"Il "Deja vu" si allarga in Uzbekistan

Quello che è successo in Uzbekistan nei giorni scorsi è un continuo "dejà vu" che si ripete nell'area ex-sovietica a partire dal lontano 1989 con inizio nel Nagornj-Karabak. Una miscela di malcontento sociale si impasta con il retaggio di antiche contraddizioni etniche e religiose ed è sobillata e governata da gruppi fondamentalisti e terroristi che corrispondono ad un disegno comune: disgregare tutto ciò che ancora si conserva, come pezzi della ex-Urss, per meglio mettere le mani sulle grandi risorse energetiche che stanno nel sottosuolo dell'area caucasica e delle steppe dell'Asia centrale.

Se la situazione economica non si riporta sulla strada maestra delle trasformazioni sociali e gli assetti non si stabilizzino in una nuova forma statuale di comunità o federazione paritaria tra ex repubbliche asiatiche dell'Urss e Russia, Bielorussia, nonché la parte orientale dell'Ucraina (considerato che nella parte occidentale Yushenko ha stravinto le elezioni e con questo risultato si è legato agli Usa, come la Georgia, rivendicando di far parte della Nato e promuovendo l'associazione dei tre parlamenti, ucraino, polacco, lituano, che corrispondono al territorio dell'Europa orientale mai stabilmente integrato nell'impero russo e soggetto o alla dominazione polacca o a quella tedesco-prussiana), i disordini e gli scontri divamperanno in tutta l'Asia centrale, laddove gli Usa con la guerra in Afghanistan e con la coalizione antiterrorismo (con la scusa di sedare il terrorismo talebano da loro scatenato!) hanno impiantato basi militari sia in Uzbekistan che in Kirghizistan.

E proprio in questi due paesi gli scontri avvenuti potrebbero, in assenza di un potere politico-statuale riconosciuto dalle masse dei rispettivi paesi, generare conflitti etnici sempre più laceranti che in ultima analisi favoriranno la penetrazione americana.

Quanto accaduto deve far riflettere sia la Russia che la Cina, allorché in Afghanistan hanno concesso troppo spazio all'America, accettando una specie di nuova Monaco, che così come la precedente, con la concessione del territorio dei Sudeti alla Germania, non ha fermato le sue mire aggressive, adesso con la cessione dell'Afghanistan sotto l'influenza americana ha portato all'allargamento del conflitto in Iraq ed a profondi sconvolgimenti nella grande area euro-asiatica, che va dal mar Nero alle steppe asiatiche.

Certo gli americani in Iraq hanno occupato militarmente il paese, anche perché Saddam Hussein era indebolito, reggendo il suo potere con l'oppressione dei curdi e degli sciiti, di fatto aveva diviso l'Iraq sul piano etnico. Ed ora se non sono in grado di controllarlo compiutamente per il ruolo assunto dalla resistenza irachena, maggiormente sviluppatasi nel triangolo sunnita, continuano il loro dominio politico-militare facendo leva proprio sulle differenze etniche, garantendosi l'appoggio dei curdi con la concessione dell'autonomia e la neutralità della maggioranza degli sciiti, i quali usciti vittoriosi dalle elezioni, dirigeranno un governo che non ha alcun potere reale. Se questo disegno ha una forte opposizione in quella parte della resistenza irachena (la stragrande maggioranza della popolazione sunnita ed una minoranza di quella sciita) che rivendica l'integrità territoriale dell'Iraq e l'allontanamento delle truppe straniere, non lo ha certamente nei gruppi terroristici, che seminando morte fra la popolazione civile delle diverse etnìe, di fatto spingono per la divisione del paese e così in ultima analisi tutto torna a vantaggio di chi ha un disegno globale, cioè gli Usa.

Quindi un legame sottile unisce il terrorismo, promosso e finanziato dall'imperialismo, anche quando apparentemente lo combatte, sia in Iraq, come in Afghanistan, come nella zona euro-asiatica. In tal senso, e solo in quanto veicolato dall'imperialismo e come altra faccia aggressiva dell'imperialismo, oggi rappresenta un nemico dei popoli come sessant'anni addietro il nazismo. Ma il terrorismo non può vivere separato dall'imperialismo e combatterlo significa non soltanto punire i suoi responsabili, ma contribuire a creare un ordine mondiale non più basato sui diktat imperialisti e sulle guerre di conquista.

16 maggio 2005

G. A.


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