Intervista al professor Bruno Amoroso

Intervista a Bruno Amoroso

Fonte: Stato & Potenza
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2 giugno 2012


Bruno Amoroso, economista e saggista italiano (naturalizzato danese), si è laureato in economia all’Università La Sapienza di Roma, sotto la guida di Federico Caffè. Negli anni dal 1970 al 1972 è stato ricercatore e docente all’Università di Copenhagen. Dal 1972 al 2007 ha insegnato all’Università di Roskilde, in Danimarca, dove ha ricoperto la cattedra Jean Monnet, presso la quale è professore emerito. Amoroso è docente all’International University di Hanoi, nel Vietnam. È stato visiting professor in vari atenei, tra cui l’Università della Calabria, la Sapienza di Roma, l’Atilim Üniversitesi di Ankara, l’Università di Bari.
È presidente del Centro studi Federico Caffè dell’Università di Roskilde ed è condirettore della rivista italo-canadese Interculture. È membro del consiglio di amministrazione del FEMISE (Forum Euroméditerranéen des Instituts de Sciences Économiques), e coordinatore del comitato scientifico dell’italiana Fondazione per l’internazionalizzazione dell’impresa sociale. Fa parte, inoltre, del comitato scientifico FLARE Network (Freedom, Legality and Rights in Europe), la rete internazionale per la lotta alla criminalità e alla corruzione; è membro ed esperto di DIESIS (Bruxelles), organizzazione no-profit dedicata allo sviluppo dell’economia sociale, nelle forme cooperative, di impresa sociale, e di impresa autogestita dai lavoratori, attraverso attività di supporto, consulenza e valutazione dei progetti. È decano della Facoltà di Mondiality, all’Università del Bene comune (Bruxelles-Roskilde-Roma), fondata da Riccardo Petrella; è membro del comitato scientifico del progetto WISE dell’Unione europea, ed è stato direttore del Progetto Mediterraneo promosso dal CNEL (1991-2001).
Lo abbiamo incontrato ed intervistato.

In Italia, le aziende operanti nei settori strategici, come ENI e Finmeccanica, si trovano da mesi sotto il fuoco incrociato della grande finanza e dagli organi di stampa di Wall Street, che reclamano a gran voce la cessione delle rispettive quote aziendali detenute dallo Stato. A cosa crede che sia dovuto tutto ciò? Esiste o è esistito, secondo lei, un contrasto tra imprenditoria pubblica e privata in Italia?

Credo che questo sia parte di quel processo in corso di indebolimento dell`economia italiana per ridurne le capacità di competizione e, nel contempo, di far assumere il controllo di questi settori strategici (dal punto di vista militare e politico) a società statunitensi o europee affidabili. La dinamica e le spiegazioni basate solo sulla contrapposizione pubblico-privato, se non inserite dentro lo scontro geopolitico, non sono a mio avviso sufficienti. Siamo oggi alla vigilia di una nuova "guerra fredda", nel conflitto con l`Oriente e la Cina, e il controllo degli strumenti sensibili per l`industria militare e le materie prime va preso direttamente in gestione dai gruppi finanziario-militari internazionali. Si sta ripetendo quello che accadde nell`immediato dopoguerra con l`Eni e l´Olivetti. Il carattere "sensibile" dei loro settori di attività (petrolio e informatica) per l`industria militare e i rapporti di potenza con altri paesi (Unione Sovietica) provocò come noto la morte di entrambi e il passaggio di quelle attività sotto il controllo degli Stati Uniti. Sull`impresa pubblica scrissi un libro (Lo Stato Imprenditore) alla fine degli anni Settanta. In quel testo indicavamo come le cause dell`indebolimento del settore pubblico dell`economia andavano ricercate nell`incapacità di questo settore di sottrarsi a ipoteche e condizionamenti posti all`economia italiana dai monopoli internazionali e dai centri di potere politico. Con la globalizzazione, e il formarsi dei nuovi poteri finanziari e militari, l`impresa pubblica fu liquidata, sia nella sua componente industriale sia in quella bancaria. Autori di quella operazione di "privatizzazione" furono i soliti noti (Draghi, Monti, Prodi, Ciampi, Amato, ecc.).

. La Grecia è sull’orlo della catastrofe, e gli eurocrati di Bruxelles non sembrano avere le idee chiare su cosa fare. L'austerità sembra esser divenuta un imperativo categorico secondo Unione Europea, Banca Centrale Europea, Fondo Monetario Internazionale e Germania. Quali conseguenze scaturiranno, secondo lei, dall'uscita della Grecia dall'Eurozona o dal fallimento stesso del Paese? Qual è la sua opinione sul comportamento dell’UE e quali sono i principali errori commessi da questa istituzione?

La Grecia sta reagendo a questa situazione con grande dignità dal lato dell`opposizione e della popolazione, e con la paura e il tentativo di contrattare ancor qualche cosa a proprio favore da parte dei gruppi politici tradizionali e dominanti. Per chi voglia capire cosa è successo in Grecia legga il libro di Parker (Confessioni di un sicario dell`economia) che ben illustra il modo di funzionare della finanza internazionale. False promesse e falsi bilanci forniti dalle agenzie internazionali raccomandate dalle istituzioni internazionali, previsioni di crescita economica che poi vengono frustrate dalle previsioni delle società di rating e dei "mercati finanziari". Un circuito criminale a scopo di rapina dei risparmi di milioni di persone. Un circuito del quale le grandi banche tedesche, francesi e italiane sono parte integrante e che trova protezione da parte degli istituti nazionali e di sorveglianza sul credito. Una "cupola finanziaria" che si alimenta con il riciclaggio della finanza criminale (mafiosa). A questa situazione che ha colpito tutti i paesi europei e in particolare le economie dei paesi dell`Europa del Sud si è reagito in modo vergognoso da parte dei governi nazionali esprimendo solidarietà vero la Germania e le grandi banche e facendo della Grecia la pecora nera dell`Unione Europea. La Grecia, al contrario, dando un esempio di grande dignità, è l`unico paese europeo che, nonostante i ricatti a cui è esposta, ripropone un rilancio dell`Europa in chiave solidale e di cooperazione. Per far questo, giustamente, è stata richiesta la rinegoziazione dei Trattati europei che, anche dopo il "crollo del muro", hanno continuato a muoversi sulla linea della "guerra fredda", cioè del sostegno prioritario all`economia tedesca divenuta dalla vetrina dell`Occidente verso l`Europa orientale, e quindi ricettacolo degli investimenti e degli aiuti statunitensi e europei, a gendarme dell`ideologia neoliberista e delle nuove avventure militari dell`Occidente. La Grecia non cerca di "salvarsi" contrattando privilegi per sé a scapito di altri, come stanno facendo l`Italia e la Francia, ridottesi al ruolo di stallieri del mulo tedesco, ma ripropone un patto sociale europeo che fornisce una base possibile per un fronte comune dei paesi e dei movimenti sociali dei paesi dell`Europa del sud. È vergognoso constatare il silenzio dei sindacati europei, sia della CES sia delle grandi confederazioni nazionali, impegnati a ricavare illusori vantaggi dal "dividendo della guerra" oggi contro la Grecia, ma domani contro la Spagna, l`Italia e la Francia. Nel dibattito finale tra Sarkozy e Hollande non una parola è stata spesa per condannare la finanza internazionale e le politiche tedesche verso la Grecia. Così come non una parola è stata spesa per condannare le avventure coloniali della Francia nel mondo arabo che hanno seppellito il progetto dell`Unione per il Mediterraneo e l`idea stessa di una politica comune dei paesi dell`Europa mediterranea. La Germania e i suoi stallieri stanno facendo verso la Grecia la stessa politica che la Germania ha fatto per decenni nei riguardi dell`Italia: impedire al paese di decollare come potenza industriale e economica autonoma lasciando che continui a nuotare senza affogare, ma non consentendogli di alzare la testa e accelerare la propria corsa.

Alcuni economisti hanno avanzato la proposta relativa al frazionamento dell'Eurozona in due sottogruppi: il primo formato dalle nazioni del nord Europa, mentre il secondo dovrebbe riunire i Paesi mediterranei. Considera sensata questa proposta? Quali benefici è in grado di garantire una soluzione di questo tipo?

Le proposte sul tappeto sono tre. La prima, condivisa dagli economisti keynesiani, che è quella di tornare alle valute nazionali e ricostruire un sistema valutario europeo del tipo di quello esistente prima dell`introduzione dell`Euro (il serpente monetario), con l`aggiunta di meccanismi istituzionali solidaristici (Fondo di solidarietà). È il modello proposto da Keynes nel dopoguerra, con la creazione di istituzioni internazionali che dovevano aiutare i paesi poveri a decollare. Si tratta di una proposta di buon senso ma che sottovaluta due aspetti presenti ai tempi di Keynes e oggi assenti. Il primo è che gli Stati nazionali si sono oggi trasformati in "Stati predatori", così come sono scomparsi un pensiero liberale sociale e borghesie nazionali autonome, oggi omologati al "pensiero unico" neoliberista e al "potere unico" della globalizzazione. Questo è vero nei paesi dell`Europa occidentale e del nord che si avvantaggiano del dividendo di questa nuova spartizione del potere. Una posizione condivisa da sindacati e partiti socialdemocratici. La seconda proposta, avanzata da settori economici e politici dei paesi forti, è quella di separare l`Euro in una valuta forte (Germania e dintorni) e debole (Europa del sud) in modo da poter disciplinare i comportamenti di questi secondi paesi in modo tale che non creino ostacoli, o concorrenze sgradite, ai paesi forti. Un tentativo di relegare i paesi dell`Europa del sud in una sorta di ghetto, così come fecero i paesi industrializzati nel secondo dopoguerra con l`invenzione del concetto di "sottosviluppo" nel quale furono relegati in condizioni di dipendenza i quattro quinti dei paesi del mondo. Infine, la mia proposta, che ho avanzato in forma elaborata nel mio libro l`Euro in bilico (2011). L`idea prende le mosse dalla constatazione che i problemi monetari in Europa riguardano i 17 paesi della zona Euro, non gli altri 10. Il problema va quindi risolto dentro la zona Euro. L`esistenza di due zone economiche (occidente-nord e dell`Europa del sud) è ovvia ma questo non significa che esiste una zona forte e una debole ma che esistono due aree economiche diverse, con diverse priorità politiche, con una diversa struttura produttiva e orientamento internazionale dell`economia. La possibilità di rimettere su giusti binari la cooperazione economica e sociale tra queste due aree, importante anche per riorientare l`intero progetto europeo, non può essere affidata alla sola bontà delle idee, come alcuni economisti insistono a credere, ma sulla forza di contrattazione raggiungibile in base agli interessi specifici dei paesi e delle due aree. La riapertura dei protocolli europei deve e può avvenire dentro i due paradigmi che presiedono alla costruzione europea: il mercato unico e la coesione sociale e territoriale. La piena attuazione del primo deve essere ricontrattata sulla piena attuazione del secondo. Questa può essere la base di un nuovo patto sociale europeo, di un fondo e patto di solidarietà, la cui richiesta deve essere sostenuta dai movimenti sociali, sindacali e politici dell`Europa del sud. Un processo no facile ma realistico, se si tiene conto che ad una richiesta dei paesi dell`Europa del sud la Germania avrebbe difficoltà ad opporsi senza mettere a rischio interessi vitali per la propria economia.

Quale ruolo crede che i grandi gruppi bancari anglo-americani e le istituzioni transnazionali come il Gruppo Bilderberg o la Commissione Trilaterale, che si occupano di attuare un modello economico e politico globalizzato, abbiano svolto?

Queste organizzazioni sono gli "Autori" del modello finanziario-militare della Globalizzazione e teleguidano i governi dei paesi occidentali, assumendone il controllo diretto quando necessario come nel caso degli Stati Uniti, dell`Italia, della Grecia, ecc. La definizione di Stato predatore è stata elaborata sul governo degli Stati Uniti, un comitato di affari della borghesia globale, secondo la definizione dell`economista statunitense James K. Galbraith (The Predator State, 2008). I soci di queste organizzano sono alla guida dei principali governi e istituzioni internazionali, compreso il Financial Stability Board istituito nel 2009 per procedere rapidamente alla riforma e al controllo della finanza internazionale. Ovviamente nulla è stato fatto, e il presidente del Board si chiama Mario Draghi. Insomma, come ho scritto nell`Euro bilico, "le volpi a guardia del pollaio".

Il ruolo dominante del dollaro ha permesso agli Stati Uniti di vivere per decenni al di sopra dei propri mezzi, sobbarcando sul resto del mondo i costi di questa sproporzione. Ma nel corso delle ultime riunioni del G20 la Cina, che detiene buona parte del debito americano, ha indicato la necessità di formare un sistema economico mondiale che rispecchi i reali rapporti di forza internazionali. Una necessità che paesi come Russia, India, Brasile e Argentina hanno mostrato di condividere. Crede che tutto ciò sia possibile? Quale giudizio si sente di esprimere sull'emergente blocco geoeconomico dei BRICS, che riunisce Brasile, Russia, India Cina e Sud Africa, e sui metodi di contrasto alle stringenti ricette somministrate dalla Banca Mondiale e dal FMI che hanno consentito a questi Paesi di imporsi in ambito generale?

Credo che tutto ciò sia possibile grazie al fatto che la Cina e gli altri paesi BRICS hanno saputo accumulare la forza economica e militare necessaria per proporre una diversa organizzazione del sistema mondiale. La difficoltà risiede nel fatto che al cambio dei rapporti di forza internazionali non ha fatto seguito una evoluzione culturale e mentale dei paesi occidentale, degli Stati Uniti in particolare, che restano tuttora avvinghiati al concetto (di comodo) che il loro sistema di vita e istituzionale non è negoziabile. Da qui le nubi che si addensano all`orizzonte, con la ripresa delle guerre in Medio Oriente, e di una aggressività che rischia di distruggere anche quel poco che resta di organismi internazionali di cooperazione come le Nazioni Unite. L`esito di questa vicenda dipende anche dal ruolo che svolgerà la Russia, in bilico tra la spartizione del dividendo di una nuova colonizzazione del mondo con gli Stati Uniti, e una ripresa di autonomia che potrebbe stimolare anche l`Europa a svolgere quel ruolo di promotore e attivatore di un nuovo modello di organizzazione sociale e produttiva mondiale.

Alcuni analisti considerano il fatto che l'Arabia Saudita stia incrementando le proprie riserve strategiche di petrolio come un segnale che indica l'imminenza dell'attacco all'Iran. Crede che ciò corrisponda alla realtà? Alla luce del legame evidente che intercorre tra guerra e crisi economica, intravede il delinearsi di un nuovo conflitto?

Questi movimenti dell`Arabia Saudita sono parte della destabilizzazione in corso nei paesi arabi il cui obiettivo è di rimuovere ostacoli nella corsa verso Oriente e, tra questi, il macigno dell`Iran. Tutta la campagna di destabilizzazione del mondo arabo, che gli Stati Uniti e i servi sciocchi europei hanno avviato, mira sia ad impedire che la rivolta sociale del mondo arabo si trasformi in un salto di autonomia e di rafforzamento di questi Stati che mettese a rischio le fonti energetiche dell`Occidente, sia a creare una zona permanente di destabilizzazione che faccia spazio, oltre che al monopolio energetico, anche alle basi militari necessarie per le guerre a venire. Di questa opera di destabilizzazione i sicari locali sono, come noto, l`Arabia saudita, il Kwait e il Qatar. Il Kwait e l`Arabia Saudita attivi nel finanziamento e nelle forniture di armi al terrorismo nei paesi arabi (Libia, Siria, presto in Libano, ecc.) infiltrandone le richieste di benessere e democrazia e facendole deviare in guerre civili; il Qatar con la fornitura di milizie che operano nei vari paesi la strategia del terrore ben nota anche agli italiani. L`Arabia Saudita prepara per l`Occidente le riserve petrolifere per la guerra all`Iran. L`Italia firma, tra il silenzio disinteressato di tutti (dove sono la Tavola della Pace, e i vari movimenti per la non violenza ecc.), un accordo con la Nato per la rimessa in funzione della base di Sigonella per i droni, da utilizzare negli omicidi mirati in Medio Oriente, come è avvenuto nel caso di Gaddafi. Una funzione che espone l`isola a ritorsioni militari terrificanti. Gli Stati Uniti sono riusciti a trasformare quello che fino a ieri era un conflitto latente tra mondo arabo e Europa, tra Islam e Occidente, in un conflitto tra sunniti e sciiti, dividendo così il mondo arabo e alleandosi senza scrupolo alcuno con le parti più aggressive di questo mondo. Le guerre a cui stiamo assistendo nel mondo arabo sono preparatorie del grande conflitto a cui accennavo sopra, quello con l`Asia e la Cina in particolare.

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