Crisi economico-finanziarie e guerre infinite per esportare la "democrazia"

Si sta svolgendo in questi giorni in Brasile, promossa dal presidente Lula, una conferenza tra paesi latinoamericani ed arabi, per promuovere gli scambi economici tra le parti sia nel settore delle merci che dei capitali. La conferenza che si presenta principalmente sotto questa veste in realtà si inquadra in tante iniziative multilaterali, nelle diverse aree geografiche del mondo, che mirano a scongiurare il predominio americano e l'egemonismo che è stato imposto dopo il crollo dell'Urss, attraverso la cosiddetta globalizzazione economica. La quale non era altro principalmente se non l'affermazione sul piano economico di quanto era avvenuto a livello politico e militare.

Lo scioglimento del Gatt, organizzazione delle Nazioni Unite per regolamentare le tariffe doganali e le quote di import-export nel commercio estero, e la promozione del Wto, fuori dalle Nazioni Unite, come organizzazione delle Camere di Commercio sul piano mondiale, dovevano favorire la circolazione dei capitali finanziari e delle merci (soprattutto di quelle geneticamente modificate), principalmente americani, per conquistare sempre nuovi mercati e sconvolgere i preesistenti sistemi economici regionali e così rafforzare nel mondo l'ordine economico diseguale (come caratteristica dell'imperialismo, secondo quanto correttamente analizzato da Lenin), che si basa oggi su tre pilastri:
1) il differente trend dei prezzi, con notevole ascesa di quello dei prodotti industriali;
2) la vendita delle tecnologie e dei brevetti per l'utilizzazione economica e sociale nei paesi del Terzo e Quarto mondo di ogni conoscenza scientifica con grande profitto a favore delle imprese multinazionali e danno per i popoli, come si è riscontrato per l'utilizzazione dei farmaci, ecc.;
3) il regime valutario internazionale che ha rafforzato nel tempo le monete dei paesi capitalistici rispetto a quelle dei paesi poveri, accentuando il debito di questi paesi verso Stati Uniti, Giappone, U. E., Canada.

Senonché, dopo la "normalizzazione" del mondo negli anni '90, l'impetuoso sviluppo economico cinese, la formazione di trattati economici e di cooperazione nell'area asiatica (accordo di Shanghai, nuovi rapporti tra Cina, Russia e India), la sconfitta di molti regimi fascisti in America Latina e l'affermarsi di paesi indipendenti dagli Usa come il Venezuela o che lottano per questa indipendenza come il Brasile e l'Argentina, ha creato una nuova tendenza anti-egemonia Usa. Inoltre, la crescita economica della Cina, sta creando una nuova competizione non solo nei mercati delle merci ma anche dei capitali, favorevole alla Cina e con disagio per gli Usa e per l'U.E. ed allora tutto torna in discussione, compreso il tanto declamato libero scambio, per ripristinare misure protezionistiche. Ed è chiaro che, se non si dà sbocco alle esportazioni cinesi, ora nel settore tessile, domani nel settore automobilistico, la Cina adotterà sicuramente contromisure.

Di conseguenza una domanda sorge spontanea: il capitalismo finanziario che si è allargato in tanti tentacoli, penetrando anche in Cina (sebbene non con mani libere come negli altri paesi, ma sotto controllo dello Stato cinese), è in grado di evitare un'implosione, cioè una grave crisi economico-finanziaria? Sembrerebbe difficile evitarla, a meno che laddove non arriva pacificamente la competizione economica a supremazia Usa, arriveranno le guerre infinite per "l'esportazione della democrazia", cioè per l'assoggettamento o lo smembramento (quando non si può controllare per intero un paese multietnico si fa leva su qualche etnìa) dei paesi produttori di importanti materie prime. E' quello che è successo nella ex Unione Sovietica, nella ex Yugoslavia, in Afghanistan, in Iraq, e che ora potrà succedere in Ucraina, negli stati caucasici, ecc.

12 maggio 2005

Giuseppe Amata


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