mercato ma alla sicurezza di una vita garantita nei suoi bisogni di base e ricca di possibilità di relazioni umane.
Ma tutto questo altro non è che la decrescita, cioè la fine del vincolo dello sviluppo.


Difesa della legalità.

Dopo la critica allo sviluppo l'altro fondamentale asse di riferimento di una nuova forza poplitica intesa a trar fuori l'Italia dal baratro deve essere la difesa della legalità. I problemi di valorizzazione del capitale, alla base della crisi attuale, si sono espressi, oltre che con la finanziarizzazione dell'economia, con una generale ricerca di profitto senza limiti e a breve e brevissimo termine. Questo non è possibile rimanendo nell'ambito della legge (della stessa legge borghese!): di qui il carattere criminale di una parte sempre più grande dell'economia capitalistica contemporanea. Criminale nel senso di essere legata a pratiche di truffa e di corruzione, e nel senso di lasciare uno spazio crescente all'economia delle grandi organizzazioni criminali, che si confonde sempre di più con quella “legale”. Gli esempi sono innumerevoli. Basti pensare ai collegamenti che si devono instaurare fra imprese industriali del nord e camorra per lo smaltimento illegale dei rifiuti, secondo le denuncie dell'ormai famoso “Gomorra” di Roberto Saviano. Basti pensare a come il commercio delle armi porti necessariamente ad analoghi collegamenti, visto che le armi iniziano con l'essere prodotte legalmente da rispettabili industrie e finiscono poi in mano a criminalità e gruppi armati di vario tipo. Basti pensare a quali devono essere i legami che rendono possibili la “ripulitura” dell'immenso fiume di denaro sporco prodotto da attività come appunto il commercio di armi o la droga, e a come questo fiume di denaro accresca, in questi tempi di crisi finanziaria, il potere di chi, nel mondo dell'economia “ufficiale”, riesce a sfruttarlo. E si potrebbe continuare notando come la corruzione sia ormai un aspetto strutturale dell'economia contemporanea. Tutto ciò implica che i ceti dominanti nel mondo contemporaneo hanno sempre più bisogno di disattivare il controllo di legalità sui grandi crimini economici.
La richiesta di difesa della legalità rappresenta dunque un elemento di contraddizione con il capitalismo contemporaneo. Essa è tanto più importante in Italia, un paese nel quale le organizzazioni criminali rappresentano una componente fondamentale della struttura di potere del capitalismo presente e futuro. Le zone del sud controllate dalle varie mafie rappresentano una probabile prefigurazione di ciò che ci aspetta, se non riusciamo a mettere in campo una forza antagonista rispetto alla barbarie cui ci porta il capitalismo La difesa della legalità implica la difesa dell'indipendenza della magistratura, che in Italia è prevista dalla Costituzione ma, nonostante questo, è sempre più in pericolo. Difendere l'indipendenza della magistratura non significa naturalmente negare che ci siano magistrati incapaci o corrotti, o sentenze ingiuste e criticabili, e non significa neppure nascondersi il fatto che la magistratura mostra aspetti di corporativismo e difesa di privilegi. Difendere l'indipendenza della magistratura significa capire che tutti gli aspetti negativi che la magistratura attualmente presenta verrebbero accentuati e incrementati se venissero abbattute le garanzie di indipendenza che la Costituzione ha previsto, e la magistratura venisse sottomessa, in un modo o nell'altro, all'Esecutivo, e quindi alla Casta. L'indipendenza della magistratura è lo spazio grazie al quale pochi magistrati coraggiosi possono mettere sotto accusa i potenti, e creare così qualche intralcio nel meccanismo del potere attuale. Di tutto ciò la Casta ha chiara coscienza, ed è per questo che cerca via via di restringere gli spazi di indipendenza della magistratura. Se essa riuscisse nel suo intento, ciò rappresenterebbe una sconfitta gravissima per le deboli forze antisistemiche. Perfino una magistratura corporativa, per quanto rappresenti qualcosa di negativo, è meno negativa di una magistratura asservita ai Berlusconi, ai D'Alema e alle loro corti di corrotti e prostitute.


Costituzione

La lotta contro le dinamiche distruttive del capitalismo attuale può trovare un inquadramento generale nei principi e nei valori espressi nella prima parte della Costituzione della Repubblica Italiana. Rimandando agli articoli citati per alcuni approfondimenti, qui vogliamo solo chiarire un punto di possibile confusione. I principi e i valori della Costituzione sono stati fissati nella fase “socialdemocratica” del capitalismo, fase che noi riteniamo oggi non più ripetibile. C'è una contraddizione in questo? Riteniamo di no, perché pensiamo che ad essere superate siano le forme economiche e sociali di quella fase, non i principi ed i valori a cui sono state allora giuridicamente agganciate, che hanno radici storiche ben più lontane. Riteniamo cioè che all'interno del quadro generale della decrescita, e in rottura con le dinamiche del capitalismo contemporaneo, sia possibile l'invenzione di nuove forme di organizzazione economica che concretizzino i valori di solidarietà sociale e rispetto del lavoro espressi nella Costituzione. Nel quadro di questa elaborazione, il riferimento a quei principi ha una grande valore di rottura: proprio perché sono quelli espressi in una fase non più attuale, rappresentano delle incompatiblità per il capitalismo contemporaneo, rappresentano ciò che esso non può più garantire.


Antimperialismo

Una volta individuata la strategia imperiale statunitense come il più grande pericolo odierno, sul piano internazionale occorrerà sostenere le lotte dei popoli in lotta contro le dominazioni sostenute dal potere statunitense e dai suoi alleati (Israele in primo luogo). In questo campo sono possibili errori e distorsioni, perché le considerazioni geopolitiche, quando vengono separate da ogni altro riferimento, finiscono per girare a vuoto. Il principio che “il nemico del mio nemico è mio amico” non dice nulla se non si ha un quadro generale di riferimento in base al quale decidere quali siano i veri interessi del popolo di questo paese, e quindi chi siano i nemici e gli amici.
Esempi di questa confusione si sono visti rispetto ad alcuni fatti recenti. Così, la visita di Gheddafi in Italia del giugno 2009 è stata l'occasione da una parte di manifestazioni anti-Gheddafi del tutto ipocrite (Gheddafi non è certo peggiore di tanti altri capi di Stato venuti in visita in Italia), dall'altra, per reazione, di prese di posizione a favore di Gheddafi che appaiono del tutto fuori luogo, che vengano fatte in nome dell'antimperialismo (Gheddafi da tempo ha smesso di essere un intralcio alle mire strategiche statunitensi) oppure nel nome degli interessi nazionali al petrolio e al gas libici, che, pur rappresentando la motivazione più sensata e ragionevole per mantenere rapporti con Gheddafi, non hanno ovviamente di per sé nulla di anticapitalista. E' solo se si mantiene il riferimento alla tematica della decrescita che si può impostare un discorso geopolitico che sfugga al pericolo di sostenere un imperialismo contro l'altro. E' lo sviluppo capitalistico che genera l'imperialismo, ed è solo uscendo dal vincolo allo sviluppo che si può impostare un rapporto equo col resto del mondo.

Questi dovrebbero essere, a nostro avviso, gli assi di riferimento di una nuova forza politica di opposizione. Non si tratta, ovviamente, di un programma politico ed economico: un tale programma potrà elaborarlo solo una nuova forza politica, se e quando nascerà. Si tratta solo di un quadro di riferimenti fondamentali all'interno del quale potrà essere elaborato un preciso programma politico.


V. Una necessaria rottura

Una nuova forza politica di opposizione, che scelga il quadro di riferimento generale da noi sopra delineato, sarà all'inizio assolutamente minoritaria. Questo punto deve essere ben chiaro. Noi crediamo però che vi siano le possibilità di una progressiva crescita fra le fasce di popolazione sempre più disilluse sul futuro del paese, e sempre più disgustate dallo spettacolo quotidiano della Casta. Perché questa crescita sia possibile occorrerà fare attenzione ai molti rischi ai quali una tale forza politica è soggetta. Vogliamo indicarne uno in particolare. La nascita di una forza politica di questo tipo attirerà immediatamente una parte del variegato mondo dell'ultrasinistra. Con questa espressione non intendiamo ciò che più sopra abbiamo chiamato “sinistra radicale”, cioè il ceto politico di partiti come Rifondazione, PdCI, Verdi: si tratta in questo caso di una semplice sottocasta della Casta politica, che tenderà piuttosto a ignorare una iniziativa che si pone in netta opposizione a tutta la Casta. Parlando di “ultrasinistra” ci riferiamo a quel mondo di microorganizzazioni politiche, associazioni culturali, militanti, che continuano a fare riferimento al marxismo e al comunismo criticando le compromissioni della “sinistra radicale”. E' un mondo estremamente minoritario: si tratta probabilmente di poche migliaia di militanti in tutta Italia. Ma una nuova iniziativa politica come quella da noi indicata sarà anch'essa, all'inizio, del tutto minoritaria, e quindi i pochi militanti dell'ultrasinistra possono all'inizio riuscire ad avere influenza su di essa. Si tratta infatti di persone quasi sempre individualmente oneste, e talvolta capaci di ottima intelligenza su argomenti ben delimitati. Per questi motivi sono persone in grado di acquisire un certo ascolto all'interno di una nuova forza politica del tipo da noi delineato, e di indirizzarne così le scelte. Occorre allora chiarire subito che tale influsso è catastrofico, e che una nuova forza politica può nascere solo rompendo preliminarmente con questo tipo di realtà. [14] Perché un giudizio così netto? Perché l'intero mondo dell'ultrasinistra è costruito sull'irrealtà. Esso infatti mette al centro del proprio pensiero e della propria identità il “comunismo” o la “rivoluzione comunista”, in una versione o nell'altra. Ma il comunismo oggi non è una prospettiva politica. Si può parlare di comunismo in termini storici (analizzando le varie forme storicamente date di comunismo) oppure in termini filosofici (indicando in questo caso qualcosa come la natura comunitaria dell'essere umano), ma non in termini politici. Non esiste oggi una “politica comunista”. Quando è esistita, pur basandosi sulla nebulosità del suo fine ultimo e sull'illusione di una missione storica del proletariato, ha indicato obiettivi intermedi storicamente congruenti, tanto da riuscire a mobilitare settori consistenti della classe operaia, ha condotto battaglie effettive, che hanno avuto una concreta, profonda incidenza sulla realtà sociale e politica, ed ha plasmato forme della vita associata e della mentalità collettiva. L'ultrasinistra non ha prodotto neppure un frammento di tutto questo. La sua politica non ha oggetto, è dunque una politica illusoria, ideologica, perché il “comunismo”, o anche la “rivoluzione”, come è intesa in quel mondo, sono oggi enti irreali, inattingibili storicamente.
La politica dell'ultrasinistra non ha mai minimamente inciso sulla realtà dei paesi occidentali. Questo fatto è così chiaro ed evidente che esso impone necessariamente la seguente conclusione: chi oggi aderisce al mondo dell'ultrasinistra, in un paese occidentale, non vuole ottenere risultati effettivi, non vuole fare politica. Vuole qualcosa d'altro, vuole una rassicurazione identitaria della propria mentalità ossificata, ottenibile soltanto entro un piccolo gruppo di simili. Il carattere del tutto autoreferenziale di tale mondo, che chiunque dall'esterno avverte con un senso di soffocamento, non è dunque, per gli adepti, un difetto, ma proprio ciò che essi cercano. Allo stesso modo la totale incapacità di agire sul reale, che è l'altro aspetto dell'autoreferenzialità, non è un difetto ma è condizione di sopravvivenza: se questo piccolo mondo provasse davvero a interagire con la realtà, a incidere su di essa, scoprirebbe il vuoto delle proprie chiacchiere. E difatti è inutile mostrare a costoro che nuove idee e nuove finalità, come quelle indicate in questo scritto, sono effettivamente anticapitalistiche, e capaci di allargare effettivamente l'area del consenso: le rifiutano d'istinto, perché vogliono non l'anticapitalismo, ma la riproduzione della loro identità.
Il problema, dal punto di vista di una nuova forza politica che si trovasse ad interagire con questo mondo, è che i suoi adepti, non potendo avere coscienza di ciò che realmente sono e fanno, sono in larga parte persone inaffidabili e capaci delle reazioni più strane e imprevedibili, quasi sempre improntate ad una pesante aggressività, espressione di limiti umani e psicologici che non si è capaci di riconoscere. All'interno di una nuova forza politica, l'effetto sarebbe di creare una grande confusione e di far perdere tempo con discussioni defatiganti e paralizzanti.
Occorre dunque tenere lontane queste persone, rompere nettamente con questo piccolo mondo (oltre che con quello, molto più grande, della Casta politica di destra e di sinistra). Per questo non occorre fare nulla di drammatico. Non c'è bisogno di proscrivere nessuno né di chiedere abiure ideologiche. Basta tenere ben fermi i punti di riferimento da noi enunciati in precedenza. Per i motivi sopra detti, il mondo dell'ultrasinistra non vuol sentir parlare di riferimenti che aprano la strada ad un effettivo agire politico, come la difesa di Costituzione e legalità. Benissimo: basterà allora che una nuova forza politica metta Costituzione e difesa della legalità (oltre a decrescita e antimperialismo) come principi fondamentali e irrinunciabili della propria azione, e dichiari, come punto fermo non negoziabile, che chi entra nella nuova organizzazione politica lo fa sulla base di quei principi. Se si fa questa scelta in modo intransigente, gli ultrasinistri non verranno a disturbare chi lavora e continueranno a dormire, godendosi i loro sogni oppiacei di comunismi e rivoluzioni comuniste.


VI. Conclusioni

Il rischio di farsi deviare dal mondo dell'ultrasinistra sarà reale solo finché una nuova organizzazione politica resterà ultraminoritaria. Nel momento in cui dovesse uscire da tale condizione, e cominciasse a contrastare realmente i dettami del sistema, anche su questioni limitate, nascerebbero altri pericoli, ben più seri. Inutile parlarne adesso. Adesso occorrerebbe riunire le forze per lottare contro la dinamica distruttiva nella quale il mondo si è avviato. Il peggio deve ancora venire. E' probabile che fra qualche tempo ricorderemo questa estate 2009 come la quiete che precede la tempesta. Possiamo solo sperare che le forze intellettuali e morali di questo paese non siano del tutto distrutte, e che i drammi storici che ci aspettano riportino alla superficie, come al tempo della Resistenza, la forza e la dignità del nostro popolo.

Note

[1] E' nostra opinione, che non possiamo argomentare qui, che sia la stessa civiltà occidentale ad essere entrata in una fase di estenuazione e dissoluzione, e che la crisi economica accentuerà questa dissoluzione. Questo tema è trattato in un libro di prossima uscita: M.Badiale, M.Bontempelli, La civiltà occidentale, Edizioni il Canneto.

[2] Si veda per esempio Francesco Carlucci, L'Italia in ristagno, Franco Angeli 2008.

[3] Si veda per esempio l'articolo “Prima che si troppo tardi”, scritto poco dopo le elezioni politiche del 2008, reperibile in rete in vari siti, fra i quali
http://www.megachip.info/modules.php?name=Sections&op=viewarticle&artid=6912,
http://www.megachip.info/modules.php?name=Sections&op=viewarticle&artid=6947,
www.aginform.org/badiale.pdf,
http://www.comedonchisciotte.org/site/modules.php?name=News&file=article&sid=4660,
http://66.71.135.49/articolo.php?id_articolo=19242.
Le nostre tesi sulla sinistra sono state svolte in modo più approfondito in M.Badiale, M.Bontempelli, La sinistra rivelata, Massari 2007.

[4] Per una analisi approfondita di questa sostanziale indistinguibilità di destra e sinistra, in riferimento ai fondamenti delle politiche sociali ed economiche, rimandiamo al libro “La sinistra rivelata”, sopra citato.

[5] Indicando la casta come nemico immediato ci limitiamo al piano della politica. Se guardiamo al complesso dell'attuale situazione storica, non è la Casta il ceto dominante. Il ceto dominante sul piano economico e sociale è oggi rappresentato dalle oligarchie finanziarie nazionali e transnazionali (questa affermazione dovrebbe ovviamente essere argomentata, ma ciò esula dagli scopi di questo scritto), e la Casta rappresenta l'articolazione politica di tale dominio. Ma questo scritto discute appunto il livello politico dell'attuale sistema di dominio, e a tale livello è della Casta che bisogna parlare.

[6] Basti ricordare che la sinistra non ha fatto nulla per difendere Luigi De Magistris e Clementina Forleo, quando al primo vennero sottratte le inchieste scomode che stava conducendo, e la seconda venne attaccata per aver espresso la sua solidarietà allo stesso De Magistris.

[7] M.Badiale, M.Bontempelli, Il mistero della sinistra, Graphos 2005, e La sinistra rivelata, cit.

[8] Rimandiamo all'articolo di Massimo Bontempelli: Capitalismo, sussunzione, nuove forme della personalità, reperibile agli indirizzi
http://www.ariannaeditrice.it/articolo.php?id_articolo=17114
http://www.rivistaindipendenza.org/Teoria%20nazionalitaria/Bontempelli%20-%20sussunzione.htm
http://www.comunitarismo.it/articoli%20sito.htm
Si possono inoltre vedere su questo tema alcuni articoli di Massimo Bontempelli pubblicati nella rivista “Indipendenza”: Libertà, sessualità e vuoto antropologico, Indipendenza, anno V, n.10, aprile/luglio 2001, pagg.23-24; Capitalismo e personalità antropologiche, Indipendenza, anno VII, n.14, giugno/luglio 2003, pagg.13-17; Sessualità. Tra moralismo repressivo e permissivismo consumistico, Indipendenza, anno X, n.19-20, febbraio/maggio 2006, pagg. 30-32.

[9] La vignetta è del 1997, ed è raccolta in M.Bucchi, Caro Mao perché sei morto, Marsilio 2009. Autori di vignette satiriche come Bucchi o Altan hanno spesso avuto la capacità di sintetizzare in rapide battute la sostanza della situazione storica contemporanea.

[10] Lo stesso succede negli altri ambiti della società. Nelle infinite nicchie di Internet, per esempio, fra forum, blog, social network e così via, è difficilissimo trovare una vera discussione razionale, cioè una discussione svolta rispettando i fondamentali principi del dialogo razionale.

[11] Qualcosa di simile è tipico del fenomeno religioso, che da una parte ha sempre un aspetto ideologico, di evasione dalla realtà (la religione “oppio del popolo”), dall'altra ha rappresentato in diversi momenti storici lo spazio in cui sono state salvaguardate esigenze umane imprescindibili. La religione può funzionare da “oppio del popolo” solo perché presenta anche questo secondo aspetto.

[12] Si veda l'articolo “Prima che sia troppo tardi” sopra citato, e inoltre M.Badiale, M.Bontempelli, “Per salvare la vita”, articolo reperibile in rete ai seguenti indirizzi, fra gli altri:
http://www.rivistaindipendenza.org/Teoria%20nazionalitaria/tesi.htm
http://www.megachip.info/modules.php?name=Sections&op=viewarticle&artid=8431
http://www.comedonchisciotte.org/site/modules.php?name=News&file=article&sid=5358
http://www.ariannaeditrice.it/articolo.php?id_articolo=22972

[13] La pubblicità meriterebbe un discorso a parte, che non è possibile svolgere in questa sede. Nel mondo moderno è diventata una delle componenti della produzione dei beni, nel cui valore d'uso entra in maniera essenziale l'aura di valore e desiderio che ad essi attribuisce la pubblicità. Quest'ultima è quindi un costo di produzione di beni, quasi sempre inutili o dannosi: un costo che ricade sulla società. La pubblicità andrebbe quindi semplicemente abolita. Non essendone possibile l'abolizione nel breve periodo, una seria tassazione permetterebbe almeno di ridurne l'incidenza e di recuperare risorse.

[14] Quanto si dice qui e nel seguito rappresenta un giudizio generale sull'ambiente dell'ultrasinistra. Vi possono naturalmente essere, come sempre in questi casi, singole eccezioni individuali.

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