La dichiarazione di Beijing tra i sei

La dichiarazione siglata ieri a Beijing tra i sei paesi (le due Coree, Cina, Russia, Giappone e Usa) è solo un accordo formale di intenti che deve essere poi realizzato politicamente, soprattutto tra Giappone e Usa da un lato e RPDC dall'altro. Gli aspetti di rilievo che contiene sono: da un lato la riununcia della RPDC a diventare una potenza nucleare, ma con diritto di ricevere assistenza ed aiuti tecnologici per la costruzione di reattori nucleari per la produzione d'energia, dall'altro gli impegni di Giappone e di Usa di normalizzare le relazioni diplomatiche, dichiarando sin d'ora di non aggredire la RPDC e di non aver collocato (grossa bugia!) e di non collocare nel futuro armi nucleari nella penisola coreana.

Attuare di fatto, quindi, questa dichiarazione d'intenti significa che Usa e Giappone vedono sconfitta la loro strategia di eliminare la RPDC come Stato, attuata sin dopo l'armistizio del 1953 e soprattutto dopo il crollo dell'Urss. I ricatti nucleari e militari, dichiarati soprattutto con la presidenza Bush (non a caso la Corea del Nord è stato associata agli stati-canaglia), sono falliti perché la RPDC ha dimostrato di saper costruire missili offensivi e di poterli dotare di armamento nucleare sfondando la cosiddetta invulnerabilità americana nell'area del Pacifico.

Altro aspetto della trattativa è stato il ruolo della Cina, la quale non si è piegata alle pressioni degli americani per "convincere la riottosa Corea del Nord" ad abbandonare la sua strategia difensiva dal ricatto nucleare americano, ma ha svolto una mediazione attiva per realizzare un accordo che salvaguardasse l'indipendenza e la sovranita della RPDC. In tal senso anche la funzione della Russia, che non ha sposato le posizioni americane, è stata positiva.

20 settembre 2005

G. A.


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